La «golden age» degli autocrati: Orbán offre a Trump affari in cambio di supporto

«L’età dell’oro». L’espressione coniata da Viktor Orbán per esaltare quello che a suo dire «può essere il punto più alto nelle relazioni bilaterali tra Ungheria e Usa» – la «Golden Age» – è a suo modo rivelatrice. L’incontro di questo venerdì alla Casa Bianca tra l’influencer per eccellenza dell’illiberalismo e il presidente americano che ha portato le derive illiberali su grande scala ha avuto due funzioni, complementari tra loro. Per Viktor Orbán, l’obiettivo dichiarato è quello di ottenere esenzioni (quantomeno temporali) sull’energia russa che entra nel suo paese; l’obiettivo non dichiarato ma altrettanto evidente è di ottenere supporto da Donald Trump, sul quale scommette dal 2016, sul piano domestico, con le elezioni di aprile che lo fanno traballare dalla poltrona di governo. Così si spiega «l’oro» delle dichiarazioni che il presidente Usa ha concesso all’amico ungherese questo venerdì, con la stessa ostentata abbondanza con cui ha rifatto di patacchi dorati la stessa Casa Bianca: «Amiamo Viktor». «Tutti lo rispettano, ad alcuni piace, per me entrambe le cose, lo rispetto e mi piace». «Gli altri leader europei sono invidiosi di lui, they’re jealous, perché l’Ungheria non ha fatto gli stessi loro errori sull’immigrazione». E via dicendo. Incontro con Péter Magyar, in testa ai sondaggi in Ungheria: «Orbán dovrà accettare la sconfitta» Ma come sempre accade, e come accade ancor più con due leader che hanno fatto della distanza tra propaganda e azioni la propria cifra di gestione del potere, è ai fatti che bisogna guardare. E i fatti dicono che – nonostante il premier ungherese sostenesse di non voler comprare le esenzioni con accordi commerciali – è anzitutto con gli accordi energetici e militari, oltre che politici, che Viktor Orbán sta cercando di convincere il sodale. Non a caso a Washington – arrivati a bordo di un volo WizzAir come la campagna elettorale richiede – c’erano parecchi ministri (vale a dire uomini di fiducia) del premier ungherese. Last but not least: anche le manovre sul dossier della guerra in Ucraina e i rapporti dei due leader con Putin giocano un ruolo nelle interlocuzioni svolte questo venerdì a Washington. Dal controllo dei media ai deepfake: Orbán teme il voto e fa il turbo-illiberale Il nodo dell’energia «Stiamo lavorando per capire come difenderci dalle sanzioni» alle fonti russe, aveva detto Orbán sùbito dopo l’iniziativa di Trump: finora l’addio dell’Ue all’energia di Mosca era avvenuto concedendo una certa gradualità (di fatto un’esenzione) all’Ungheria. Ma gli Usa stringono la tenaglia: da una parte colpiscono le grandi compagnie russe, dall’altra si aspettano (come si è visto anche con le trattative sui dazi) che gli europei comprino energia a man bassa dagli Usa. Da Washington erano già volate parole dure verso Budapest: che trovi una soluzione con la Croazia, che faccia un piano. La trasferta orbaniana da Trump serviva anzitutto a comprare, se non un’esenzione dichiarata, quantomeno altro tempo. Quando la domanda è piovuta in direzione del tycoon – «lei è pronto a concedere a Orbán esenzioni?» – Trump si è mostrato possibilista: «We’re looking at it. Stiamo appunto trattando la questione. Il fatto è che l’Ungheria non ha sbocchi sul mare, si trova in una posizione differente rispetto ad altri paesi europei che pure comprano o hanno comprato dalla Russia». Per rendere allettante l’alternativa Usa, Trump ha anche fatto scivolare il concetto che «la nostra energia costa sempre meno». Per ottenere elasticità, a Viktor Orbán non è bastata l’amicizia politica: quella non basta mai col «transazionale» Trump; non ha salvato Giorgia Meloni dalle bastonate sulla pasta e dai dazi all’agroindustria, né salva Budapest dalle pressioni di Washington perché si allinei al resto dell’Ue nella nuova era di dipendenza energetica, militare e politica. Infatti gli ungheresi hanno portato doni concreti, sull’uscio della Casa Bianca: accordi in ambito energetico, militare e politico, appunto. Trump e la strategia illiberale: la lezione dell’amico Orbán Comprare supporto Un esempio: il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó, assiduo frequentatore del Cremlino, ha siglato questo venerdì con l’amministrazione Usa un memorandum «per avviare negoziati su un accordo intergovernativo di cooperazione sul nucleare civile in Ungheria». Anche se non lo ha mai ammesso pubblicamente, il governo Orbán ha di fatto congelato da almeno un paio d’anni lo sviluppo del secondo reattore nucleare Paks 2 che doveva avvenire con Rosatom, russa. Washington prende spazio (e soldi): Budapest comprerà energia nucleare e tecnologia americane (ad esempio quelle per Paks 1). Nel frattempo Mol, la compagnia energetica ungherese, inizia a prospettare (lo ha fatto proprio nel giorno dell’incontro alla Casa Bianca) una possibile alternativa di ingresso di energia dalla Croazia: «Vorremmo convincere il governo croato a fornire di più», dice il premier. Ma (come si vede anche dalle reazioni di Szijjártó che scuote la testa all’idea di staccarsi del tutto da Mosca) è anzitutto una via per prendere tempo. Scavalcare indenne il voto di aprile è la priorità per Orbán; come aveva già fatto, Trump ha scommesso anche questo venerdì sul successo dell’amico illiberale (anche se stavolta ha aggiunto: «Non conosco il suo avversario»). Comprare armi ed energia è in fin dei conti – anche se lui si presenta come l’enfant terrible – la stessa via scelta dall’Ue, che a metà mese darà un altro colpo alle proprie regole digitali per fare l’ennesimo dono agli Usa. «Gli europei sono tutti miei amici: hanno aumentato le spese nato dal 2 al 5», ha detto questo venerdì il tycoon. Orbán fa leva anche su un’altra carta: «Parleremo di Putin, che Viktor conosce e capisce molto bene. Concordiamo che la guerra finirà, in un futuro non lontano», ha detto Trump con l’alleato al fianco. «Ho qualche idea da presentare a riguardo», ha aggiunto Orbán. Ancora Trump: «Non volevo fare il vertice di Budapest quando ho capito che non sarebbe successo niente di rilevante, ma se si farà, sarà a Budapest». E altri scambi del tipo: «Credi che gli ucraini possano vincere la guerra?» (Trump). «I miracoli possono sempre accadere» (Orbán). Risata di Trump, sipario. «Coalizione contro la guerra»: Orbán vede Salvini. Il cantiere dei Patrioti