L’Unione europea, che era nata sul carbone, si rifonda ora sulla decarbonizzazione. Oggi alle cinque di mattina, in tempo per portarla in dote al summit di domani promosso da Joe Biden, l’Europa ha trovato un accordo sulla legge sul clima. Un aprile di settanta anni fa sei paesi tra cui il nostro, Francia e Germania hanno fondato l’integrazione del continente sul mercato comune di carbone e acciaio, per inaugurare un’epoca di pace tra le nazioni e tra Parigi e Berlino. Il 21 aprile l’Ue trova un obiettivo condiviso per la riduzione delle emissioni, elemento indispensabile non solo per il continente ma per il pianeta. L’obiettivo però, a detta degli ambientalisti, non è ambizioso. Anzi secondo Greta Thunberg, l’attivista che ha dato vita al movimento Fridays for Future, è «inadeguato». «L’Ue ci inganna sui numeri e ci ruba il futuro», dice.

Il “compromesso”

Di quali inganni parla Thunberg? «Sono molto stanca, abbiamo negoziato per 15 ore di fila» dice Jytte Guteland, la socialdemocratica che a nome dell’Europarlamento ha negoziato con il Consiglio fino a chiudere oggi all’alba l’accordo. «Era giusto che ci presentassimo al vertice con gli Usa da leader: sul clima, l’Ue non sarà il fratellino minore, ma la sorella maggiore di Washington». Queste sono le dichiarazioni, poi ci sono i fatti. Il Consiglio europeo, e cioè i governi, in sintonia con la Commissione, non è affatto venuto incontro agli eurodeputati che proponevano una riduzione delle emissioni del 60 per cento come obiettivo per il 2030. L’accordo si è chiuso con un obiettivo del 55 per cento di emissioni, e per di più nette. In questa cifra vengono calcolate anche le cosiddette emissioni negative, e cioè i pozzi di carbonio – boschi, foreste – che hanno impatto benefico sull’ecosistema e che l’Ue promette di potenziare. «Peccato che si tratti appunto di una promessa di Bruxelles, ma che non è inserita nella legge», dice Silvia Pastorelli dell’ufficio di Bruxelles di Greenpeace. L’obiettivo di riduzione di emissioni reale è del 52,8 per cento. Ecco perché Fridays for Future parla di numeri ingannevoli. «Quello imposto con la legge europea – dice Pastorelli – non solo non è un target ambizioso, ma proprio inadeguato per raggiungere gli obiettivi concordati nell’accordo di Parigi». La neutralità climatica entro il 2050, e un cambio di rotta entro il 2030, diventano sempre più difficili: per ambientalisti e scienziati un numero adeguato entro i prossimi nove anni sarebbe stato un taglio del 65 per cento.

Geopolitica del clima

L’adozione di questa legge è solo un caposaldo di una riforma più ampia: l’obiettivo che stabilisce va declinato in una cinquantina di altri regolamenti, e questa estate Bruxelles presenterà il suo pacchetto di proposte. Tra i punti cruciali c’è la considerazione – o meno – del gas fossile e del nucleare fra le energie rinnovabili. Una partita sulla quale gli interessi economici e politici sono molti. «Alcuni paesi come la Francia – dice l’eurodeputata verde Marie Toussaint – spingono perché le attività inquinanti vengano etichettate come verdi, e c’è il rischio che la Commissione gli dia retta, ma sarebbe greenwashing: né il gas fossile né i rifiuti nucleari aiutano l’ambiente». La legge appare agli ambientalisti come di retroguardia proprio perché è «un compromesso: fino a tre anni fa c’erano solo tre paesi, nell’Ue, a sostenere la neutralità climatica entro il 2050», dice l’eurodeputato Pascal Canfin, che ha negoziato coi governi assieme a Guteland. Non a caso la legge ha definito un obiettivo complessivo per l’Ue, e non obiettivi anche per gli stati: alcuni, e in particolare quelli che avevano basato la loro economia sui combustibili fossili, sono più recalcitranti di altri. Joan Groizard Payeras, direttore dell’istituto spagnolo per la diversificazione energetica (Idae), non nega che «sarebbe importante giocare tutti sullo stesso piano: la Spagna si sta impegnando per dismettere il carbone entro il 2022». Agli antipodi la Polonia, come dice il giornalista Edwin Bendyk: «Da noi il 70 per cento dell’energia elettrica viene dal carbone. Da poco il governo ha negoziato coi minatori per dismettere le miniere, ma il mio rimane l’unico paese in Europa che ancora non ha concepito la neutralità climatica come suo obiettivo». Lo European Council on Foreign Relations ha appena stilato un report sul “momento verde europeo”. Tra gli autori c’è Rafael Loss, che dice: «Polonia e Ungheria sono in coda mentre Danimarca, Svezia e Finlandia sono apripista. Le preoccupazioni degli europei riguardano le conseguenze socioeconomiche della transizione, anche se i movimenti per il clima hanno contribuito ad accrescere la coscienza verde». Poi c’è la variabile Washington: Donald Trump era uscito dagli accordi di Parigi, Biden ci è rientrato, dialoga con la Cina e ha organizzato il vertice di domani a cui parteciperà anche Xi Jinping. Multilateralismo climatico? «È il momento giusto per un green deal transatlantico» dice Loss, «Ocasio-Cortez e i dem hanno appena reintrodotto al Congresso il Green new deal».

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