Ormai tra le destre estreme d’Europa è scontro a chi ce l’ha più MEGA: sarà l’evento dei Patrioti che arrivano già venerdì a Madrid, con Matteo Salvini pronto a salire sul palco sabato alle 11, oppure era quello organizzato a fine gennaio dai Conservatori di Giorgia Meloni addirittura dentro le istituzioni europee, in una sala dell’Europarlamento, sede di Bruxelles?

Chi può vantare la primazia del fantomatico movimento “Make Europe Great Again”, chi è il miglior interprete dei dettami di Elon Musk e chi il più privilegiato detentore dei rapporti con Donald Trump?

ANSA

Mentre l’uomo più ricco del mondo fa un fulmineo post su X e subito partono illazioni e chiacchiericci, dietro il fumo c’è un reale processo di riassestamento della galassia che semplicisticamente chiamiamo “sovranista”, nella quale è in corso da tempo immemore una competizione interna.

La guerra dei Mega, parte 1

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È il 28 gennaio ed è passata appena una settimana dall’inaugurazione trumpiana, nella quale Meloni si è distinta come l’unica leader di governo europea presente. Si parla di lei come un possibile ponte tra Bruxelles e la Casa Bianca, mentre sull’onda delle dichiarazioni di Javier Milei – e degli incontri con lui e Trump – la premier vagheggia persino di una internazionale dei Conservatori.

In questa prospettiva cede la presidenza del partito dei Conservatori europei all’ex premier polacco Mateusz Morawiecki: l’orizzonte è ormai il globo terracqueo. Perciò il gruppo europeo meloniano (Ecr) non sta certo a guardare, né lascia che i competitor più a destra si intestino il trumpismo al posto suo.

Fine gennaio, dicevamo: in una sala brussellese dell’Europarlamento si tiene un evento intitolato Mega2025. C’è di più: esiste anche un sito, c’è un pulsante per «unirsi al movimento». Quel post di Musk che sbaraglierà nelle redazioni italiane a febbraio – «People of Europe! Unitevi al movimento Mega!» – non è ancora arrivato, ma Meloni già presidia.

Alla due giorni intervengono i suoi fedelissimi: Carlo Fidanza, capodelegazione di FdI all’Europarlamento e vicepresidente del partito Ecr, come pure il segretario generale del partito europeo, Antonio Giordano, che da prima delle elezioni Usa coltiva i contatti con gli americani. C’è ovviamente Morawiecki (gran twittatore dell’hashtag #Mega), è invitato il presidente serbo Vučić (ma ha un impedimento: gli cade il governo) e l’ala più estremista del governo Netanyahu (Chikli).

«Quel raduno l’ha organizzato formalmente Aur, e il gruppo al quale appartiene, cioè Ecr», spiega Francesco Giubilei, anche lui tra gli speaker. Se mai qualche Patriota avesse pensato di intervenire, è stato freddato con finezza tattica diabolica: il partito romeno Aur (che alle presidenziali sostiene il controverso Georgescu) è indigesto agli orbaniani, tanto che i due partiti si sono distribuiti in due gruppi diversi. Così i meloniani si sono assicurati il ruolo di apripista.

La guerra dei Mega, parte 2

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Ma non intendono certo lasciarselo sfilare, i Patrioti per l’Europa (Marine Le Pen, Viktor Orbán, Herbert Kickl, Santiago Abascal, Geert Wilders, Salvini e colleghi): la convention madrilena di questo weekend è sovratitolata “Make Europe Great Again”.

Con buone ragioni: il presidente Abascal (che è anche leader di Vox) ha ottimi rapporti con entrambe le Americhe, specialmente quella Latina di Milei. E che dire di Orbán? Icona mediatica in un’era trumpista in cui la propaganda è molto, era stato lui il primo supporter sfegatato di Trump, e sempre lui – nell’estate 2024, prima ancora delle elezioni Usa – ad adottare lo slogan “Make Europe Great Again” per la sua presidenza di turno dell’Ue, suscitando all’epoca raccapriccio.

«Ero la pecora nera e ora sono il futuro», rivendica il premier, che col solito pragmatismo sta già rivedendo le proprie posizioni verso Alternative für Deutschland. Dopotutto è la leader Alice Weidel ad aver ricevuto ripetute benedizioni e sponsorizzazioni da Musk, che prima di unire i sovranisti europei (sogno fallito di Bannon già alle europee 2019) mira direttamente a disgregare l’Ue.

La “patriota” Le Pen aveva sfrattato AfD dal gruppo (che allora si chiamava Id) prima delle elezioni francesi ed europee per due ragioni: normalizzarsi lei, e far spazio a Orbán, per il quale i buoni rapporti con Cdu e industria tedesca sono sempre stati vitali (interdipendenza asimmetrica tra le due economie). Ma adesso persino Merz vira a destra, e allora ecco il premier ungherese pronto ad accogliere Weidel a Budapest tra una settimana.

Il sogno del gruppone delle destre estreme – boicottato proprio da Meloni nel 2021 per ingraziarsi il Ppe – ha nuove ali: gli equilibri slittano più a destra, e già ora all’Europarlamento Ppe, Ecr, Patrioti e AfD votano spesso insieme. I rapporti tra conservatori e patrioti – come pure l’orizzonte comune di boicottare l’integrazione politica europea – non si sono mai interrotti, sono fitti; resta la competizione interna, e la diversità di tattiche.

Meloni usa la strategia del ponte – «dialogo con tutti», col Ppe e con Orbán, con Bruxelles e con Trump – per penetrare i centri di potere; o per dirla coi suoi avversari a destra, «gioca su troppi tavoli, pensa di essere più furba degli altri». Altre destre (compresi i suoi stessi alleati polacchi del Pis) spingono per l’ammucchiata sovranista, ora con argomenti in più: l’Ungheria di Orbán ha garantito finanziamenti a Vox (che infatti ha lasciato Ecr per i Patriots) e Budapest ha dato asilo politico agli ex membri del governo Pis in fuga dalle indagini (per ora solo a Marcin Romanowski, ma Morawiecki stesso è indagato).

«Stiamo diventando più forti – dice Orbán – e presto avremo la maggioranza: dopo la guerra in Ucraina sarà possibile una grande alleanza di destra».

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