Il ministro degli Esteri trova strano che due paesi ortodossi debbano scegliere per parlarsi un luogo cattolico. Il ruolo del patriarca Kirill e le accuse fra le due chiese
Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha spento gli ardori di chi vedeva possibile, forse un po’ ingenuamente, un negoziato in Vaticano fra Russia e Ucraina per arrivare alla fine del conflitto scoppiato nel febbraio del 2022. Sarebbe strano, ha detto in sintesi Lavrov, che due nazioni ortodosse scegliessero un luogo che più cattolico non si può, per avviare trattative di pace; senza contare, ha aggiunto, che il governo di Kiev sta facendo di tutto per distruggere la chiesa ortodossa russa in Ucraina.
Il riferimento del ministro degli Esteri era, fra le altre cose, alla messa al bando della Chiesa ortodossa rimasta in comunione con Mosca da parte delle autorità civili ucraine (decisa nel settembre scorso). Un fatto che è stato contestato dalle Nazioni unite come dal Consiglio ecumenico delle chiese, l’organismo che riunisce le chiese protestanti, anglicane e ortodosse di tutto il mondo. Sbagliato e ingiusto – era il senso di alcune critiche – punire tutta una comunità accusandola di fiancheggiare il nemico invece di individuare i singoli responsabili di determinati atti; in tal modo si finisce per violare il principio della libertà religiosa.
Da parte ucraina si risponde che nei territori occupati dai russi, così come all’interno della stessa federazione, è in atto una vera e propria politica repressiva di ogni presenza religiosa, cristiana e non, con arresti, omicidi, casi di tortura, nei confronti di esponenti di altre fedi non allineate alle posizioni del patriarcato di Mosca.
Chiese e guerra
La vicenda religiosa, del resto, ha avuto un'importanza non secondaria nello scoppio della guerra. Nel dicembre 2018, infatti, nasceva una nuova chiesa ortodossa ucraina, frutto dell’unione di due diverse confessioni ortodosse, che rivendicava la propria indipendenza da Mosca. Per compiere questo passo, tuttavia, avevano contato sull’appoggio decisivo del patriarcato ecumenico di Costantinopoli (che gode di un primato spirituale nel mondo ortodosso) che anzi aveva agevolato la scelta della creazione di una chiesa “autocefala”, cioè nazionale e indipendente, disconoscendo così, dopo 332 anni, l’influenza di Mosca sul patriarcato di Kiev (la chiesa ortodossa russa, considera l’Ucraina un proprio territorio canonico).
Da quel momento, prese forma uno scisma fra Mosca e Costantinopoli, che ha avuto conseguenze su tutto il mondo ortodosso. D'altro canto, la nascita di una chiesa ortodossa autocefala riconosciuta da Bartolomeo, ha avuto anche un forte significato politico, dopo l’annessione della Crimea da parte di Putin del 2014 e l’inizio del conflitto nella regione contesa del Donbass nello stesso anno.
La Pasqua e le armi
In questo intreccio di fede e ragion politica, s’inserisce il rapporto positivo di Bartolomeo con Francesco prima, e ora con Leone XIV. Se con il papa argentino Bartolomeo aveva stabilito di andare insieme a Nicea, in Turchia, già alla fine del maggio 2025 per celebrare i 1700 anni del concilio che pose le basi comune della fede cristiana fra oriente e occidente, quell’invito è stato riportato dallo stesso patriarca di Costantinopoli a Prevost nei giorni scorsi, il quale ha accettato di farlo entro l'anno. Addirittura papa Francesco era disposto ad accettare una data comune per la Pasqua affinché tutti i cristiani la potessero celebrare lo stesso giorno; indicatela voi, aveva detto più o meno, e noi l’accetteremo.
Ragionamenti e scelte che il patriarca russo Kirill vede come il fumo negli occhi. La sua alleanza con Putin, infatti, si basa sul principio che quella russa sia un'idea di civiltà alternativa a quella occidentale; lo ha spiegato lui stesso nell'omelia pronunciata per la messa dello scorso natale ortodosso che si celebra li 7 gennaio: «Siamo odiati dall'Occidente perché proponiamo una via diversa, un percorso alternativo di sviluppo della civiltà».
Sempre il 7 gennaio, poi, il Cremlino faceva sapere che «su richiesta di Putin il Patriarca Kirill ha benedetto le croci pettorali per i comandanti dei gruppi di truppe che svolgono compiti particolarmente importanti nella zona del distretto militare settentrionale» (vale a dire che combattono in Ucraina, ndr). Una visione delle cose che, al di là delle parole di augurio arrivate da Mosca a papa Leone, non prevede grande spazio per intese ecumeniche.
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