L’Unione europea chiede all’Ucraina di «tirare fuori i denti» per combattere la corruzione e «l’influenza eccessiva degli oligarchi». Il fatto che Kiev abbia ottenuto lo status di candidata all’ingresso nell’Unione è fortemente connesso al ruolo europeo nella ricostruzione del paese. Neppure una settimana dopo il viaggio in Ucraina di Mario Draghi, meritorio di aver sbloccato le posizioni di Germania e Francia sul tema dell’adesione, a Kiev è andato il presidente di Confindustria «per porre le basi della ricostruzione». Adesso che l’Ucraina è candidata a entrare nell’Ue, Bruxelles ha in mano il grimaldello politico e istituzionale per spingere un pacchetto di riforme a tutela degli investitori europei, compresi quelli italiani.

«Oggi la comunità internazionale si sta mobilitando per sostenere i vostri sforzi per ricostruire il vostro bel paese», ha detto questo venerdì la presidente della Commissione europea ai parlamentari ucraini. «Dovranno arrivare investimenti massicci. Ma per massimizzare il loro impatto e promuovere la fiducia delle imprese, gli investimenti dovranno essere accompagnati da una nuova ondata di riforme». Ursula von der Leyen prepara il campo per la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina che si terrà lunedì e martedì in Svizzera, con una platea che comprende la Banca europea degli investimenti.

Il ruolo degli oligarchi

«Lasciati indisturbati, gli oligarchi penseranno di poter vivere senza regole. Gli americani e gli europei dovrebbero spingere la classe dirigente a mettere in atto finalmente quelle riforme che sono davvero necessarie in economia per stabilire condizioni concorrenziali e un ambiente salutare per investimenti stranieri». Kamran Bokhari del New Lines Institute dava questo suggerimento già prima che la Russia invadesse l’Ucraina, in un commento su Foreign Policy il 4 gennaio. A mezzo anno di distanza, con l’adesione di Kiev da negoziare, la Commissione Ue imbastisce i capitoli di riforme da attuare per poter diventare membro dell’Unione. Una delle sette raccomandazioni di Bruxelles riguarda proprio la necessità di limitare la «sproporzionata influenza degli oligarchi» e di agire «in modo non arbitrario».

La legge e le ambiguità

A settembre scorso, il giorno dopo un tentato assassinio contro il presidente Zelensky, la Rada ha già approvato una legge anti oligarchi, colpendo in particolare la cerchia vicina all’ex presidente Petro Poroshenko. «Al momento l’Ucraina è l’unico paese del nostro partenariato orientale ad aver adottato una norma per disinnescare la presa degli oligarchi sulla vita politica ed economica del paese», riconosce Von der Leyen. «Ma bisogna attuare quella legge tenendo conto delle considerazioni della Commissione di Venezia». Il governo ucraino ha accettato il supporto degli oligarchi in momenti critici come la pandemia e l’invasione russa. Ora alcuni di loro puntano proprio al business della ricostruzione, sperando che i vecchi legami con Mosca finiscano nel dimenticatoio.

Rinat Akhmetov, tuttora in cima alla lista dei super ricchi ucraini, con un patrimonio di poco inferiore ai quattro miliardi e mezzo di euro, oggi tiene a marcare la sua distanza dalla Russia e le fa causa per aver distrutto e saccheggiato la sua acciaieria, la Azovstal. Ora davanti alle telecamere della Cnn invoca «un piano Marshall per l’Ucraina» e si mette nella partita: «Ricostruiremo insieme il paese».

Il ruolo dell’Ue e di Roma

Questo venerdì Von der Leyen ha formalizzato la proposta di un miliardo di assistenza finanziaria per l’Ucraina. Si tratta solo di una parte del pacchetto annunciato a maggio, che è di nove miliardi. Ma oltre a ciò che Bruxelles promette, c’è la rete complessiva di investimenti. La Banca europea degli investimenti (Bei) lavora assieme alla Commissione agli stanziamenti per le necessità più urgenti, e intanto pensa anche a «implementare progetti di investimento e ulteriori piani di recovery». L’appuntamento del 4 e 5 luglio a Lugano disegnerà proprio il “Recovery” ucraino.

Le imprese italiane non stanno certo a guardare. Mario Draghi è stato il più esplicito sostenitore del percorso di ingresso di Kiev nell’Ue, e questo suo ruolo ha costituito un apripista per i progetti di Confindustria. Il 16 giugno, mentre si trova in Ucraina con Emmanuel Macron e Olaf Scholz, il premier italiano si mostra assai attento al tema della ricostruzione: «Tutto verrà ricostruito», dice. Il 21 giugno Carlo Bonomi è a Kiev, incontra anche lui Zelensky e col governo ucraino conclude un Memorandum of understanding sulla ricostruzione. «Come Confindustria abbiamo creduto fermamente nella necessità di questi incontri con il governo dell’Ucraina», dice Bonomi quel giorno. «La nostra iniziativa è assunta di intesa col governo italiano. Confindustria aprirà a Kiev una propria rappresentanza per coordinare tutti i progetti congiunti che da questo memorandum prenderanno avvio».

Diritti e investimenti

Non deve stupire troppo che il tema dello stato di diritto sia così connesso a quello degli investimenti, perché la dinamica a Bruxelles non è troppo differente con gli stati che sono già membri Ue. L’Ungheria ad esempio ha i suoi oligarchi e i suoi problemi di corruzione, eppure la Commissione europea, che da guardiana dei trattati dovrebbe far rispettare i valori democratici, è arrivata ad attivare un meccanismo efficace solo in quanto sistema per proteggere gli investitori. La leva che condiziona lo stanziamento dei fondi Ue al rispetto dello stato di diritto – il “meccanismo di condizionalità” approvato durante la pandemia – in origine serve proprio a garantire un quadro istituzionale e giudiziario adeguato a tutelare gli investimenti degli altri paesi europei. Come spesso accade nella storia dell’integrazione europea, è la dimensione economica a trainare le altre.

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