La premier italiana ha tenuto un vertice con una dozzina di paesi interessati a «soluzioni innovative» sulla lotta ai migranti irregolari. Un tema su cui anche nella sua maggioranza, divisa sulle spese per la Difesa, c’è unità
Sulla difesa, l’Italia non può fare scatti avanti. Sull’Ucraina neanche, così come sul Medio Oriente, due fronti su cui si mantiene in scia rispetto alla posizione ufficiale dell’Unione europea. Stesso discorso per i dazi, visto il rapporto che vuole avere con Washington. Per questo Giorgia Meloni vuole muoversi su dossier in cui riesce ad avere più forza, all’interno e all’esterno dei confini nazionali. Come quello della lotta alle migrazioni.
Il vertice sui migranti
Ieri, prima dell’inizio del Consiglio europeo la premier italiana ha presieduto una riunione informale, insieme alla prima ministra danese Mette Frederiksen e all’olandese Dick Schoof, con diversi leader europei interessati a possibili «soluzioni innovative» per la gestione del fenomeno migratorio. Dall’Austria alla Grecia, dal Belgio a Cipro, dalla Lettonia a Malta, ma anche la Polonia, la Repubblica Ceca, la Svezia e l’Ungheria. Anche la Germania di Friedrich Merz era presente.
Con una nota Palazzo Chigi non ha perso tempo nel sottolineare il ruolo preponderante di Meloni. Un’autorevolezza conquistata grazie al piano Albania, nonostante il fallimento di fondo del progetto originario italiano. La presidente del Consiglio ha indicato nuovi «filoni di lavoro» in questo gruppo informale di paesi, mentre Ursula von der Leyen ci ha tenuto a elencare tutte le recenti mosse della Commissione Ue, come la proposta del nuovo regolamento rimpatri.
Premere sulla lotta alle migrazioni è un impegno che von der Leyen vuole mantenere nel tempo, le permette di strizzare l’occhio a Meloni e alla destra europea. Dinamica fondamentale in un momento in cui sia a sinistra sia a destra si minacciano voti di sfiducia alla presidente della Commissione. Ragion per cui von der Leyen ha dato appuntamento al prossimo 10 dicembre, a Bruxelles, per una vertice della Coalizione globale contro il traffico di migranti.
Con la promessa di continuare il coordinamento, nei prossimi vertici, con questi paesi, una sorta di nuovi Volenterosi contro i flussi migratori. E, al contrario degli originali Volenterosi, quelli a sostegno dell’Ucraina, la premier italiana è ben felice di intestarsi la guida di questa compagine. Anche perché sa di avere un mandato forte, con la sua maggioranza di governo che sul tema migrazioni è unita.
Imbarazzi e divisioni interne
Tutto il contrario, per esempio, rispetto a quanto succede attorno all’aumento della spesa per la difesa deciso al vertice Nato dell’Aia. Oggi tra vecchi e nuovi premier ci si rinfaccia ancora la decisione del 2014 – e degli anni successivi – di aver posto l’asticella al 2 per cento. Meloni, nel bene e nel male, sarà quindi ricordata per aver sottoscritto l’aumento al 5 per cento, pur comprendente una quota dell’1,5 per voci legate a infrastrutture o alla cybersecurity.
La presidente del Consiglio si è presa una responsabilità che in termini elettorali difficilmente paga, considerando che l’opinione pubblica del paese è largamente anti riarmo.
Tanto più se, pur difficile da prendere, l’alternativa c’era. È stata mostrata dallo spagnolo Pedro Sánchez, che si è impuntato sul fatto che il 2,1 per cento sia sufficiente a Madrid per raggiungere gli obiettivi della Nato. Difendendo un punto di equilibrio tra la necessaria attenzione alla difesa e quella verso lo stato sociale.
Un modello e una via criticata da Fratelli d’Italia, con Giovanni Donzelli che ha parlato di «interesse degli italiani» e di un bisogno di «ragionare su cosa serve alla nazione tra venti o trenta anni, senza l’ansia dell’ultimo sondaggio».
A ogni modo, più facile pensare ai migranti che alla difesa, dove anche Forza Italia e Lega hanno espresso posizioni differenti: il partito di Antonio Tajani è soddisfatto, quello di Matteo Salvini ben più scettico e pronto a manifestare malumore.
Le opposizioni invece protestano, con Pd e Avs che non vogliono lasciare al Movimento 5 stelle la battaglia solitaria contro il riarmo.
Sullo sfondo ci sono gli avvertimenti lanciati dalla Corte dei conti. Durante la presentazione del Giudizio di parificazione del rendiconto generale dello stato per l’esercizio finanziario 2024, il procuratore generale, Pio Silvestri, ha evidenziato che «per l’Italia si tratterà di fare scelte in linea con la partecipazione agli organismi internazionali, ma comunque difficili stante la situazione di deficit di bilancio ancora consistente e il contesto ancora lontano dalla ipotesi di costruzione di un sistema di difesa europea».
Intanto le tensioni interne al governo, tra Lega e Forza Italia, hanno toccato l’apice ieri quando, in commissione Affari costituzionali al Senato, l’emendamento dei leghisti sul terzo mandato dei presidenti di regione è stato bocciato. I voti a favore sono stati solo cinque, oltre alla Lega anche Italia viva e il rappresentante delle Autonomie. I contrari 15, tra cui quelli di FI. Astenuti i due esponenti di FdI.
Un esito amaro, commentato laconicamente dal ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli: «Non ho apprezzato il muro eretto da Forza Italia». Mentre ha gradito di più l’astensione dei meloniani e «la disponibilità ad affrontare l’argomento e a trovare delle possibili soluzioni».
© Riproduzione riservata