Quando il premier polacco Mateusz Morawiecki si è avventurato nella sfida giuridica all’Unione europea, non ha considerato un effetto collaterale non da poco. Senza lo scontro sull’Europa, il suo avversario Donald Tusk non sarebbe altrettanto pericoloso né per lui, né per il suo governo e per il suo partito.

Questa estate Tusk, ex premier polacco ma pure ex presidente del consiglio europeo, e attuale presidente del partito popolare europeo, dopo anni dedicati alla politica Ue, ha annunciato il ritorno sulla scena nazionale. Adesso l’argomento della Polexit è il migliore che lui potesse trovare, per riuscire in ciò che ha annunciato: sconfiggere «il male». Così definisce il Pis, il partito ultraconservatore il cui leader è Jaroslaw Kaczynski e la cui coalizione di governo già traballa da tempo. Dunque, se la exit definitiva della Polonia dalla Ue è improbabile, la entry di Tusk guadagna consenso.

Bagno di folla

«Invito tutti coloro che vogliono difendere una Polonia europea a convogliare a piazza del Castello a Varsavia, domenica alle 18. Soltanto insieme possiamo fermarli». Così era cominciato l’appello anti Polexit di Tusk. E i polacchi, a lungo i più europeisti dell’Unione europea, gli hanno dato retta: non solo nella capitale, ma in tutto il paese, hanno risposto alla chiamata. «Violare gli standard europei ci sta togliendo diritti e libertà, quindi dobbiamo protestare insieme», il suo comizio dal palco: «Se stabiliamo un denominatore comune, sconfiggeremo questo governo spietato, e non solo su questo tema».

Con lui anche una veterana della rivolta di Varsavia, Wanda Traczyk-Stawska: «Siamo sempre stati in Europa, qui sono le nostre radici e nessuno ce ne trascinerà fuori». Ai disturbatori di estrema destra che provavano a soffocare il comizio, la ultranovantenne ha risposto per le rime: «Stupidi, maleducati! Nessuno ci condurrà fuori dalla nostra patria, la Polonia, ma neppure dall’Europa, la nostra madre». Entro l’ora di cena, Piattaforma civica, il partito fondato da Tusk vent’anni fa e da lui ripreso in mano il 3 luglio scorso, registrava 100mila persone presenti alla protesta. E il leader pubblicava foto delle piazze gremite, twittando: «Ciąg dalszy nastąpi», non è che l’inizio. Altra storia quella raccontata dalla tv di stato: “Tusk attacca la sovranità polacca”, il titolo del tg della sera.

L’europeista

La prima volta che Donald Tusk ha provato a spostare la Polonia in una direzione europeista è antica quanto la sua carriera politica. Nato nel 1957, figlio di un carpentiere e della segretaria di un ospedale, nella sua Danzica era stato protagonista di Solidarność e già durante il comunismo – da lui avversato – aveva imparato l’arte di scalare vette, in politica e non solo. Nella seconda metà degli anni Ottanta, fu proprio la capacità di lavorare in alta quota a garantirgli di che sopravvivere, mentre intanto si dava da fare sotto banco contro il regime e supportava Lech Wałęsa. Quando nel 1990, sopra le ceneri del comunismo, Tusk fonda il Kongres Liberalno-Demokratyczny (il “congresso liberal-democratico”), ha già chiari alcuni punti fermi che rimarranno con lui anche quando i nomi dei partiti da lui guidati si evolveranno: liberismo in economia, integrazione in Europa. Privatizzazioni e distanza chiara dalla Russia: una nemesi dell’èra comunista.

Da Varsavia a Bruxelles

Nelle istituzioni, Tusk c’è da almeno trent’anni: è il 1990 quando viene eletto parlamentare. Nel 2001 dà vita a Platforma obywatelska (Po), piattaforma civica, e nel 2007 ottiene la premiership: c’è lui, al governo, fino al 2014, quando lascia per presiedere il consiglio europeo. Dunque ha già sconfitto il Pis, vincendo sia nel 2007 sia nel 2011, e con altrettanta costanza vi si è scontrato: per fare un esempio eclatante, a marzo 2017 la premier polacca Beata Szydlo, espressa dal partito a lui avverso, fu l’unico capo di governo a opporsi alla sua riconferma come presidente del consiglio europeo. Che è ad ogni modo andata in porto, per concludersi alla fine del 2019. Ma da allora Tusk ha trovato comunque poltrone per lui in Ue: c’è lui alla presidenza del partito popolare europeo. Dalle istituzioni europee, ha battagliato contro una exit: non quella polacca, ma quella del Regno Unito.

Un’altra exit

Tra i momenti da ricordare c’è una foto di lui con Theresa May, mentre i due affettano una torta: l’allora presidente del consiglio europeo la postò su Instagram con una scritta tutt’altro che smielata. «Fetta di torta, magari? Mi dispiace, niente cherries, ciliegine». Era il 2018 e May, impantanata nei negoziati sulla exit, veniva messa in guardia dal polacco d’Europa: Londra non poteva lasciare l’Ue e allo stesso tempo fare cherry-picking di alcuni aspetti del mercato unico, cioè acchiappare solo ciò che era di suo gradimento. A dispetto delle sue battaglie anti exit, Tusk negli ultimi anni dalle sedi europee ha assistito sia alle infrazioni dello stato di diritto da parte di Varsavia e di Budapest, sia al graduale infragilirsi della famiglia popolare stessa, prima con gli attriti e il divorzio dal premier ungherese, poi con il recente tracollo elettorale della cristiandemocrazia tedesca.

Colpo di scena

Perché il 3 luglio 2021 Donald Tusk torna presidente del partito da lui fondato vent’anni prima? Cosa lo spinge su un aereo di ritorno per Varsavia? «Il fatto che il suo partito stesse affondando», dice lo storico polacco Adam Leszczynski; oltre che di storia, si occupa anche della cronaca: è giornalista di Oko press. «Piattaforma civica ha accolto Tusk a braccia aperte perché era crollata al 12 per cento, con in più la concorrenza di Szymon Hołownia», la star tv che ha debuttato in politica alle ultime presidenziali e che si sta conquistando uno spazio politico tra gli elettori del centro cattolico e moderato. Piattaforma civica è ormai noto anche come il partito dei sindaci: forte nelle città grandi e medie, ha avuto tra le sue fila Paweł Adamowicz, il sindaco di Danzica finito assassinato due anni fa. Ha tra i suoi animatori il sindaco di Poznań, Jacek Jaśkowiak, e il primo cittadino di Varsavia, Rafał Trzaskowski. Proprio lui nell’estate 2020 ha sfidato alle elezioni presidenziali Andrzej Duda, perdendo per un soffio al secondo turno. «Ma Tusk è arrivato e lo ha immediatamente marginalizzato nel partito», dice Leszczynski. Del resto questo è a suo dire il grande talento politico del Donald nazionale: «Persona piacevole, brillante, con cui un polacco andrebbe volentieri a cena, non come il cupo e rigido Kaczynski. Ma allo stesso tempo dietro i modi morbidi nasconde la tempra di chi non esita a far fuori gli avversari interni. Nice and tough», gentile ma tosto. Con un profilo di politico competente e la sua lunga storia politica, Tusk è «un padre della politica polacca, che piaccia o no».

Forza e debolezze

La propaganda filogovernativa è così aggressiva con l’ex presidente del consiglio europeo da far pensare di temerlo molto: Telewizja Polska, la tv di stato, lo ha definito negli ultimi anni «amico di Putin», ma pure «con un cuore tedesco», artefice «di un precipizio pre-2015», nemico della patria. E ovviamente, nemico di Kaczynski, con il quale però qualcosa in comune c’è: entrambi i leader non sono certo di sinistra. Il Pis è nazionalista, ultraconservatore e si concede derive autoritarie. Tusk invece è filo Ue, è per la libertà dei media e l’indipendenza dei giudici. Mentre Pis concede sussidi e trova consensi nei villaggi rurali, Piattaforma è per il libero mercato e a fatica piace fuori dalle aree urbane. «La working class ricorda ancora i salari bassi e la disoccupazione di quando Tusk, al governo, faceva gli interessi di classi medie e alte», dice Leszczynski. «E poi ci sono i giovani: certo non considerano lui come l’alternativa progressista». Su temi come i diritti Lgbt e l’aborto, il partito dei sindaci rimane attraversato da contraddizioni: conservatore e cattolico, anche se non ultrà come Pis, non convince l’elettorato giovane. Le femministe delle proteste pro aborto trovano interlocutori più chiari a sinistra, la comunità Lgbt lamenta che Tusk non voglia i matrimoni gay. Per ora, il leader di Platforma punta dritto al centro, senza sconfinamenti a sinistra né velleità di opposizione unita. Il legame con l’Ue è il suo vero punto di forza per mostrarsi come una alternativa radicale anche se è sulla scena dagli anni Novanta. Lui lo ha capito. E l’attuale premier?

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