Nascosto tra le righe di ventidue pagine di discorso sullo stato dell’Unione, un dettaglio illumina anche il resto. A Strasburgo davanti agli europarlamentari Ursula von der Leyen ha fatto un bilancio dell’anno passato e ha proiettato l’agenda per quello venturo. Il dettaglio illuminante è questo: «Prendiamo in considerazione l’esenzione dall’Iva per l’acquisto di materiale di difesa sviluppato e prodotto in Europa». Sgravi agli acquirenti di armi e materiale bellico made in Europe, dunque un favore all’industria militare. Mentre i rappresentanti dei lavoratori avvertono che von der Leyen si è dimenticata di loro, la presidente a quanto pare ha ben in mente le richieste delle lobby. Vale per le armi e pure per la salute.

L’involucro

La presidente della Commissione Ue ha scelto uno stile retorico all’insegna dell’empatia: «La pandemia non è del tutto superata e c’è ancora sofferenza. Dolori inguaribili, vite interrotte, tempo perduto che non potremo restituire ai giovani». Un anno fa, parlò di Europa «infragilita»; ora dice che «siamo messi alla prova ma il nostro spirito esprime la sua forza luminosa». Fa riferimento costante ai giovani e a una «Unione con un’anima». Nel dire questo, a fine discorso si rivolge alla atleta italiana Bebe Vio, da lei invitata. «Era in pericolo di vita, ma ha lottato, si è ripresa. La sua storia è l’emblema di una rinascita contro ogni aspettativa».

Armi o equità sociale

Una quota importante dello “state of the Union” è ritagliata per la militarizzazione dell’Ue. La lezione che von der Leyen trae dalla crisi afghana è che «ci serve l’Ue della difesa. Truppe europee fanno parte della soluzione, ma finora è mancata la volontà politica». Prefigura una «condivisione di decisioni e di intelligence», fino a una sorta di “situation room” europea. La parte di discorso che più evoca una unione politica, un approccio federale, è quella dedicata a armi, droni, truppe, difesa. È ciò per cui il complesso militare fa attività lobbistica da tempo, e all’industria delle armi pensa von der Leyen quando prevede di togliere l’Iva sulle armi prodotte nel continente. Un favore alle aziende che priverebbe viceversa le casse pubbliche dei paesi Ue «di 10 miliardi annui», fa un primo calcolo Francesco Vignarca della Rete pace e disarmo. Come si può pensare «di togliere l’Iva sulle armi e non, che so, su pasta e cose che servono alla gente?», si indigna Manon Aubry che guida il gruppo della sinistra europea.

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I grandi assenti dello “state of the Union” sono i lavoratori, l’unica «povertà» citata è quella energetica. Von der Leyen fa riferimenti al pilastro sociale dell’Ue e a una «nuova strategia per l’assistenza», ma Luca Visentini, segretario della confederazione dei sindacati europei Etuc, dice che «la dimensione sociale di Next generation EU è debole, diversamente dall’approccio di Joe Biden in Usa». Ciò che la presidente annuncia è Alma, un Erasmus degli inoccupati, per dare a chi non studia né lavora un lavoro temporaneo in un altro stato. Uno dei passaggi più applauditi – «è giusto che le imprese realizzino profitti però devono pagare il giusto contributo» – scivola in un riferimento all’evasione fiscale e agli sforzi già in corso con Usa e G20 per tassare le multinazionali.

Salute privata

Uno dei momenti più ardui per la carriera politica di von der Leyen è stato d’inverno, quando la campagna vaccinale andava a rilento. Ora lei vanta che «oltre il 70 per cento di adulti in Ue è vaccinato: nonostante le voci critiche, l’Europa è l’unica ad aver raggiunto tali risultati». Il problema è proprio questo: come dice inascoltata da mesi l’Oms, se i vaccini non arrivano a livello globale le varianti continuano a diffondersi e non si esce dalla pandemia. La presidente lo riconosce: «Al mondo meno dell’1 per cento di dosi va in paesi a basso reddito; che ingiustizia, che urgenza». Ma cosa propone poi? Nient’altro che la strada avviata finora, e già rivelatasi fallimentare: le donazioni. «Ne annuncio una nuova di altri 200 milioni di dosi entro metà del prossimo anno». La deroga sui brevetti consentirebbe di produrre 8 miliardi di dosi in un anno (stima di Public Citizen e Imperial College); ma in sede di Wto martedì Bruxelles ha ancora difeso «la proprietà intellettuale» e Big Pharma, nonostante l’Europarlamento abbia chiesto la deroga. La pervasività del settore privato e l’esclusione degli eletti dalle decisioni si vede anche nel nuovo sistema di governance sanitario. «Un anno fa annunciai l’Unione della salute. Tengo fede e rendiamo operativa l’autorità Hera», ha detto la presidente confermando la nascita di un’agenzia di risposta alle emergenze sanitarie, la cui governance vede corporation al fianco di Bruxelles e governi, ma per la quale è bypassato il parlamento Ue.

Nessun ripensamento

L’intervento è improntato sulla continuità. C’è ancora la priorità climatica, ma nessuna ammenda per gli obiettivi inadeguati; ridurre le emissioni solo del 55 per cento entro il 2030 non basterà neppure a rispettare gli accordi di Parigi. Per la transizione digitale, altro suo pilastro, von der Leyen punta sui chip: «Dipendiamo da quelli fabbricati in Asia, e a rischio ci sono competitività e sovranità tecnologica. Presenteremo una nuova legge sui semiconduttori». Sempre pensando ai rivali asiatici, e alla Cina della via della seta in particolare, annuncia la via alternativa, «Gateway globale»: «Investiremo in infrastrutture che colleghino beni, persone e servizi ovunque; faremo partenariati con tutto il mondo».

Poche sorprese su migrazioni e stato di diritto. A parole, accoglienza «per i più vulnerabili» e 100 milioni di aiuti per gli afghani; in concreto, sempre esternalizzazione dei rifugiati e una Europa fortezza. Mentre le derive di Polonia e Ungheria in tema di stato di diritto preoccupano, la presidente fa un accenno alla rule of law ma conclude che «il primo passo è il dialogo». Niente di nuovo, nota la giornalista ungherese Katalin Halmai: «Discorso cauto, tema appena accennato alla fine».

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