Il fallimento del primo voto al Bundestag è una festa per i trumpiani che preferiscono una Germania impotente. Merz ora va a Parigi e Varsavia, Macron inneggia al motore francotedesco. Non c’è grande spazio per sogni europeisti, ma visti i tempi anche una solida realtà è un miraggio
Non basta guardare il finale per dire di aver visto un film. Altrettanto vale per l’investitura di Friedrich Merz a cancelliere.
Il finale in sé ci racconta di un programma intonso: questo mercoledì Merz va a Parigi e a Varsavia, come aveva previsto sin dalla vittoria alle urne. Eppure la dinamica nel Bundestag – il primo voto che non va in porto nonostante la coalizione di governo possa contare in teoria su 328 voti che superano i 316 necessari – rappresenta un pesante avvertimento consegnato a Merz e all’Europa per mano di 18 tedeschi tiratori.
La posta in gioco
C’è da scommettere che davanti a quel primo voto fallito – mentre i macroniani, pure Hayer in Ue, si allertavano – a Washington abbiano stappato champagne, anche soltanto col pensiero: né la Casa Bianca, né i poteri privati che la frequentano come fosse casa loro, hanno mai taciuto di tifare per il deragliamento della Germania (e dell’Ue) sulla scia del postnazismo neoliberista di Alice Weidel e di AfD.
Comunque la si pensi sul cancelliere – cresciuto politicamente nel perimetro del Patto Andino, una Polit-loge e cioè una potente lobby interna alla Cdu, al maschile e antimerkeliana, oltre che legato a doppio filo ai grandi poteri economico-finanziari dei quali è stato parte integrante – la solidità sua, della coalizione e quindi della Germania si riflette su quella del continente. E viceversa: non a caso dagli States arrivano spintoni che in questa forma e spregiudicatezza sarebbero stati inimmaginabili, se non fossimo nell’era in cui ogni regola e confine è valicabile, dal meme del presidente Papa al video della Striscia-resort.
Non c’è solo Elon Musk che da membro dell’amministrazione Trump ha fatto campagna per Weidel, né solo il vicepresidente Usa JD Vance che ha scelto Monaco per andare a dire alla Cdu che Berlino deve rompere il cordone sanitario verso l’estrema destra. C’è pure il segretario di stato (e consigliere per la sicurezza ad interim) Marco Rubio che in veste ufficiale interviene dopo il pronunciamento dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione – «La Germania ha appena conferito alla sua agenzia di spionaggio nuovi poteri per sorvegliare l'opposizione: non è democrazia, è tirannia mascherata» – e dice da Washington a Berlino: «Deve cambiare rotta».
Il governo tedesco ha risposto a post con post, perché come nota Tom Nuttall, corrispondente dell’Economist a Berlino, «un ambasciatore americano in Germania non c’è per una decisione deliberata: dunque è così che i due governi comunicano».
Una coalizione instabile e un cancellierato zoppo fanno gioco all’AfD e ai sostenitori oltre oceano.
Quale festa per l’Europa
Per questa Casa Bianca l’Europa non può né deve essere paritaria ed emancipata: ci si aspetta che si allinei agli Usa (come ha detto il segretario al Tesoro) ma senza risparmiarle colpi; persino uno dei premier europei più spintamente filo Usa, Donald Tusk, li ha sperimentati, al punto da segnalare che «una vera leadership» non tratta così gli alleati.
Il 9 maggio è la festa dell’Europa – quella della dichiarazione Schuman – e l’Europa avrebbe un disperato bisogno di qualcosa da festeggiare. Emmanuel Macron – che con il cancelliere fa coppia di fatto, cena ed è in contatto costante sin da quando Merz ha vinto le elezioni – lo aspetta questo mercoledì a Parigi per «rendere il motore francotedesco più forte che mai».
Nella stessa giornata, anche Tusk attende il cancelliere a Varsavia: il triangolo di Weimar sta per ricomporsi. Al momento Roma è in ritardo, sia nell’agenda del cancelliere sia nei tempi di reazione: le congratulazioni di Meloni, per la quale i rapporti col Ppe e quindi con la Cdu sono cruciali, sono arrivate ma ben dopo quelle di tanti altri.
La coalizione semaforo di Scholz – che aveva nel patto fondativo slanci federalisti europei – ha presto disertato ogni ambizione di leadership europeista; anche i rapporti con Parigi sono stati attraversati da dissapori. Su Merz cadono ora aspettative di cambiamento, non tanto perché lui possa soddisfarle ma per la percezione della loro necessità.
Von der Leyen, abituata a seguire il governo tedesco già con Scholz e ancor più con «l’amico» Merz, scrive che «lavoreremo insieme per un’Europa più forte». Il cancelliere pare puntare anzitutto a un’Europa a più velocità, dove la bussola dell’interesse pragmatico detta l’andatura; anche su questo si costruisce la sintonia con Macron. Tra le prese di posizione degli ultimi giorni, c’è quella per la deregulation europea. Non c’è grande spazio per sogni europeisti, ma visti i tempi anche una solida realtà è un miraggio.
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