Questo punto esatto della storia politica del centrodestra, sia europeo che italiano, è il momentum: qui la tragedia di qualcuno si trasforma nell’opportunità politica di qualcun altro. La débacle della cristianodemocrazia tedesca, crollata dell’otto per cento rispetto alle precedenti elezioni, che già hanno segnato il peggior risultato del dopoguerra, è l’occasione perfetta. Perfetta per chi intende coalizzare il centrodestra italiano ed europeo, togliere cordoni e cordini sanitari che mettevano a distanza i sovranisti e facilitare le strette di mano con la famiglia dei Popolari, infragilita ma pur sempre prima d’Europa. Sia i conservatori, che i sovranisti dopo un maquillage politico, si offrono ora come la stampella di un Partito popolare europeo svuotato del suo centro di gravità.

Effetto domino

Pochi giorni prima del voto in Germania, seduto in una saletta di un hotel romano dove si è tenuto il vertice del Partito popolare europeo, il tedesco Manfred Weber, che guida il gruppo del Ppe all’Europarlamento, ha provato a liquidare gli effetti di un possibile tracollo di Cdu e Csu: dopotutto, l’Europa non la determina mica la Germania. Nessuno in quella saletta gli ha creduto, e oggi che la débacle è effettiva, c’è anzi chi scalpita per approfittare del momento. Anzitutto Matteo Salvini, che a cadavere elettorale ancora caldo, domenica sera ha diffuso un segnale preciso: «Se verrà confermata la clamorosa sconfitta del centrodestra, con Cdu e Csu ai minimi storici, è ancor più importante che il centrodestra italiano si riunisca e lavori insieme, soprattutto in Europa». Chi poi in Europa deve mettere in pratica il piano è il leghista a Bruxelles Marco Zanni, che è presidente del gruppo Identità e democrazia, noto anche come «il gruppo sovranista» visto che nel suo alveo ci sono formazioni come il Rassemblement national di Marine Le Pen e i tedeschi di Alternative für Deutschland. Ma Zanni è pronto a immaginarne una versione governista. Per lui il Ppe dovrebbe fare coi sovranisti ciò che «Berlusconi fece con la Lega di Bossi: farne una forza di governo».

I due passi

Il puzzle della destra europea si sposta: prima Zanni ha prefigurato una «iniziativa politica» che unisse Id, i conservatori e Viktor Orbán, ormai fuori dal Ppe. Visto che sarebbe stato difficile persuadere Giorgia Meloni a rinunciare al ruolo di presidente dei conservatori, e a sciogliersi dentro abbracci salviniani, Zanni ha anche escogitato come unirsi salvando i distinguo: «Al parlamento Ue, verdi e regionalisti fanno gruppo insieme ma mantengono le reciproche identità, Greens e Efa». Nel frattempo, come lui stesso riconosce, «ho contatti bilaterali con la Cdu, dialoghiamo quasi quotidianamente, come pure con gli spagnoli e coi popolari in generale». Viene fuori un piano in due passaggi: «Nell’immediato bisogna rinsaldare i due gruppi, Id e conservatori, anche con una eventuale federazione. Poi va lanciata una sfida positiva ai popolari, e questa è la parte più complessa». Sfidare per “soccorrere”. Il crollo di Cdu e Csu facilita l’opzione: «La lezione del voto è che correre dietro alla sinistra, appiattirsi in stile “grande coalizione” sulle posizioni dei socialisti, significa perdere consenso». A furia di spostarsi al centro, dice la Lega, i popolari perdono forza; ed ecco che subentra «il campo identitario»: la destra più a destra si offre come stampella.

Da sovranisti a governisti

«Il nord Europa ha ancora resistenze ma pian piano il muro nel Ppe si sgretola», dice Zanni. Tra quelli pronti a ridiscutere il cordone sanitario, cita lo spagnolo Esteban González Pons. «Un peso massimo del Ppe», lo definisce lui; ma guarda caso pure un nome in cerca di investitura, per diventare il popolare in lizza alle elezioni di midterm per la presidenza dell’Europarlamento. La maltese Roberta Metsola, che ha buone chance di essere la candidata del Ppe, pure guarda fuori, a Fratelli d’Italia, a cui lei non dispiace.

A parte una sacca di resistenza nordica, i popolari, e i loro candidati alla presidenza del parlamento Ue, cercano dialogo e voti anche fuori, nella destra una volta indigeribile. Destra che vuole mettere in cantina il cordone sanitario e prendersi finalmente qualche commissione. «Metteteci alla prova della responsabilità di governo», dice Zanni. A queste condizioni, «sosterrei un candidato Ppe al midterm». In nome del dialogo, i leghisti stanno già ripulendo il proprio schieramento Id. In vista del primo passo – alleanza coi conservatori – Afd è fuori: «Questo partito ha bisogno di una maturazione, c’è una parte seria che ha un’idea più moderata e ha fatto uno sforzo per ripulirlo ma oggi non ci sono ancora le condizioni perché partecipi al progetto». Anche la prima lega bossiana, dice Zanni, era vista come estremista, ma poi Berlusconi ne ha fatto un partito di governo, «ed è a questo che Afd dovrebbe guardare». Quanto a Marine Le Pen, «ha fatto un gran lavoro per portare il partito su posizioni più condivisibili». I francesi la chiamano normalisation.

I distinguo

Intanto Fratelli d’Italia, che pure discute coi popolari in vista del midterm, parla del voto tedesco come una prova che «serve un sano bipolarismo». Anche in Europa? Sì. Federazione? Chiamiamola coalizione, suona meglio, dicono da Bruxelles. A ogni modo salviniani e meloniani concordano che ai popolari non dialogare con le destre non fa bene. Mentre Salvini “coglieva l’attimo” del crollo Cdu, il governista per eccellenza della Lega, Giancarlo Giorgetti, faceva sapere che «con Merkel si sapeva dove si andava, l’austerità non ha fatto bene ma lei ha dato una linea all’Europa; ora si apre una fase di incertezza». Entrambe le posizioni portano nella stessa direzione – il dialogo coi popolari – ma con sfumature differenti. Salvini deve vedersela con gli smottamenti nel partito, che aiutano a capire anche perché allearsi coi popolari stia diventando linea condivisa. Ma è prudente esultare per la débacle tedesca quando Salvini stesso rischia una bastonata alle amministrative? «Sono dinamiche diverse», si schermisce Zanni.

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