Lo smacco subìto alle presidenziali ha spinto il premier a sigillare l’esecutivo con la fiducia, che passa con 243 voti a favore. Ma il riassetto continua, come le pressioni interne
Donald Tusk aveva studiato la mossa prima ancora che i risultati delle presidenziali formalizzassero la vittoria di Karol Nawrocki, sostenuto dagli ultraconservatori del Pis e votato pure da chi al primo turno ha sostenuto i neofascisti. Dato che il candidato della tuskiana Piattaforma civica, Rafał Trzaskowski, si avviava alla sua (seconda) sconfitta, il premier ha deciso la strategia di uscita: sigillare il suo governo con un voto di fiducia. Cosa che questo mercoledì – come era prevedibile – è avvenuta: c’è una cerniera di 243 voti a favore che sigilla l’esecutivo, a fronte di 210 contrari.
Il passaggio è puramente politico: per quanto il presidente possa ostacolare a colpi di veti l’azione del governo, dal punto di vista istituzionale la diversità di bandiere non mette in discussione la legittimità dell’esecutivo (e già il presidente uscente, Duda, era di area Pis). Il piano di Tusk – esibire tenuta e solidità della propria coalizione – riesce solo in parte. Basti tener presente un altro numero, oltre ai 243 voti a favore.
C’è anche la cifra record di 267 parlamentari che si sono iscritti per rivolgere domande: indica il fermento, anche nella stessa coalizione, dopo che gli elettori hanno utilizzato il voto presidenziale anche per esprimere disaffezione.
Mentre il messaggio che Tusk vuole dare sia alla Polonia che all’Ue è quello della tenuta granitica della sua guida, dalla giornata del voto di fiducia si coglie in realtà che il premier sta già flettendo la sua azione di governo per adattarsi al nuovo contesto. C’è pure un rimpasto estivo in agenda.
Cosa cambia
Per cominciare, l’esecutivo si doterà della figura di un portavoce: il premier ritiene di dover puntellare il versante della comunicazione. Del resto la controparte slitta sempre più verso tattiche trumpian-orbaniane: se già il Pis era allineato tra i pro-Mega, Nawrocki ha caratterizzato la sua campagna con selfie trumpiani, inaugurazioni di Cpac in edizione polacca, e una volta eletto ha rilasciato la sua prima intervista internazionale a Mandiner, testata ungherese che è di fatto megafono di Orbán.
Ben più incisivo dal punto di vista del riassetto sarà il passaggio previsto per luglio: un vero e proprio rimpasto di governo. La spiegazione è anzitutto interna: per blindare i partiti della coalizione sul voto di fiducia, Tusk ha dovuto riaprire le trattative.
Per dirne una: questo mercoledì il partner di governo Szymon Hołownia (“terza via”) – che presiede il Sejm – ha detto che «la rinegoziazione dell'accordo di coalizione nella parte programmatica è una necessità impellente»; insomma, alza la posta con Tusk. Anche la mossa del Psl (componente di “terza via”), che in questi giorni aveva «consultato i membri» sull’opportunità di passare a un governo con Pis e neofascisti, è servita anzitutto a fare pressione negoziale sul premier.
Mentre i giovani polacchi, in segno di insofferenza verso il «duopolio» Pis/Platforma, affidano la preferenza all’estrema destra di Konfederacja (i neofascisti sono votati soprattutto dalle nuove generazioni), Tusk non realizza le promesse che più avevano catalizzato speranze di cambiamento nel 2023 (a cominciare da qualche avanzamento sul diritto all’aborto).
Slitta invece sempre più verso una retorica destrorsa: questo mercoledì il Pis è uscito dall’aula (e l’estremista Braun era a distruggere una mostra al Sejm), ma le parole del premier su frontiere da chiudere e lotta all’immigrazione irregolare ne hanno in qualche modo evocato il fantasma.
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