Questo lunedì i capi di stato e di governo riuniti a Bruxelles per la due giorni di Consiglio europeo vedranno apparire su uno schermo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. La guerra in Ucraina è inevitabilmente al centro del dibattito politico europeo, ma fare fronte comune sta diventando a tratti un esercizio dialettico. L’Europa è a tre sfumature: c’è chi vuole rompere con la dipendenza dalla Russia, c’è chi invece frena. E c’è persino chi, tra i paesi che ancora non sono nell’Ue, ma che sono candidati a entrarvi, si mette d’accordo per avere più gas da Vladimir Putin. È il caso del presidente serbo Aleksandar Vucic, che di fronte ai contratti in scadenza ha pensato di negoziare con il Cremlino un nuovo accordo sul gas. «Ulteriori forniture ininterrotte», dice la nota ufficiale a chiusura della telefonata tra i due. L’Europa in balìa dei distinguo fa a sua volta delle distinzioni: magari si può fare un embargo solo sulle petroliere, e risparmiare gli oleodotti. Magari si può aggiungere qualche eccezione ad hoc per convincere i recalcitranti. Mentre l’Ue tenta un faticoso compromesso, dall’altra parte il Cremlino fa i giochi di prestigio. Poco prima del vertice, fa promesse tutte da verificare sullo sblocco del grano dal porto di Odessa. Intanto lavora per trovare nuovi compratori al petrolio di Mosca.

Gli irriducibili (o quasi)

Il 4 maggio la presidente della Commissione europea ha fatto un annuncio solenne, in linea con gli auspici arrivati dagli Stati Uniti: «E adesso proponiamo un embargo del petrolio russo». Non sarà facile, ha concesso Ursula von der Leyen, ma dobbiamo tentare. Il Consiglio del 30 e 31 arriva poco meno di un mese dopo, e il premier ungherese, con tanto di lettera, ha redarguito che «discutere il pacchetto di sanzioni tra leader senza che ci sia un accordo sarebbe controproducente». L’invito stilato da Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ai leader, parla di «aiuto all’Ucraina, prezzi dell’energia, sicurezza alimentare, difesa». Se si va più in dettaglio, e cioè sull’embargo, qual è il «consenso che manca»? Viktor Orbán lo sa meglio di tutti. Lui frena in testa, poi, come è capitato anche altre volte, ci sono i paesi che si nascondono dietro il veto ungherese. Questo veto ha almeno due finalità: garantirsi il più possibile condizioni favorevoli, e soldi, dall’Ue, visto che i fondi europei all’Ungheria sono impantanati per la querelle sullo stato di diritto. Inoltre, mantenere un rapporto pragmatico con Mosca: se non bastassero le critiche alle sanzioni europee che Orbán e Marine Le Pen hanno espresso all’unisono, c’è la composizione del nuovo governo ungherese a parlare da sé. Il nuovo ministro della Difesa, Kristóf Szalay-Bobrovniczky, è coinvolto in affari con il colosso russo Transmashholding, toccato dalle sanzioni occidentali. Grande alleato di Orbán, Vucic fa lo stesso gioco, al rialzo, visto che la Serbia non è ancora nell’Ue. Dopo aver garantito al Cremlino un corridoio aereo mentre l’Ue chiudeva i suoi cieli alla Russia, ora il presidente serbo fa il gran compratore del gas di Mosca. I contratti di lungo termine per le forniture russe erano in scadenza il 31 maggio, così Vucic invece di staccarsi dall’energia di Mosca ha programmato una telefonata con Putin per rinsaldare i rapporti. «I due presidenti hanno confermato l'intenzione reciproca di rafforzare il partenariato strategico tra Russia e Serbia», hanno concordato «ulteriori forniture ininterrotte di gas naturale russo alla Serbia»; ma hanno parlato anche «di Kosovo e Ucraina». Intanto la Serbia stringe sempre più con la Cina, che di recente ha spedito missili al paese, oggi gran destabilizzatore dei Balcani.

Compromessi e manovre

Domenica a Bruxelles si è incontrato il Coreper – l’organismo composto dai rappresentanti permanenti dei governi in Ue – con l’obiettivo di rivedere la bozza che i leader avranno sul tavolo al Consiglio di inizio settimana. Un escamotage per superare le resistenze sull’embargo di petrolio consiste nel dividere le forniture: consentire ancora gli arrivi via oleodotto, e bloccare solo le importazioni tramite petroliere. Tra gli argomenti usati da Orbán per contestare lo stop totale, c’è proprio la mancanza, per il suo paese, di accessi via mare per l’importazione di energia: «Ci hanno tolto il mare», è l’uscita nazionalista usata dal premier, che evoca la «Grande Ungheria» pre-Trianon, suscitando le reazioni irritate della Croazia. Con il compromesso, il petrolio russo continuerebbe a fluire intonso, dalle raffinerie ungheresi e slovacche, in mano alla multinazionale Mol. Il 60 per cento del petrolio, in Ungheria, è russo. In caso di taglio solo all’importazione via petroliere, un terzo delle forniture russe all’Ue resta invariato. A ciò si aggiungerebbero deroghe ad hoc per Bulgaria e Croazia. Mentre l’Ue depotenzia la propria azione, Putin si esercita a rafforzare il proprio raggio d’azione per ogni evenienza: la Russia sta cercando attivamente nuovi compratori per il suo petrolio. Lavora a un «centro di esportazione eurasiatico, una società che assicuri il commercio e l'istituzione di zone economiche speciali che operino a livello transfrontaliero».

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