Nella memoria collettiva degli abitanti di Budapest, una marea umana come quella che ha riempito strade e ponti della città mercoledì scorso non la si vedeva da almeno quattro anni. Dopo aver preso di mira i media e l’accademia, il premier ungherese ha puntato anche all’ultima linea di resistenza sociale e culturale, e cioè il corpo insegnanti, il mondo della scuola.

Nell’Ungheria di Viktor Orbán, il ministero dell’Istruzione neppure esiste: il sistema educativo risponde al ministero dell’Interno. Ai poliziotti è stata recentemente aumentata la paga, un docente invece è fermo ai suoi 500 euro medi netti al mese. Quest’anno il premier ha fatto smantellare pure il diritto di sciopero: chi protesta viene epurato dal sistema. Ma il piano di Orbán per trasformare l’Ungheria in un sistema a sua immagine trova ancora resistenze. Le trova proprio lì, nella scuola, tra gli insegnanti, le famiglie e i tantissimi giovani che senza alcun cappello partitico si sono organizzati per protestare in varie località ungheresi, a cominciare da Budapest, capitale del paese e roccaforte dell’opposizione a Orbán.

Vedremo nelle prossime settimane se questi segnali di fibrillazione, che scuotono il collaudato sistema di potere orbaniano, il “modello ungherese”, si trasformeranno in qualcosa di più: un movimento, un innesco più generale. Intanto, gli insegnanti che erano stati licenziati proprio a seguito della repressione del dissenso, sono andati a dire che non si rassegnano, e lo hanno detto con migliaia di persone al loro fianco. A tratti, lo hanno detto in italiano: tra i cori di protesta, c’era “Bella ciao”.

Eliminare il dissenso

Sándor Pintér è il ministro dell’Interno ungherese. Èv anche molto di più: è l’esecutore del modello orbaniano. Il premier non si è mai privato di lui in nessuno dei suoi governi, da quello di fine anni Novanta fino all’ultimo mandato iniziato ad aprile. Orbán congegna, Pintér esegue. Il tentativo orbaniano di cavalcare il tormentone antiabortista, ad esempio, si concretizza questo autunno con un ordine che parte proprio dal ministero dell’Interno, e che impone alle donne di ascoltare il battito del feto. «Pintér, lascia in pace la mia vagina!» si legge sui cartelli di protesta delle donne ungheresi.

Ma l’attacco colpisce anche la scuola. Il premier ungherese ha iniziato a progettarlo già nel 2010, anno di maturazione della sua deriva autoritaria: da allora, un ministero dell’Istruzione semplicemente non esiste. Prima il grande contenitore è stato un ministero delle Risorse umane, dove sono finiti scuola, sanità e servizi sociali. Con l’ultimo mandato, avviato questa primavera, l’istruzione è andata sotto il dicastero dell’Interno e quindi sotto la mano pesante di Pintér.

Il 2022 è anche l’anno in cui è stato smantellato il diritto di sciopero: prima, subdolamente, il corpo insegnanti è stato obbligato a garantire il servizio, con un divieto mascherato. Poi, chi ha fatto disobbedienza civile è stato licenziato.

La resistenza di piazza

«Chiediamo il ripristino – reale! – del diritto di sciopero dei lavoratori dell’istruzione, il reintegro dei colleghi licenziati per le loro opinioni!», recita il comunicato della scuola Ferenc Csik. È una delle tante che hanno manifestato, con catene umane, studenti che si tengono per mano, genitori che accolgono gli insegnanti con cartelli di solidarietà, concerti, strade invase di ragazzi e di professori. Le ragioni della protesta, organizzata non dai partiti di un’opposizione fragile ma semmai dalle forze sindacali come il Pdsz, sono duplici: c’è la repressione del dissenso, e c’è l’impoverimento della scuola pubblica; e i due fattori sono connessi.

Da più di dieci anni un super provveditorato a regia governativa (il “Klik”) tenta di disciplinare il corpo insegnanti, che ora se protesta viene cacciato. Gli stipendi dei professori sono bassi e non vengono adeguati, Orbán risponde loro di vedersela con Bruxelles che gli blocca i fondi. «La scelta di colpire la scuola, di impoverirla e di irreggimentarla, è pianificata», dice lo storico dell’Europa orientale Stefano Bottoni. «L’obiettivo è espellere dall’arena pubblica una generazione di insegnanti che ha ancora un’idea democratica della politica, la generazione dell’89, che era giovane ai tempi del cambio di sistema, equiparabile nel contesto italiano ai sessantottini».

Mentre la scuola libera viene smantellata, il premier, coi soldi pubblici, foraggia la rete di think tank e istituti paragovernativi, come il Mathias Corvinus Collegium, diretto dal suo braccio destro, e membro del governo, Balázs Orbán. Dopo aver stravinto le elezioni di aprile, davanti alla stampa internazionale, il premier ungherese ha detto: «Se c’è una cosa che non taglierò mai, sono le spese per la cultura». Cosa intendeva, lo ha chiarito nella fase successiva: «Continuerò la mia offensiva culturale». L’unica cultura prevista è quella della cerchia orbaniana. Ma a giudicare dalle piazze di questa settimana, il piano incontrerà una linea di resistenza.

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