C’è una regola alla base di ogni conferenza sulla sicurezza di Monaco. Si chiama Munich Rule e recita: «Interagite l’uno con l’altro. Non vi ignorate». Con una regola così rassicurante, quasi cucita addosso sulle sue esigenze, non c’è troppo da stupirsi che Giorgia Meloni abbia pensato di puntare su Monaco per uscire dall’isolamento

In cerca di un palco

Dietro l’idea di una partecipazione della premier alla conferenza che inizia venerdì c’è però di più. L’operazione Monaco è costruita a tavolino tra Roma e l’Ue. Il governo si gioca la faccia, e anche i popolari europei. C’è non a caso anche il leader del Ppe Manfred Weber dietro questa scommessa politica.

«Chi pensa a un’Europa di prima e terza classe si ricordi del Titanic: se si affonda, si affonda tutti». Quando Meloni pronuncia queste parole, dopo l’ultimo Consiglio europeo, il suo governo ha appena subìto un triplo smacco di portata internazionale. Francia e Germania hanno apparecchiato la missione negli Stati Uniti scordandosi del terzo paese fondatore; poi hanno accolto insieme il presidente ucraino all’Eliseo, tagliando fuori la premier che fa del sostegno all’Ucraina la propria patente di governabilità. Infine il summit dei capi di stato e di governo ha segnato la vittoria di Parigi e Berlino sugli aiuti di stato, mentre a Roma è rimasto fumo.

Meloni tuona contro l’Europa di prima classe perché cerca disperatamente di risalire, ma a complicare le cose ci si mette pure l’alleato Silvio Berlusconi, sgretolando con l’attacco a Zelensky quel che restava della patina di rispettabilità internazionale. E pensare che Meloni aveva da poco tentato in Consiglio l’incontro riparatore col presidente ucraino, ribadendo anche il piano di visitarlo a Kiev.

Missione anti isolamento

Alla premier serve ora un’urgente prova di forza, o almeno di sopravvivenza, in campo internazionale. Dal 17 al 19 febbraio la Baviera offre il palco perfetto: nella cornice lussuosa di un hotel a cinque stelle in Promenadeplatz, si tiene la 59esima conferenza sulla sicurezza di Monaco. C’è Olaf Scholz che fa il bello e il cattivo tempo a Bruxelles, c’è Emmanuel Macron col quale Meloni non trova pace, ci sono gli Stati Uniti così indispensabili a Meloni, con la vicepresidente Kamala Harris. C’è l’alleato polacco di Fratelli d’Italia, Andrzej Duda, il presidente che proprio facendo da pontiere con Washington ha salvato il governo di Varsavia dall’isolamento.

Ed ecco allora che anche Meloni cerca il suo momento, con un passaggio lampo previsto per sabato: l’obiettivo è uscire dalla condizione di marginalità; e poi quale occasione migliore per risalire, se non una conferenza di alto livello dove si parlerà di sicurezza e di Ucraina? Sono le sue due bandiere.

Ragioni europee

Ecco allora il piano: partecipare alla conferenza, non limitarsi a dare il palco ad Antonio Tajani, ministro degli Esteri di un partito – Forza Italia – il cui leader sporca l’immagine internazionale del governo.

Ma dietro l’operazione Monaco non c’è solo l’aspirazione di Chigi; ci sono anche quelle di Weber. Da quando il leader dei popolari ha spinto il Ppe verso l’estrema destra, Meloni inclusa, contribuendo a normalizzarla, i suoi avversari interni in Germania non gli danno tregua.

Se c’è qualcosa che terrorizza l’opinione pubblica tedesca, è che il centrodestra possa aprire spiragli a forze estreme come Alternative für Deutschland; e dalle parti di Berlino Meloni non si è certo liberata dell’etichetta di neofascista. Il presidente della Baviera Markus Söder, dello stesso partito di Weber, punta in alto – magari alla cancelleria – e fa da fustigatore delle derive del leader popolare. Ecco perché per Weber è più importante che mai, che proprio a Monaco, nella sua terra bavarese, Meloni si ripulisca la veste. L’operazione serve a salvare dall’isolamento lei, e anche a prevenire quello di lui.

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