Prima la pandemia, poi la crisi energetica, hanno reso sempre più urgente il dibattito sul debito in Europa, che è vivo da inizio 2020. Perciò era attesissimo dalle cancellerie europee questo mercoledì 9 novembre: la Commissione Ue presenta la sua proposta di riforma del patto di stabilità e crescita. Rende pubblica in realtà una comunicazione, perché la proposta legislativa vera e propria è tuttora da stilare. «Si rischia di finire impantanati per le posizioni di alcuni governi, come è accaduto col tetto al prezzo del gas?», chiedono i cronisti. Il testo legislativo arriverà a inizio 2023, dice il commissario Paolo Gentiloni; nel frattempo bisognerà condividere le posizioni coi governi.

Cosa cambia (e cosa no)

Il deficit non oltre il tre per cento del Pil resta la bussola, in Ue. Ciò che cambia nella sostanza è che Bruxelles concepisce verde, digitale, contesto di crisi energetica e esigenza di una difesa comune come investimenti atti a ridurre nel tempo il debito, e in questo senso il patto di stabilità diventa più «elastico». Ma non significa un liberi tutti: in realtà i paesi dovranno presentare piani che verranno condivisi e "sorvegliati" da Bruxelles, e il focus sugli investimenti selezionati fa si che cambi poco in altri ambiti (ammortizzatori sociali ad esempio).

L’idea di replicare Sure, o altre forme di supporto comune, finisce nell'allegato, a presentazione del «dibattito in corso». Ai cronisti che chiedono che fine abbia fatto l’esperienza di Next Generation EU – che per molti avrebbe dovuto diventare il nuovo paradigma – l'italiano Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici, assicura che «il tema rimane nei nostri pensieri», al di là che si sia scelto di «non sovraccaricare la Comunicazione che presentiamo oggi».

La riforma viene presentata assieme al falchissimo vicepresidente Valdis Dombrovskis, che continua tuttora a sostenere che «le regole che ci sono state finora hanno funzionato bene, è il contesto che è cambiato»: i due hanno evidentemente dovuto trovare una strada digeribile a entrambi, e conciliare diverse posizioni. 

«Dopo un duro lavoro ora possiamo dire di aver conciliato tutti i propositi in gioco, tra i quali c’era – dice Gentiloni – la necessità di supportare la crescita e di aumentare la sostenibilità del debito; rafforzare la titolarità nazionale, come pure creare una cornice comune». Un equilibrio tra debito e crescita, sostiene insomma Gentiloni.

Un piano da rispettare (e le sanzioni)

Di quali investimenti parla Bruxelles? Gentiloni: «Dobbiamo finanziare la transizione green, la sicurezza energetica, la difesa comune, la competitività, ed evitare il rischio di frammentazione che abbiamo nel mercato comune. Al contempo c’è il rischio di aumento del debito pubblico da gestire».

«Ogni piano nazionale dovrà essere approvato da Commissione e Consiglio», come spiega Dombrovskis in conferenza stampa. Bruxelles seguirà e monitorerà ogni fase, compresa quella di implementazione. «Se un paese fallisce, se non rispetta gli impegni, ci saranno più efficaci meccanismi di enforcement per far rispettare il piano, comprese sanzioni fiscali».

Il commissario Gentiloni ricorda che più gradualità nel rientro dal debito, più titolarità nazionale, hanno come controparte appunto strumenti più incisivi per far rispettare i piani.

Eventuali deroghe («escape clauses») varranno solo per gravi emergenze estremamente eccezionali. 

Perché un governo dovrebbe gradire «questa pillola amara»?, è la domanda che la stampa ha rivolto in conferenza stampa a Gentiloni. «Non mi sembra così amara», sostiene il commissario, che argomenta così: «Il percorso di riduzione del debito viene deciso sulla base di una proposta dello stato membro, e c’è più gradualità e flessibilità rispetto al sistema che vige attualmente».

«Io penso ci sia un equilibrio tra un percorso più graduale, che dia spazio agli investimenti, con una proposta che è fatta dal governo, anche se assieme a Commissione e Consiglio, e il dovere di rispettare poi quella proposta».

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