Agenti filorussi e propaganda, la Moldavia alle elezioni nella paura

Si scrive Moldavia e si legge Ucraina. Cartina geografica alla mano, dal fronte russo-ucraino di Kherson alla cittadina di Mayaky, ultima della regione di Odessa sul confine moldavo-ucraino, sono circa 240 chilometri di strada. Se invece si considerano le ultime propaggini della Crimea e la foce del fiume Dnestr, la distanza, via mare, si dimezza. A ovest, c’è il limite della Transnistria, autoproclamata repubblica di stampo sovietico (ha la falce e martello nella bandiera), territorio internazionalmente riconosciuto come moldavo ma di fatto sotto tutela russa. Quello appena descritto – da Kherson alla Transnistria – è il sogno a occhi aperti del Cremlino: la congiunzione di tutta la sponda nord del Mar Nero, la riduzione dell’Ucraina a un’oasi di terra, senza un vero sbocco al mare (i restanti territori ucraini fino alla Romania sarebbero facile oggetto di scambio). E anche con tutte le possibili garanzie di sicurezza americane o europee, se Kiev un giorno fosse ridotta a questo, semplicemente non avrebbe futuro. Moldavia, al ballottaggio vince la filoeuropea Sandu L’impegno europeo e Usa È in tale cornice che vanno viste le prossime elezioni parlamentari in Moldavia. Zelensky, che vede più da vicino il problema, il 24 settembre ha avvisato: «L’Europa non può permettersi di perdere la Moldavia». Dunque oggi, 28 settembre, si rinnoverà la piccola assemblea elettiva (appena 101 membri), e andrà in scena a est un altro inevitabile capitolo dello scontro tra Mosca e Bruxelles; scontro peraltro anticipato dal recente arresto di 74 persone accusate di essere state reclutate dalla Russia per provocare disordini in occasione del voto di domenica. È per questo che dalle parti di Chisinau, capitale della Moldavia, negli ultimi due mesi si sono già visti Ursula von der Leyen, il presidente rumeno Nicusor Dan, il presidente francese Macron, il cancelliere Merz e il premier polacco Tusk. Con un grande assente: Trump, o chi per lui. Dal punto di vista della proiezione politica, Washington, in appena un anno, ha letteralmente tirato i remi in barca. Se infatti nell’ottobre 2024, quando si è tenuto il referendum per inserire l’adesione all’Europa in costituzione, gli Stati Uniti hanno messo tutto il loro peso (sostegno diplomatico, aiuti economici, pressione su Facebook e Instagram affinché venissero individuati trolls, account fasulli e campagne russe di disinformazione), oggi, per scelta presidenziale, alzano le mani. Via i fondi per 54 milioni di dollari a sostegno dei media e della promozione di pratiche democratiche, via le pressioni ai vertici dei social media per contenere gli strumenti di propaganda e le fake news diffuse dagli apparati russi, via il supporto Usaid (agenzia governativa in fase di smantellamento) per il monitoraggio delle operazioni di voto. Cosa rimane quindi sul campo? Apparentemente, due schieramenti, uno filo Europa legato alla presidente Maia Sandu, l’altro filo Russia legato alla coalizione Blocco Patriottico (socialisti, comunisti, regionalisti della Gagauzia, discendenti locali delle popolazioni turche). Di fatto, invece, rimane molto altro. Perché la battaglia per Chisinau avviene soprattutto fuori dai confini nazionali, dove attori più grandi danno fondo a tutte le risorse possibili – materiali e immateriali – per spostare l’ago della bilancia dalla propria parte. È così che Andrei Rusu, Andrei Curararu ed Eugen Muravschi, in una ricerca per il think tank WatchDog.MD, hanno individuato ben 910 account Facebook, TikTok e Instagram dedicati alla propaganda filorussa. Attenzione, come osservato dagli autori, «i 910 account sono solo un segmento di un network molto più grande che potenzialmente comprende decine di migliaia di entità in tutta Europa». Il modello esplicito è quello usato in Romania a favore di Georgescu per le presidenziali del 2024. La narrazione, nel caso moldavo, è concentrata sulla riabilitazione di una serie di figure chiave: da Eugenia Gutul, ex governatrice della Gagauzia, oggi in carcere con una condanna a 7 anni per finanziamento illegale del blocco politico di cui era segretaria esecutiva, a Ilan Shor, che quel blocco ha fondato e finanziato con parte del miliardo di dollari sottratto, tra il 2014 e il 2015, a tre banche moldave. Oggi, per quella frode e i reati connessi, Shor è destinatario di una condanna definitiva a 15 anni. Scappato nel 2019, vive con tutta probabilità in una villa di lusso nei dintorni di Mosca. Cittadino russo sin dallo scorso anno, Shor continua inesorabile la sua battaglia politica. La Romania europeista vota in massa, il presidente è Dan: con il 53,6 per cento batte Simion Tariffari e fake news I mezzi a disposizione sono tali che due giornaliste investigative – Natalia Zaharescu e Mariuta Nistor – hanno documentato, attraverso un’inchiesta in incognito, l’esistenza di un vero e proprio sistema piramidale di coinvolgimento della popolazione. Così, passando dall’immateriale al materiale, si è scoperto che esiste un tariffario mensile dai 50 ai 150 euro per sostenere determinate posizioni politiche (per esempio, lo scorso anno, il “no” al referendum sulla costituzionalizzazione del percorso europeo) e alcuni candidati graditi a Shor. Si dirà: minoranze organizzate. Non proprio così, perché la polizia e la procura locale hanno individuato ben 130.000 persone destinatarie dei compensi per il referendum del 2024. Se si considera che alle urne si sono presentati 1 milione e 700.000 moldavi, significa che solo attraverso questo canale è stato possibile controllare quasi l’8 per cento dell’elettorato. Ma torniamo alla categoria “immateriale”. Tra le 39 false notizie che hanno inondato i canali Telegram dei moldavi, per un totale di un milione e mezzo di visualizzazioni, si distinguono per impatto quella che riguarda i 50.000 ettari venduti dal governo alla multinazionale BlackRock (attribuita a Fox News), quella relativa alle schede elettorali per corrispondenza emesse a favore di persone morte (attribuita a Bbc), quella del guardaroba di lusso di Maia Sandu (sesto posto tra i capi di stato del mondo, attribuita a Vogue), quella di Maia Sandu come primo leader per corruzione in Europa (attribuita al The Economist) e quella della mancata visita di tre star di Hollywood dopo che Usaid ha visto cancellarsi i fondi da Trump. A tutto questo va poi aggiunto il solito carico di allarmismo sulle istanze Lgbt, l’usuale richiamo alle tradizioni locali, al nazionalismo e alla sovranità, il blandire le virtù taumaturgiche di Putin come capo di stato, eccetera. Tutte posizioni che peraltro accolgono il favore della Chiesa ortodossa locale, affiliata non a caso al Patriarcato di Mosca. Ecco il piano (dei misteri) che scuote l’Ucraina: «Cento giorni per la pace» Investimenti diversi Insomma, la Moldavia è oggi il centro di una guerra ibrida che forse non ha eguali in Europa. Stando al New York Times, Vladimir Putin avrebbe investito della missione uno dei suoi uomini chiave: quel Sergej Kiryenko che ha gestito la sua politica interna, che ha guidato la transizione costituzionale verso un mandato presidenziale a vita, e il cui figlio, Vladimir, è casualmente a capo del conglomerato informatico nazionale e del più importante social network russo (Vk). Washington tace politicamente ma risponde alla maniera di Trump: con la recente approvazione di un progetto da 130 milioni di dollari per la costruzione di una linea ad alta tensione che garantisca un approvvigionamento elettrico sicuro alla Moldavia (la Moldavia per anni è dipesa dall'elettricità prodotta in Transnistria, energia derivata dal gas russo, il cui flusso è stato recentemente interrotto dall’Ucraina). Ovviamente, sempre in ottica trumpiana, l’obiettivo è di dare «opportunità significative per le aziende americane» e introdurre in Moldavia tecnologie statunitensi (dichiarazioni dell’Ambasciata Usa). Maia Sandu dice che l’adesione alla Nato non è all’orizzonte e che l’obiettivo del paese è solo una veloce adesione all’Europa (obiettivo 2030). Se da una parte Mosca, mettendola nel mirino, smentisce sé stessa; dall’altra lo fa con agio perché negli ultimi tre anni l’aumento interno della povertà assoluta è stato spaventoso (814.000 poveri assoluti su 2 milioni e 389.000 cittadini). Forse l’Europa, prima che andare a caccia di notizie false e avvelenatori di pozzi, dovrebbe interrogarsi su questo.