Mentre i governi europei, Germania e Francia in testa, dialogano per evitare la rottura con la Polonia, la Corte di giustizia europea sentenzia e multa. Un milione di euro al giorno, per l’esattezza.

La multa

Il vicepresidente della Corte di giustizia Ue ha ordinato a Varsavia di pagare una multa di un milione al giorno per non aver sospeso quei provvedimenti che per i giudici europei non erano legittimi, e dunque avrebbero dovuto decadere. Il tema è sempre la mancata indipendenza del potere giudiziario da quello esecutivo in Polonia, e l’ordine – o meglio, la multa – riguarda nello specifico un nodo.

Quello della camera disciplinare, introdotta da nel 2018: si tratta di una sezione della corte suprema dedicata a imporre misure disciplinari arbitrarie nei confronti di giudici polacchi non in linea con la maggioranza di governo. La corte di giustizia europea insiste da tempo che questa camera disciplinare mina l’indipendenza dei giudici e perciò viola il quadro normativo europeo. La ha disconosciuta, ha ordinato – invano – di scioglierla. Perciò «la Polonia paghi il milione di euro quotidiano alla Commissione europea fino a che non assolverà a quanto le è stato ordinato».

I precedenti

Nel giro di un autunno si tratta già della seconda maxi multa. A settembre, dopo che per quattro mesi il governo polacco aveva ignorato il verdetto europeo che le ordinava di interrompere l’estrazione di lignite nella miniera di Turow, la Corte di giustizia europea ha imposto al paese una multa di mezzo milione al giorno. Se non chiude la miniera, allora Varsavia deve pagare. Sempre in teoria. Per ora le richieste di pagamento risultano inevase.

Come finirà

In questo caso però la punizione per la Polonia tocca un punto che è lo stesso su cui si basa il compromesso tra il governo polacco, i suoi omologhi europei e Bruxelles. Il premier Mateusz Morawiecki ha infatti già annunciato più volte negli scorsi giorni di voler abolire la camera disciplinare. Ha nascosto questo annuncio anche tra le righe della sua arringa sovranista davanti all’Europarlamento. La Corte non fa che sollecitare i fatti oltre alle parole. E il governo subito parla di «ricatto».

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