Ieri mattina, uscendo dalla porta del 10 di Downing Street, Keir Starmer è inciampato, calcolando male le distanze tra il piccolo scalino e il marciapiede. Non è rovinato a terra, ma ha ripreso la sua camminata cercando di fare finta di niente davanti alle telecamere. Il piccolo episodio è avvenuto poche ore dopo l’approvazione da parte della Camera dei comuni della sua riforma del welfare, una legge più che azzoppata per non incappare in una rivolta del partito. Ed è un’immagine abbastanza emblematica del momento del premier britannico.

La riforma del welfare

I seggi in mano ai laburisti in parlamento sono più di 400 seggi, ma la riforma presentata dal governo è passata grazie a 335 voti contro 260. Decine di deputati del partito di Starmer hanno quindi votato contro il piano, con uno scarto tra maggioranza e minoranza che dagli originari 165 seggi si è ridotta in questo caso a 75. Il governo, però, per accontentare i ribelli interni ha dovuto fare marcia indietro, annacquando la riforma. Palesando così un ennesimo cambio di direzione di un premier in difficoltà. Starmer, però, a Downing Street come alla Camera dei comuni è solo inciampato. Non è caduto.

Il premier aveva inizialmente ideato un approccio più severo sui sussidi per disabili, disoccupati e lavoratori a basso reddito, cioè sullo Universal Credit e Personal Indipendence Payment (Pip), con l’unico obiettivo di tagliare la spesa pubblica. Poi ha ritrovato un equilibrio, grazie alla pressione di quei deputati Labour consapevoli che una legge troppo drastica avrebbe fatto scivolare una fetta di popolazione importante verso la povertà. Nessuna nuova regola più restrittiva per l’accesso al Pip, quindi. Con il testo passato ma che comunque continuerà a essere esaminato la prossima settimana. E i laburisti ribelli pronti a nuove offensive in caso di nuovi dietrofront.

Resta la gestione caotica del premier britannico e anche la profonda spaccatura tra il governo e i deputati del partito laburista. Pressato dai conservatori di Kemi Badenoch e da Reform di Nigel Farage, Starmer in aula non ha potuto escludere un futuro aumento di tasse. D’altronde la stima di un risparmio di 5 miliardi di sterline per le casse pubbliche, derivante dalla riforma iniziale, è ora in dubbio.

E l’ipotesi di un rimpasto per il governo, a distanza di solo un anno dalla vittoria roboante del Labour alle elezioni, è più vicina. A farne la spese potrebbe essere la cancelliera dello scacchiere Rachel Reeves, in lacrime in Aula, con Starmer che non è riuscito a esprimere parole chiare in sua difesa e che potrebbe usarla come capro espiatorio.

Il futuro di Pedro

Lo scenario del rimpasto è ben presente anche lontano da Londra, in un’altra capitale europea governata dal centrosinistra. A Madrid, infatti, Pedro Sánchez sta cercando di superare l’ennesimo scandalo nel suo partito e nel suo governo, dopo che Santos Cerdán, ex braccio destro del premier e figura apicale del Partito socialista (Psoe), è stato arrestato con l’accusa di corruzione.

Sánchez ha davanti a sé due appuntamenti, il comitato federale dei socialisti questo sabato e il congresso del 9 luglio. E sembra voler imporre una riforma completa del partito, con una sorta di rimpasto interno nella dirigenza e l’adozione di un nuovo codice etico. Un modo per cambiare le regole sulla trasparenza e per rafforzare la credibilità attorno al Psoe.

Ma a essere in bilico c’è lo stesso governo di Sánchez. Il Partito popolare di Alberto Núñez Feijóo, che vede sempre più vicino il suo ingresso alla Moncloa, e Vox di Santiago Abascal da tempo chiedono le dimissioni del premier. Ieri è andato in scena un incontro tra i socialisti e Sumar, forza di sinistra che appoggia il governo. Doveva essere un confronto chiarificatore, ma dopo due ore di faccia a faccia è stato chiarito ben poco.

Le lamentele di Sumar – arrivate tramite la coordinatrice generale Lara Hernandez – sono state accese. Specie nei confronti del lassismo del Psoe nel rispondere alle proprie proposte, avanzate con una road map precisa tra riforme anticorruzione e maggiore attenzione all’agenda sociale. Sumar, secondo cui la situazione dopo l’arresto di Cerdán è ben più grave di quanto i socialisti pensino, ha perfino ventilato il ritiro del sostegno all’esecutivo, se i socialisti dovessero proseguire con il loro «immobilismo».

La minaccia è stata minimizzata dal Psoe che ha tirato dritto, annunciando di avere intenzione di arrivare fino alla scadenza della legislatura del 2027 e definendo in ogni caso «cordiale» il mini vertice. Per Sánchez però la strada si sta facendo sempre più stretta e in salita. Il rischio di inciampi, e soprattutto cadute, è alto.

© Riproduzione riservata