Quando Angela Merkel abbandonerà la scena politica non sarà solo la Germania a perdere un’ancora di stabilità. Anche Parigi vedrà venir meno colei che nel bene e nel male ha guidato il principale alleato della Francia per gli ultimi sedici anni. In un lasso di tempo così lungo è stato inevitabile per i presidenti francesi abituarsi perfino a una cancelliera che non ha sempre condiviso le priorità politiche dei loro governi. La metafora più adatta, e che si estende all’intero rapporto franco-tedesco, è forse quella di un lungo matrimonio, nel quale litigi e insofferenze sono sopportabili proprio perché accessorie ad un rapporto indissolubile.

Compagnons des mauvais jours

Ora, parlare di amore in relazioni internazionali è forse un po’ azzardato, ma la cosiddetta coppia franco-tedesca gode di ciò che in politica più si avvicina al legame affettivo: il vincolo istituzionale. I molti momenti di riconciliazione post-bellica – prima di tutti la foto di Helmut Kohl e François Mitterand mano nella mano nel cimitero di Verdun – sono note di pathos a una convergenza strategica ormai quasi inossidabile.

Lo sviluppo di un feeling reciproco non è stato un lavoro da poco. I due accordi che sanciscono l’alleanza fra i due stati, i trattati dell’Eliseo (1963) e di Aquisgrana (2019) hanno fatto molto per avvicinare le due classi dirigenti: un’organizzazione di scambio giovanile (l’Ofaj), diversi forum per il governo delle regioni di confine, la regolare partecipazione di ministri alle riunioni di gabinetto del paese partner, un’assemblea parlamentare congiunta incaricata di coordinare le iniziative legislative, scambi fra i quadri delle banche centrali. A ciò si aggiungono le molte consultazioni fra i funzionari europei dei due paesi, che sulla maggior parte dei dossier tendono a elaborare una posizione comune prima di affrontare gli altri 25 delegati dell’Unione europea.

Convergenze parallele

Questa convergenza ha evidenti vantaggi per entrambi i paesi. La forza della Germania risiede nella propria capacità di bloccare processi e proposte non gradite a Berlino, ma ciò raramente si traduce nell’abilità di mobilitare i propri partner in una politica proattiva. La politica ambivalente di Angela Merkel nei confronti della Russia, che ha imposto sanzioni senza però bloccare la costruzione del gasdotto North Stream II, non sarebbe stata sostenibile senza il supporto di Emmanuel Macron nei negoziati europei sulla linea da tenere nei confronti di Mosca.

Alla Francia, d’altro canto, la partnership con la Germania permette di amplificare le proprie iniziative politiche e tradurre la propria potenza diplomatica e militare (anche nucleare) in capitale politico spendibile all’interno del blocco. L’esempio più recente è l’approvazione del Next Generation Eu e l’emissione di debito comune da parte della Commissione europea, un’iniziativa a lungo osteggiata dai governi rigoristi anche nel pieno di una catastrofica pandemia. Solo il sostegno di Berlino ha permesso ai francesi di spuntarla contro il veto di Austria, Paesi Bassi e Finlandia.

Parigi ha l’imbarazzo della scelta

È quindi naturale che l’Eliseo guardi con molto interesse alle possibili coalizioni di governo. I Verdi sono il partito che forse ha più colto lo spirito riformatore di Macron, e dall’opposizione hanno spesso ripreso la Grande coalizione per non aver saputo dare una risposta adeguata alle ambiziose iniziative del presidente francese in campo economico e diplomatico-militare.

La Spd, d’altra parte, è stata il principale attore di governo ad aver sostenuto le politiche fiscali francesi, con Olaf Scholz (ieri in visita dal presidente francese) particolarmente impegnato sul fronte della tassazione globale.

La Cdu, soprattutto le sue correnti più conservatrici, è forse il partito meno interessato ad approfondire ulteriormente la collaborazione con Parigi. Il candidato Armin Laschet, che sarà a Parigi mercoledì, ha comunque il ruolo di plenipotenziario del partito per i rapporti culturali franco-tedeschi, mentre il leader bavarese della Csu Markus Söder è stato ampiamente corteggiato da Macron quando sembrava che quest’ultimo avrebbe conquistato la candidatura a cancelliere a inizio 2021.

A Parigi serve però qualcosa di più del solito governo filofrancese. Le elezioni tedesche precedono infatti di pochi mesi la campagna elettorale per l’Eliseo, che da gennaio si sovrapporrà alla presidenza di turno del Consiglio Ue. La maggioranza macronista (La République en Marche, ma anche gli europeisti di MoDem) sfrutterà le prerogative della presidenza di turno per rafforzare il profilo politico del capo dello stato. Sarà quindi auspicabile che a Berlino ci sia una coalizione di governo coesa su cui non gravino troppi veti incrociati per quanto riguarda i temi cari a Macron.

I problemi irrisolti

Nonostante l’apparente armonia, la coppia franco-tedesca ha diverse questioni da risolvere. Sul fronte economico, Parigi deve sperare che il declino di posizioni rigoriste non sia un fenomeno passeggero. Nonostante l’arrivo di economisti più vicini alle posizioni francesi al ministero delle Finanze guidato da Scholz, e pur essendo il ministro dello Sviluppo economico Peter Altmaier (Cdu) decisamente più vicino al dirigismo francese che all’economia sociale di mercato tedesca, un governo guidato dalla Cdu (ancora in mano soprattutto a vecchi volti dell’austerity) o dai liberali (ostili a un trasferimento di competenze fiscali all’Ue) renderebbe difficile raggiungere un rapido accordo.

La politica estera è un altro argomento spinoso. Nonostante alcuni passi avanti la prudenza tedesca è ancora lontana anni luce dall’interventismo francese. La classe dirigente conservatrice, con la ministra della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer in testa, teme che qualsiasi iniziativa di autonomia strategica europea possa indebolire la Nato. Le forze progressiste hanno invece un atteggiamento più ambiguo: se da un lato condividono la posizione francese, sono parecchi i membri della Spd che si oppongono a una politica più muscolare. Molte concessioni fatte dalla Germania a Parigi negli ultimi anni, come la partecipazione alla guerra nel Sahel o l’impostazione del programma per un caccia di nuova generazione (Fcas) a vantaggio dell’azienda francese Dassault, sono state date più per lealtà all’alleato che per convinzione.

La vera domanda, alla quale Berlino dovrà rispondere in tempi brevi, è se il nuovo governo sarà disposto a imbarcarsi nei progetti a lungo termine che Macron cercherà di mettere in moto durante il semestre di presidenza per cavalcare la campagna elettorale. Chi sarà a guidarlo, sarà del tutto secondario.

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