Un primo contatto positivo. Anzi, più che positivo: Friedrich Merz e Donald Trump si sono incontrati da pari, con grandi complimenti reciproci e, soprattutto, nessun riferimento problematico del presidente americano alle vicende di AfD, lo scenario più temuto dallo staff del cancelliere prima dell’incontro. Non a caso Merz aveva diffuso una nota poco prima dell’incontro nello Studio Ovale, promettendo che qualora Trump avesse voluto parlare di politica interna tedesca, l’avrebbe assecondato volentieri, «ma dirò in modo molto chiaro quello che penso, se sarà necessario». Una preoccupazione tutt’altro che peregrina, considerato l’intervento a gamba tesa di J.D. Vance prima e Elon Musk poi nella campagna elettorale tedesca, in entrambi i casi a favore del partito di estrema destra.

Lo spettro di Merkel

Alla fine, non c’è stato bisogno che Merz desse seguito alla sua promessa. Il presidente si è limitato – per così dire – ad alcune considerazioni polemiche nei confronti di Angela Merkel. Il suo rapporto con l’ex cancelliera è sempre stato sempre piuttosto gelido, nonostante i tentativi di Merkel di prepararsi agli incontri studiando le vecchie puntate di The Apprentice e passando in rassegna interviste di Trump a Playboy. Niente da fare: «Io glielo dicevo (a Merkel, ndr) che anche voi avete questo problema...» ha detto Trump rivolto a Merz rispondendo a una domanda sulla sua decisione di vietare l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di dodici paesi del mondo, dal suo punto di vista necessaria per tutelare la sicurezza interna. E, ancora, parlando del gasdotto Nord Stream II: «Dicono che sono amico di Putin, ma io l’ho bloccato! L’ho detto spesso ad Angela, “spendiamo tutti questi soldi per difendervi e voi pagate così tanto i russi!”» Un vecchio cavallo di battaglia del presidente, che ha potuto contare sull’ammissione da parte di Merz che quell’infrastruttura che collegava le coste tedesche alla Russia «è stata un errore».

Ma come la sua predecessora, anche Merz ha studiato prima di atterrare a Washington con in valigia il certificato di nascita originale del nonno di Trump, originario della Renania Palatinato, che ha portato in dono al presidente. Il cancelliere prima della partenza si è rivolto a chi conosce bene il presidente per chiedere consiglio: la stampa tedesca cita in particolare il presidente finlandese Alexander Stubb, che ha fatto vincere Trump a una partita di golf e da allora è nelle grazie del tycoon.

Sembra che il cancelliere abbia fatto i compiti. I suoi complimenti a Trump sono stati ricambiati con osservazioni sull’«ottimo inglese» di Merz e sul fatto che sia un leader «difficile» con cui contrattare («Ma non vorresti che dicessi che sei un interlocutore semplice» ha aggiunto). L’apprezzamento del presidente è stato anche nel merito: «Il fatto che spendiate di più in difesa è una buona cosa, anche se il generale McArthur non sarebbe d’accordo». Il cancelliere porta in dote un aumento della spesa militare al 3,5 per cento annuo del Pil, rafforzato da un addizionale 1,5 per cento in spese infrastrutturali collegate. E Trump, dal canto suo, ha confermato che le truppe americane ancora presenti su suolo tedesco – 45mila uomini, «un valore economico» per la Germania, nelle parole del presidente – resteranno nel paese. Un futuro tutt’altro che scontato, considerata l’imprevedibilità del presidente che ha tanto turbato i sonni dei consiglieri di Merz nelle ultime settimane.

Ma la Seconda guerra mondiale serve a Merz anche per tirare in ballo la responsabilità del suo omologo nella gestione del conflitto ucraino. È la scommessa più grande che si gioca il cancelliere, che a più riprese si rivolge a Trump come «la persona chiave per porre termine alla guerra aumentando la pressione sulla Russia». Trump svicola a più riprese, anche quando Merz coglie l’occasione per ricordare l’anniversario del D-Day, il 6 giugno: «Non è stato un bel giorno per voi», dice il presidente. «A lungo termine è stato il giorno della liberazione del mio paese, e sappiamo quanto vi dobbiamo» ha replicato il cancelliere.

Tariffe e difesa

Ma nonostante la captatio benevolentiae e il tentativo di responsabilizzare Trump, l’impegno del presidente sul tema è contenuto: «Sono come due bambini, bisogna lasciarli lottare prima di separarli» spiega il padrone di casa con una bizzarra metafora, anticipando che la ritorsione di Putin e gli spargimenti di sangue continueranno. Anche su questo Merz invece resta duro e ribadisce come la Germania è al fianco dell’Ucraina e i massacri di civili «non sono mai successi per mano degli ucraini, ma solo dei russi».

Merz torna in ogni caso a Berlino arricchito da una nuova credibilità dopo l’incontro nello studio ovale. Fin dall’inizio del suo mandato, ha investito molto sulla politica estera e il fatto di essere stato riconosciuto come partner alla pari anche da Trump accresce il suo peso sullo scacchiere internazionale. Certo, sui dazi Trump mantiene in piedi lo spauracchio dei dazi punitivi – «ne parleremo con l’Ue, per me va bene sia un accordo, sia i dazi» – ma dice apertamente che tra le priorità del suo mandato c’è anche «avere un buon rapporto con voi».

E, come cresce il peso negoziale di Merz, cala quello di Giorgia Meloni. Pur rimanendo interessata a un buon rapporto con il cancelliere tedesco, la premier continua a perdere a poco a poco la centralità del suo rapporto privilegiato con l’inquilino della Casa Bianca. Merz ha infatti scelto una via di mezzo tra l’appeasement di Meloni e la contraddizione aperta che ha cercato a tratti durante la sua visita a Washington Emmanuel Macron. Determinato, ma non polemico, il cancelliere ha portato nello Studio Ovale il messaggio che stava più a cuore alla cancelleria di Berlino: inchiodare apertamente a Trump alla sua responsabilità nel conflitto ucraino. E nella possibilità di farlo terminare.

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