Il matrimonio politico tra Carlo Calenda e Matteo Renzi verrà presto celebrato anche a livello europeo, e perciò il leader di Azione segue alla lettera i precetti matrimoniali: nella buona e nella cattiva sorte. Questo venerdì non ha fatto in tempo a varcare la soglia dell’Auditorium della Conciliazione, dove si stavano radunando i maggiorenti del Partito democratico europeo, una delle anime della famiglia liberale di Renew, che subito gli è piombata addosso la domanda sui voti con cui l’opposizione ha permesso l’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato. «Non sono pratico con questi “var” parlamentari ma avrete visto i video, io sto nella cabina tre secondi, è chiaro che La Russa non l’ho votato». Sì, ma garantisce anche per i renziani? «Garantisco anche per i renziani», scandisce bene Calenda, anche se l’espressione del volto lo tradisce e si fa più imbarazzata. Renzi invece imbarazzi non ne mostra, e insiste: «Se avessi votato La Russa, lo avrei rivendicato!». E l’eurodeputato Sandro Gozi, che con Renzi condivide la famiglia politica europea e non solo, ride e poi risponde: «Sono contento di non essere un parlamentare italiano».

«La maggioranza è zoppa»

Le frasi pronunciate da Renzi questo venerdì sono a tratti sibilline: «L’alleanza a sostegno di Giorgia Meloni è claudicante. Vedrete, avranno molti problemi. Io e Carlo saremo l’opposizione intelligente». Secondo Calenda la maggioranza «inizia molto male perché con Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana sceglie profili divisivi»; l’affermazione da una parte serve a parare i colpi sul caso dei “voti transfughi”, ma dall’altra lascia pure intendere che dividersi non è l’unica opzione possibile.

La questione dei rapporti con l’estrema destra non riguarda solo il terzo polo italiano, ma anche la sua proiezione in Europa: anche qui c’è un divario tra le dichiarazioni ufficiali e la pratica politica. Stéphane Séjourné, il presidente di Renew Europe, è pronto a scaricare ogni colpa sul centrodestra dei Popolari europei, che hanno «fatto da trampolino a Giorgia Meloni e le hanno permesso di arrivare al potere». Giura che «mai faremo una coalizione con la destra estrema» e, interrogato sul punto, chiarisce che considera tale la leader di Fratelli d’Italia. Ma a gennaio, alle elezioni di metà mandato dell’Europarlamento, il suo gruppo ha votato per assegnare ai conservatori (la famiglia meloniana in Europa) la vicepresidenza. Ufficialmente, stando a quanto dice Séjourné, che presiede Renew, «il cordone sanitario esiste eccome». Ma pure nella sua Francia il concetto è indebolito dalla pratica, ancor più con il consenso in calo e la maggioranza relativa che Emmanuel Macron si ritrova. François Bayrou, che è presidente del Pde, quest’anno «per salvare la democrazia» ha dato a Marine Le Pen la sua firma: per candidarsi alle presidenziali serviva una lista di sponsor (i parrainages).

La joint venture

La versione ufficiale del «terzo polo europeo» è che «noi siamo l’alternativa ai bipopulismi», per usare le parole di Gozi, analoghe a quelle di Calenda. Cosa si intende per «bipopulismi»? La scelta di questo slogan rivela alcuni passaggi strategici. Anzitutto, su scala italiana, per aumentare il proprio consenso Italia viva e Azione sperano in una operazione di conio macroniano. Consiste nel fagocitare fette di elettorato e di campo moderato tanto a destra che a sinistra: è la politica attrape-tout, “acchiappatutto”. Per Macron nei primi anni è stata vincente, ma ha sconvolto gli assetti politici portando a una sempre più accentuata polarizzazione. I due leader di Italia viva e Azione sono agli inizi della loro «joint venture» e proprio questo venerdì Calenda ha annunciato che lo schema verrà replicato anche in Europa. Entrambe le formazioni sono nel contenitore di Renew, e se Italia viva dal 2021 è dentro il Pde, «presto ufficializzeremo un gruppo unico, abbiamo deciso di entrare nel Pde con convinzione assieme a Matteo», spiega Calenda.

Il competitor

La definizione di «bipopulismi» è rivelatrice anche di un altro passaggio strategico. Pure questo trae origine da Macron. Dopo che il Partito socialista si è ridotto in macerie, quando Jean-Luc Mélenchon con l’operazione dell’Unione di sinistra ecologista ha acquisito forza, il presidente francese ha proiettato sul campo a sinistra lo stesso schema già utilizzato con Marine Le Pen: dopo aver demonizzato l’estrema destra, ha eretto a bersaglio la sinistra. Questo venerdì alla convention del Pde è apparso in modo chiaro che il Partito democratico, in quanto competitor, è soggetto prediletto degli attacchi del terzo polo. Renzi, pur senza nominarlo, ha lanciato stoccate al sindaco piddino di Roma, Roberto Gualtieri. Calenda ha detto che «i sedicenti progressisti ormai si avvicinano al massimalismo populista» e che «oggi il partito riformista siamo noi».

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