Il vuoto lasciato da Germania e Francia, politicamente infragilite, viene riempito da una Polonia che prende sempre più spazio nella politica europea. Ma per fare cosa? «La rivoluzione della deregolamentazione», dice Tusk. Che guarda a Washington
Il vuoto lasciato da Germania e Francia, politicamente infragilite, viene riempito da una Polonia che prende sempre più spazio nella politica europea. Ma per fare cosa? Anche se nella narrazione che Donald Tusk offre di sé il premier polacco è un impavido europeista, i fatti suggeriscono un’altra versione della storia.
La presidenza di turno
Il tempo a volte sbiadisce le leggende. La città polacca dove da questo giovedì l’intera Commissione europea si è trasferita, ad esempio, era entrata nella memoria collettiva per i cantieri navali e il sindacato che negli anni Ottanta ha avviato il crollo del regime comunista. Difficile digerire che negli ultimi anni Solidarność sia stato invece irreggimentato dal partito ultraconservatore (Pis) al governo prima della vittoria di Tusk, e che nel 2018 avesse persino affittato la sala del cantiere simbolo della lotta antiregime ai neofascisti di Onr, organizzazione vicina a Forza nuova.
Donald Tusk a Danzica ci è nato, è una città alla quale è molto legato – lui per primo, già da studente, ha preso parte attivamente al fermento anticomunista – e ha invitato proprio qui la squadra di Ursula von der Leyen: il collegio dei commissari è riunito a Danzica fino a venerdì assieme al governo polacco per concertare le priorità della presidenza di turno polacca. E stando ai discorsi coi quali Tusk l’ha presentata, ci si dovrebbe aspettare una visione di Europa «orgogliosa e forte».
Del resto – a proposito di leggende – l’ex presidente del Consiglio europeo, e presidente di Platforma Obywatelska, ha sempre fatto dell’appartenenza all’Ue un cavallo di battaglia. Prima ancora di vincere le elezioni del 2023 catalizzando le speranze dei polacchi, li aveva già portati in piazza due anni prima con le bandiere blu a stelle, contro la Polexit del Pis.
«Deregolamentazione!»
Bruxelles considera Tusk un interlocutore affidabile, e del resto il precedente era un governo ultraconservatore che usava i veti orbaniani per strappare compromessi e si faceva notare per le violazioni dello stato di diritto. Non appena si è insediato, l’attuale premier ha dato il via a un cambio dentro la tv pubblica e sono partite indagini sull’esecutivo precedente (Morawiecki incluso), tanto che dalla Corte costituzionale (condizionata dalla politica, e da quella di prima) è partita una indagine per «colpo di stato» che fa esultare il Pis.
Ma fino a che punto l’attuale premier promuove l’integrazione politica e democratica europea? Le contraddizioni erano emerse già un mese dopo la vittoria elettorale, quando in sede Ue i tuskiani si erano opposti alla riforma dei trattati, tema caro ai federalisti europei. L’uscita più recente è la dichiarazione del governo polacco sulla sua indisponibilità a rispettare il patto Ue sulle migrazioni nella parte sulla riallocazione degli arrivi, ma già prima c’era stata la sospensione del diritto di asilo, reazione tuskiana agli arrivi alla frontiera est del tutto affine a quella dei predecessori del Pis.
Come se non bastasse questo tipo di uscita dalle regole, il premier polacco spinge anche per la deregolamentazione sociale e ambientale che von der Leyen stessa sta inserendo sotto il cappello della “bussola per la competitività”. Questo giovedì la confederazione europea dei sindacati (Etuc) ha protestato proprio per l’assalto alle direttive sulla responsabilità socio-ambientale delle corporation, notando anche che nel dialogo con la Commissione gli interessi delle grandi imprese sono stati sovra-rappresentati rispetto a quelli di lavoratori e società civile. In questo contesto Tusk spinge sulla deregulation, tanto da postare sui social lo slogan: «La deregolamentazione è la nuova rivoluzione». Testualmente, «la rivolta contro le regole è inevitabile, che in Ue questo piaccia o no. Il momento è ora!».
Piacere agli Stati Uniti
Donald Tusk non ignora di certo che la Casa Bianca – ma pure i suoi frequentatori, come i ricchissimi del tech – vede con entusiasmo un abbattimento delle regole europee. Ma è anche su altri dossier che il premier polacco va decisamente incontro ai desiderata di Washington.
Non è solo un gran sostenitore dell’aumento delle spese per la difesa da parte degli europei, ma pure degli acquisti dagli Usa: nel “ritiro” di lunedì scorso, mentre il presidente francese spingeva per la preferenza europea, Tusk con Scholz sosteneva invece con disinvoltura l’opzione di armi e dispositivi statunitensi.
Già il Pis faceva incetta di materiale bellico dagli Usa, e il nuovo governo va sulla stessa linea. A novembre è stata anche inaugurata una base missilistica statunitense in Polonia (ma l’idea era in piedi già da un decennio). Tusk guarda a Washington e inoltre interpreta un’Europa con il baricentro slittato a est, inaugurando anche un dialogo coi paesi nordici e baltici, i “falchi” della difesa.
Se già il suo partito era diventato un azionista di maggioranza dentro i Popolari europei (e il premier stesso aveva negoziato per la nomina di von der Leyen), ora la Polonia stessa rivendica un ruolo strategico: Varsavia è stata invitata di recente a prender parte a un formato con Estonia, Lettonia, Lituania, Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Islanda (NB8… +1), e al contempo partecipa a quello di Weimar con Francia e Germania, facendo convogliare lì le istanze di quel pezzetto di Europa.
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