A Roma osservano con attenzione il cambio di governo a Berlino, dove a sua volta il probabile futuro cancelliere è rimasto colpito positivamente dalla presidente del Consiglio. Ma nel gioco delle alleanze Ue, anche il futuro cancelliere tedesco potrebbe aver bisogno della premier italiana
In un dipinto ottocentesco di Friedrich Overbeck, Italia und Germania, l’allegoria della Germania si sporge come per sussurrare qualcosa all’Italia, che le tiene la mano e sembra assorta nei suoi pensieri. Nella vita reale, i ruoli potrebbero invertirsi. Dopo le elezioni Friedrich Merz e la sua squadra stanno diventando sempre più interessanti per Giorgia Meloni. Come da sua abitudine la premier italiana sta pensando di giocarsela instaurando un rapporto personale con il probabile nuovo cancelliere cristianodemocratico. Un po’ come accaduto con il presidente americano Donald Trump.
Tutto un feeling
Meloni ha incontrato Merz a Bruxelles a inizio marzo a margine di un Consiglio europeo. Un faccia a faccia che ha colpito il leader della Cdu. «È molto pragmatica», avrebbe raccontato ai suoi, positivamente sorpreso. Già il 24 febbraio, il giorno successivo alle elezioni, palazzo Chigi aveva diffuso un comunicato per rendere noto che Meloni si era congratulata con Merz.
Prima ancora, a fine gennaio, il leader della Cdu si era profuso in parole di stima per la leader italiana al forum di Davos, dove l’ex banchiere si muove con agilità, mentre Meloni, in un primo momento, aveva raccolto solo sopraccigli sollevati: «Non capisco i pregiudizi nei suoi confronti, credo sia molto proeuropea». Wahlverwandschaften, affinità elettive, direbbe l’appassionato di Italia Johann Wolfgang von Goethe.
Certo, alla Konrad-Adenauer-Haus rimangono molto prudenti sul dossier italiano. Un partito come FdI, con certe nostalgie, resta materiale radioattivo per un cristianodemocratico atlantista come Merz. Tanto più che il suo breve salto oltre la Brandmauer, il “muro di fuoco” che i partiti democratici del Bundestag hanno costruito attorno all’estrema destra, quando ha accettato di votare insieme ad AfD prima delle elezioni, gli è costato parecchia credibilità.
Ma Merz ha piani ambiziosi per riposizionare il suo paese nel cuore dell’Europa. L’ex banchiere di BlackRock ha intenzione di cancellare l’abitudine del cosiddetto “voto tedesco”, l’imbarazzata astensione a cui Berlino ha abituato i partner europei negli ultimi tempi, e ha già in mente come farlo. Il futuro cancelliere ha studiato in Francia e – in maniera piuttosto telefonata, visto il rapporto privilegiato tra Berlino e Parigi – ha visitato nei giorni immediatamente successivi alla vittoria elettorale il collega Emmanuel Macron.
Dall’incontro è filtrata un’intesa decisamente più solida di quella che c’era con Olaf Scholz, ma il patto con il partner d’elezione agli occhi di Merz è solo la prima tessera (anche se piuttosto importante) del suo mosaico di alleanze. Una delle priorità che ha discusso con i suoi prevede di puntare forte sul Triangolo di Weimar, l’alleanza con Francia e Polonia rilanciata anche da Scholz nel momento in cui in Polonia è andato al governo Donald Tusk, particolarmente apprezzato da Merz.
Ma il Triangolo non gli basterà per gestire la questione dei migranti. Con una sterzata a destra, la Cdu è riuscita, attraverso promesse durissime in termini di respingimenti e ricollocazioni, a togliere parzialmente terreno sotto i piedi all’estrema destra di AfD.
Merz, però, si è presentato anche come difensore dell’austerità, legge scolpita nella pietra dal suo mentore, Wolfgang Schäuble. Peccato che ancora prima di giurare da cancelliere, il capo della Cdu abbia presentato un piano di investimento a debito da mille miliardi. Ora Merz deve convincere i suoi elettori del fatto che è l’uomo giusto nel posto giusto e, soprattutto, che non li ha ingannati in campagna elettorale. E su questo Meloni gli può dare una mano: nel programma elettorale della Cdu è prevista la deportazione dei richiedenti asilo in centri di accoglienza in paesi terzi, una misura ancora più dura del programma albanese immaginato dalla premier italiana.
Il partito
Ma una questione su cui i cristianodemocratici non hanno intenzione di transigere in realtà c’è: il fatto che la Cdu/Csu sia imparentata politicamente con Forza Italia. Da sempre sono nel Ppe assieme, e i tedeschi non hanno intenzione di passare sopra la testa di Antonio Tajani.
«Deve restare lui il fulcro del rapporto tra i nostri partiti» spiegano da Berlino. E poco importa che Meloni incontri Merz e accolga a palazzo Chigi, come è successo qualche mese fa, Markus Söder, capo della Csu. Anche perché l’omologo di Tajani potrebbe essere proprio un esponente cristianodemocratico, visto che Boris Pistorius, ministro della Difesa uscente, socialdemocratico, ha ottime possibilità di rimanere al suo posto.
In realtà il partito della premier, pur non facendo parte del Ppe, riesce a lavorare alla pari con la Cdu. A differenza della Lega, che ha celebrato senza esitazioni il risultato elettorale di Alice Weidel e briga per riportare AfD nel gruppo dei Patrioti, i meloniani continuano poi a bollare l'estrema destra tedesca come «infrequentabile».
Ma chi, oltre a Meloni, dovrebbe portare avanti questo lavoro? FdI non ha un vero responsabile esteri, anche il sottosegretario meloniano Edmondo Cirielli ha deleghe che riguardano soprattutto il terzo settore. A svolgere informalmente quel ruolo, negli ultimi due anni e mezzo, è stato Giangiacomo Calovini. Bresciano della generazione Atreju, deputato al primo mandato eletto nel collegio blindato di Desenzano del Garda. È anche presidente della sezione d’amicizia bilaterale Italia-Germania e negli ultimi mesi ha lavorato sul rapporto con l’ambasciatore tedesco in Italia, Hans-Dieter Lucas, in carica dal 2023. Per esempio insistendo sul legame strettissimo che unisce l’indotto delle pmi del Nord Italia alle grandi aziende tedesche. In realtà la collaborazione non sembra essere così solida. La ragione, dicono, starebbe nel poco feeling del diplomatico tedesco con la sua assegnazione (arrivata dopo una lunga luna di miele con Parigi) e in una serie di tensioni interne alla rappresentanza diplomatica.
Il Piano d’azione
Al contrario Meloni, appena un paio di mesi fa, ha inviato a Berlino il nuovo ambasciatore Fabrizio Bucci, che succede ad Armando Varricchio. Ovviamente la decisione è di Tajani e, come recita una battuta ricorrente nei corridoi della Farnesina, «gli ambasciatori sono tutti fedeli alla presidente». Ma il fatto che Bucci sia stato di stanza finora a Tirana sembra qualcosa di più di una fortunata coincidenza.
Anche perché alla Farnesina, raccontano, negli ultimi tempi non ci si è troppo occupati di ciò che accadeva a Berlino. Eppure il lavoro non manca visto che il Piano d’azione, l’accordo bilaterale sottoscritto a fine 2023 che prevedeva una serie di confronti tematici ricorrenti, è rimasto lettera morta.
Motivo in più per considerare l’assegnazione di un grande esperto di faccende europee come Bucci un passo avanti per rafforzare i rapporti. Anche se, almeno per il momento, lui, come anche il consigliere diplomatico di palazzo Chigi, Fabrizio Saggio – c’è grande attesa per la scelta dell’omologo che lavorerà al fianco di Merz – continuano a non giocare un ruolo di primissimo piano.
Come resta fuori dai giochi Elisabetta Belloni, consigliera diplomatica di Ursula von der Leyen, altra esponente della Cdu. Nonostante il rapporto stretto tra la presidente della Commissione e la diplomatica, dal partito giurano che per von der Leyen continui a restare prioritaria la buona collaborazione con Meloni, grazie alla cui benevolenza la presidente si è guadagnata un secondo mandato. E ora non vuole perdere il feeling che le permette di sussurrare all’orecchio della presidente del Consiglio, quasi come fa nel quadro la Germania di Overbeck.
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