Brexit «non ha avuto conseguenze disastrose». L’Europa esiste «come alleanza di stati sovrani»; bisogna tornare a una «organizzazione vestfaliana». Marine Le Pen illustra la sua politica estera: vagheggia «un riavvicinamento strategico tra Nato e Russia» e al contempo insiste sull’uscita dal comando integrato della Nato. Lancia affondi a Berlino e all’Ue. Il suo piano per «riformare» (sgretolare) dall’interno l’Europa, che è così affine al modello orbaniano, va letto assieme ai suoi piani per la democrazia francese: anche quelli richiamano le derive ungheresi. «Sono io che decido», risponde la leader del Rassemblement national quando i giornalisti in sala protestano perché ad alcuni l’accesso non è consentito. Questa parte della conferenza stampa – «sono io che decido» – circola appunto grazie ai cronisti: la diretta streaming di Le Pen si ferma al suo monologo; si interrompe quando iniziano le domande. Nel giro di due giorni, in due discorsi distinti, Le Pen ha raccontato pure su YouTube come intende «l’esercizio del potere», martedì, e «la politica estera», mercoledì. Qualcosa accomuna i suoi piani per la politica interna ed estera: l’avversaria al ballottaggio del presidente in carica sta sfruttando le debolezze della democrazia francese, e la polarizzazione del sistema politico, per tentare di smantellare lo stato di diritto in Francia e la costruzione comunitaria in Europa. Il mandato di Emmanuel Macron, cominciato nel 2017 con la promessa di «sradicare l’extrema destra», si sta concludendo nel modo opposto: con il presidente in carica, l’estrema destra occupa sempre più spazio. E l’infragilirsi del sistema democratico francese, che esce dall’èra Macron sempre più polarizzato, è la debolezza che Le Pen sta sfruttando per aprire la strada allo sgretolamento della democrazia rappresentativa e della costruzione europea. Il «popolo» è il suo feticcio. Macron confida che il «fronte repubblicano» gli consegni la vittoria su Le Pen e mette in guardia che se fosse lei a vincere, le conseguenze sarebbero «per l’Europa». Ma intanto ha consegnato all’estrema destra più spazio e più argomenti; ora l’Ue corre rischi più alti che nel 2017.

Sfruttare le debolezze

«Questa è la Francia dei dimenticati, dei senza rappresentanza». Per parlare della sua visione di democrazia, Le Pen ha scelto non a caso Vernon, in Normandia: è una roccaforte dei gilet gialli. «Macron ha represso il movimento, lui rappresenta un’oligarchia che vuole governare al posto del popolo!», dice la candidata alla presidenza. Ha nelle sue mani tutte le debolezze democratiche che l’attuale presidente lascia in consegna: lo smantellamento progressivo del welfare, lo scandalo McKinsey con la esternalizzazione sempre più ampia di porzioni di amministrazione pubblica a società di consulenza private; e una Francia che dal 2015, prima per gli attentati, poi per la pandemia, si è ritrovata con una democrazia congelata dentro innumerevoli stati di emergenza. Sull’ingiustizia sociale e sul sentimento di esclusione dei ceti popolari fa leva Le Pen, ben più di Éric Zemmour, che pure farà convergere i suoi voti su di lei. La destra di Zemmour «ha un’impostazione liberista: lui al primo turno ha avuto i risultati migliori in quartieri ricchi della capitale e sfrutta un processo di radicalizzazione della borghesia. Attira questa fetta di elettorato agiato puntando su temi identitari, come il remplacement, la paura che immigrati e musulmani ci spazzino via», spiega Jean-Yves Camus, uno dei maggiori esperti di estrema destra francesi. A Le Pen resta l’argomento del popolo – «il popolo deve decidere» – e lo sfrutta, assieme alle fragilità democratiche del paese, per bersagliare la democrazia rappresentativa.

L’illusione del popolo

Già nel 2017 il centro di ricerca Cevipof di Sciences Po ha messo in guardia: «La contrapposizione tra populisti ed elitisti a cui assistiamo nello scontro al secondo turno tra Le Pen e Macron riattiva il confronto tra chi vuole la democrazia diretta e chi quella liberale». La conclusione dello studio di Luc Rouban era che «la domanda di rinnovamento politico passa oggi per la messa in discussione della democrazia rappresentativa». In questo senso, il fenomeno Le Pen attira populisti ed è populista: «Il populismo poggia sull’argomento che il popolo sappia cosa è giusto per sé». Cinque anni dopo, Le Pen ha un piano, e lo ha illustrato a Vernon: vuol governare a colpi di referendum. «Voglio consultare l’unico esperto che Macron non ha mai sentito: le peuple». I referendum che ha in mente Le Pen sono contro l’immigrazione e per far saltare l’ordinamento giuridico europeo, facendo valere la priorità «della nazione», oltre che dei francesi: «Vuole introdurre la preferenza nazionale, cioè vantaggi per impieghi e prestazioni sociali solo ai francesi. Belle grane per l’Ue», commenta Lynda Dematteo.

L’antropologa politica dell’Ehess, autrice dello studio etnografico sulla Lega L’idiotie en politique, nota che «la Lega per anni ha usato gli stessi argomenti per il referendum popolare contro l’immigrazione clandestina». Anche Viktor Orbán nel 2016 ha fatto un referendum anti migranti. «Una costante, tra queste destre. Ma usare la forza dei numeri contro i diritti non vuol dire essere democratici», dice Dematteo.

Macron e la polarizzazione

Mentre Le Pen si presenta come àncora di salvezza a «una globalizzazione selvaggia», le alternative all’estrema destra si riducono. Nel 2017 il partito socialista crolla al sei per cento, nel 2022 la destra dei Républicains scende sotto il cinque. «Macron ha occupato il campo centrale del sistema politico, assorbendo centrodestra e centrosinistra: lui si espande, ma i partiti moderati ne escono sempre più deboli, mentre lo spazio resta per i più radicali».

E così la polarizzazione aumenta, come spiega Gilles Ivaldi di Sciences Po. La polarizzazione però «è asimmetrica: è sbilanciata a destra. Macron stesso, che la ha favorita, si è sempre più spostato a destra».

© Riproduzione riservata