È Armin Laschet, classe 1961, il nuovo presidente della Cdu. S’impone su Norbert Röttgen e Friedrich Merz, con il quale arriva al ballottaggio del congresso che lo incorona con poco meno di settanta voti di differenza (521 contro i 456 di Merz). Il voto digitale dovrà essere confermato da quello postale, il cui risultato sarà annunciato il 22 gennaio. Un congresso anomalo, freddo, in una sala enorme e vuota per rispettare le norme contro la diffusione della pandemia, nella quale erano presenti solo i candidati e la presidenza («Mi manca il calore della sala piena» ha sintetizzato bene nel collegamento video il capogruppo del Bundestag, Ralph Brinkhaus, e non è stato il solo) e che ha visto i tre candidati scontrarsi tutto sommato in modo misurato e attento. Ancora una volta sono emerse le tante analogie e trovare le differenze è stato un lavoro certosino: tre discorsi politicamente molto simili, tranne per le solite differenze caratteriali.

Laschet è stato il primo a intervenire sabato mattina. Ha iniziato ringraziando Annegret Kramp-Karrenbauer, la ex presidente dimissionaria dallo scorso anno, che venerdì sera ha ammesso: «Ho capito di non disporre più dell’autorità e del sostegno» per guidare il partito. Ma ha anche rivendicato di aver contribuito a ristabilire buoni rapporti tra la Cdu e i bavaresi della Csu (il partito gemello regionale) e di aver «allentato» le tensioni sulla questione dei rifugiati. Va pure segnalato che Angela Merkel l’ha completamente ignorata nel suo saluto al congresso. Ma è noto che tra le due donne, al vertice della Cdu da tempo, non c’è più il rapporto di una volta.

Il vincitore

Laschet ha continuato ricordando le immagini del Campidoglio a Washington della scorsa settimana e la necessità di evitare in Germania simili polarizzazioni. Del resto lo scorso agosto una manifestazione di negazionisti aveva tentato di entrare nel Bundestag, fermata da appena tre poliziotti rimasti di guardia. Immagini, quelle di agosto e quelle di gennaio, che hanno colpito moltissimo la politica e l’opinione pubblica tedesca.

Basti pensare che venerdì sera, in un videomessaggio ai delegati, Ursula von der Leyen ha candidamente ammesso che aspettava da anni il cambio di governo a Washington. Qui, probabilmente, sta la chiave del successo di Laschet: Merz, esattamente come nel 2018, è apparso un uomo di rottura, di polarizzazione, un uomo del conflitto più che della concordia. Se nel 2018 il partito non aveva abbandonato Angela Merkel, questa volta la vittoria di Laschet testimonia che la “modernizzazione” della Cdu è ormai compiuta, è un dato di fatto.

Nel suo discorso Laschet ha ricordato il padre minatore, «da lui ho imparato che non conta da dove viene una persona, la sua origine, quanto e se puoi fidarti di lei». Attenzione al tema della diversità e fiducia sono state parole ripetute costantemente dal neopresidente, addirittura concludendo «la questione più importante della democrazia si riassume nella domanda a chi volete prestare fiducia». Ha poi omaggiato la figura di Walter Lübcke, il presidente di Kassel e politico della Cdu, assassinato nel 2019 per il suo impegno per i rifugiati.

Su questo Laschet ha usato parole forti e ha ribadito la natura plurale della Germania di oggi: il compito del partito è quello «di guidare persone molto diverse fra loro», questa è la vera sfida del futuro. E su questo è stato chiaro: l’obiettivo della politica è cercare e trovare compromessi. È così venuto fuori il politico-amministratore di un Land importante, abituato a fare i conti con mediazioni difficili ma indispensabili: «So bene quanto importante sia la questione del cambiamento climatico, ma poi so anche che bisogna andare dai minatori a spiegargli che perderanno il lavoro e saranno prepensionati».

L’intervento della cancelliera

Su questo è apparso ai delegati come davvero in continuità con la cancelliera, con la sua gestione delle crisi e la sua capacità di tenere sempre tutti al tavolo delle trattative. Proprio Merkel venerdì ha tenuto un breve saluto e ha ribadito che «questo è il mio ultimo congresso da cancelliera» ricordando i successi del suo lunghissimo cancellierato («Nel 2005 non c’erano gli smartphone e Nokia era leader nella vendita dei cellulari», insomma, un altro mondo). Il paese è migliorato: ha ricordato lo stato ottimale delle finanze pubbliche, grazie al quale è stato possibile affrontare la pandemia, l’aumento dell’investimento sull’istruzione e la formazione, l’aumento dei posti negli asili nido, l’introduzione del salario minimo.

Ma ha poi sottolineato, parafrasando il motto del congresso #wegenmorgen («per il domani»), che la domanda centrale resta «come vediamo il mondo tra quindici anni. Un mondo che cambierà ancora più velocemente». E Laschet si è posto in questa continuità: «Eravamo il “malato d’Europa” dopo il governo rosso-verde, oggi non lo siamo più». Qui Laschet ha esagerato con l’elogio della Cancelliera perché ha dimenticato che negli anni Novanta la Germania era il malato d’Europa e sono state proprio le contestatissime riforme del governo Schröder dei primi anni Duemila a rendere possibili i buoni risultati dei governi Merkel dal 2005 in poi.

Ha continuato dicendo: «Voglio essere il capitano di una squadra e non il presidente di un consiglio di amministrazione. Chi guida il partito deve avere la capacità di unire». Va anche detto che l’intervento di Merz non è stato molto diverso. Anche lui ha usato parole come “consenso” e “compromesso”, “misura” e “centro” (la famosa e stracitata Mitte, evocata da tutti i candidati e mai chiaramente definita). Le ha ribadite più volte, quasi a voler far dimenticare i toni estremi usati nella prima parte della campagna elettorale e già abbandonati da diverse settimane.

Come Laschet, Merz ha sottolineato la necessità di contrastare la sinistra e di evitare un nuovo governo rosso-verde. Röttgen è apparso, come in tutta la campagna precedente, competente ma molto verboso. Ha ottenuto un buon risultato al primo turno (224 voti), senza disporre dei mezzi economici di Merz, ed è stato poi eletto nel Präsidium del partito, l’organismo di direzione degli affari correnti. La sua carriera nella Cdu continuerà.

Al termine del primo turno si è capito che Merz, esattamente come nel 2018, non va oltre il sostegno di una certa area del partito. Nella prima votazione ha ottenuto cinque voti in più di Laschet (385 a 380) ma è troppo poco: non convince i delegati, ai quali appare un uomo del passato.

In rete è stato ampiamente discusso il passaggio del suo discorso sulle donne. Per respingere le accuse di sessismo Merz ha ricordato che «mia figlia mi avrebbe già da tempo mostrato il cartellino giallo e mia moglie non sarebbe rimasta con me per tanti anni». Per molti è stata la dimostrazione che non riesce proprio a concepire le donne oltre questi ruoli.

Ma ormai è storia: Friedrich Merz ha perso per la seconda volta e dovrà rinunciare alle sue ambizioni. A vincere è Laschet, più aperto e disponibile al confronto. Non è chiaro ancora cosa succederà con Afd, che certamente è soddisfatta di questo esito: una Cdu guidata da Merz avrebbe assunto un profilo più aggressivo e avrebbe potuto più facilmente strapparle voti. Laschet dovrà capire presto come affrontarla nei parlamenti regionali, per evitare di incorrere negli stessi errori di Kramp-Karrenbauer, che si è dimessa proprio in seguito a uno scandalo regionale che coinvolgeva l’ultradestra. Sarà un anno complesso: si vota in ben cinque stati federali e nella città stato di Berlino.

Questo risultato rende poi ancora più oscuri i prossimi mesi fino alle elezioni federali del 26 settembre. Non è detto, infatti, che Laschet sarà anche il candidato alla cancelleria. Il suo sponsor principale è stato il ministro della Salute Spahn, giovane e ambizioso, che è stato eletto tra i vicepresidenti del partito e potrebbe più avanti rivendicare la candidatura grazie ai suoi forti consensi nei sondaggi. Così come Markus Söder, presidente della Baviera, anche lui osservatore attento di queste primarie. Tutte le opzioni, che in caso di elezione di Merz sarebbero venute meno perché avrebbe immediatamente reclamato la candidatura alla cancelleria, restano aperte.

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