In Ungheria è incominciata la caccia alle streghe. Sono più che altro gnomi, come il folletto Pumuckl, leoni, come il Re della Disney, e principesse come Mulan. Destano sospetti perché non hanno la fidanzata, e chissà che non siano gay quindi, oppure perché la loro famiglia di tradizionale ha ben poco, perché mettono in discussione i ruoli. E allora i delatori di fumetti e cartoni animati li denunciano all’inquisizione governativa. Per ora nessuna condanna, né per questi personaggi né per chi ne possiede i diritti, ma gli accertamenti sono in corso e sono pedissequi. Da quando la legge anti Lgbt voluta da Viktor Orbán è in vigore il clima è peggiorato, non solo per la comunità Lgbt in carne e ossa, pure per quella presunta e immaginaria. «Je suis Pumuckl» è il motto lanciato dall’opposizione: lo ha sbandierato sui social il sindaco di Budapest, Gergely Karácsony, e le reazioni sono arrivate a migliaia. Come quella di Eva Grabow, una utente che su Facebook ha commentato così: «Trent’anni fa, quando i miei figli guardavano Pumuckl, chi avrebbe mai pensato di guardargli dentro ai pantaloni?»

Gli effetti della legge

A giugno Fidesz, il partito di governo, ha trasformato quello che in origine era un provvedimento anti pedofilia in una legge anti Lgbt. Tra gli aspetti controversi della legge, uno riguarda la censura dell’omosessualità nell’educazione dei minori. Sotto il cappello della «difesa dei diritti dei minori», il provvedimento inserisce «il divieto di mettere a loro disposizione contenuti devianti rispetto al sesso assegnato alla nascita, o che promuovono l’omosessualità». Solo la coppia eterosessuale e la “famiglia tradizionale” ultraconservatrice hanno diritto di esistere. Le nuove disposizioni riguardano l’educazione sessuale dei minori, i contenuti che potrebbero capitar loro davanti e pure il mercato pubblicitario: tutto va adeguato al criterio della “famiglia tradizionale”.

Le segnalazioni sui contenuti audiovisivi arrivano alla authority dei media, che può comminare multe e obbligare allo stop dei contenuti. L’autorità regolatoria, che ci si aspetterebbe indipendente, è in realtà espressione di Fidesz ed è la stessa che ha tolto la licenza a emittenti indipendenti come la radio budapestina Klubrádió. Altre denunce, se i contenuti poco ortodossi non sono in tv ma nei libri ad esempio, stanno arrivando anche alle prefetture, emanazione del potere centrale.

Dopo mezzo anno dall’entrata in vigore della legge, il bilancio è di oltre 130 segnalazioni. La authority le studia, indaga, valuta se sono abbastanza dettagliate, e per ora non ha concluso nulla. La mossa di Orbán è del resto anzitutto politica: polarizzare il dibattito e replicare il modello polacco, dove la coalizione di governo ha scelto la comunità Lgbt come bersaglio. E se in Polonia la repressione di stato è arrivata nelle piazze, in Ungheria le ong segnalano che da quando c’è la legge il clima è meno sereno di prima: più episodi di omofobia sia in strada che sul posto di lavoro.

L’inquisizione dell’immaginario

(Pumuckl e il Re Leone)

«Spero che tra qualche mese rideremo di cose di cui ora potrei piangere»: con queste parole il sindaco di Budapest, che spera nelle elezioni di aprile perché Orbán venga spodestato dal contendente Péter Márki-Zay, prende posizione per lo gnomo Pumuckl. «Je suis Pumuckl! Mi chiamavano così da piccolo, per i capelli scompigliati».

Pumuckl, il folletto dai capelli rossi, è un personaggio di origine bavarese, inventato nel 1962 da Ellis Kaut. In Ungheria è molto popolare, anche perché i filmati degli anni Ottanta erano in coproduzione bavaro-austro-ungherese. Si è ritrovato ora tra i segnalati al governo «perché non si capisce se sia maschio o femmina»; la prefettura ha impiegato due settimane per dichiarare che non è pericoloso. Il povero Pumuckl le ha passate di ogni colore: già nel 2007 il suo creatore ha fatto causa all’illustratore, che pretendeva di farlo sposare; ma a Monaco il giudice ha concesso a Pumuckl di accompagnarsi a una ragazza. Poi nel 2015 qualcuno in un libro ha provato a togliergli la tipica pancia, e lì gli austriaci hanno protestato: perché mettere pure gli gnomi a dieta? Ora ci si mette anche l’Ungheria a dirgli che è troppo eterodosso, o non abbastanza etero.

Ma non è il solo. Pure il re Leone, la principessa Mulan, e persino la Bella addormentata, sono stati segnalati dai delatori ungheresi all’inquisizione, assai reale, dell’immaginario. Le ragioni? I generi non sono chiari, la famiglia troppo irregolare; non si esclude anche la pista della presa in giro al governo. E dire che la Disney già di suo in tempi recenti ha passato al setaccio i propri contenuti, senza censurarli, ma etichettando quelli non al passo coi tempi: «Siamo impegnati per creare storie che riflettano la diversità dell’esperienza umana», dice il disclaimer che segnala contenuti offensivi, dove offensive sono scene e motivi musicali che evocano razzismo o schiavismo, e dai quali neppure Dumbo o Aladdin sono indenni. Tra chi insegue il progresso e chi rincorre il passato, certo è che neppure i personaggi immaginari, di questi tempi, possono star tranquilli. 

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