Promette «azioni e soluzioni», si definisce «pragmatico», si è fatto notare quando ha partecipato a una manifestazione di poliziotti e si è fatto ricordare, a modo suo, quando ha detto che gli ecologisti non sono «né destra né sinistra». Per alcuni è un traditore, per altri il moderato che ce la può fare, e per la stampa estera è «il verde alla tedesca».

Quel che è certo è che Yannick Jadot è il candidato verde alle presidenziali di Francia. Lo è perché ha superato il primo e il secondo turno delle primarie di Europe ecologie les verts (Eelv), anche se la ecofemminista Sandrine Rousseau, l’accademica di Lille che ha entusiasmato i giovani e mobilitato i disillusi, è rimasta indietro per un pugno di voti, duemila; lui 51 per cento, lei 49. C’è poi quel presupposto, e cioè che per ora nel campo che guarda a sinistra – dall’insoumise Jean-Luc Mélenchon alla socialista Anne Hidalgo – il progetto di convergere su un candidato comune non c’è.

Dunque ecco Jadot, «azioni e soluzioni», e un pragmatismo ad ampio raggio per setacciare consensi. Nel 2019 gli è riuscito: era il capolista alle europee, e con lui i Verdi hanno conquistato voti, diventando la prima forza non di destra. Davanti infatti c’erano il partito di Le Pen e quello di Macron. Ma ora?

Il personaggio

Jannick Jadot è sempre stato verde, anche prima di essere di parte. Nel bureau di Greenpeace a Parigi molti, come Kim Dallet-Moinet, sono arrivati quando già Jadot se n’era andato, e in ogni caso sottolineano che «siamo un’organizzazione che non sostiene partiti». Fatto sta che il nome di punta dei Verdi ha cominciato la sua storia di impegno – e di visibilità – proprio nel mondo associativo. Dal 2002 al 2008 è stato direttore delle campagne di Greenpeace Francia.

Anche se ora fa il candidato rassicurante, all’epoca qualcuno deve averlo trovato scomodo, visto che in una grande compagnia energetica c’era chi spiava lui e la Ong. Per la sua azione dimostrativa in una base di sottomarini nucleari Jadot si è beccato anche una condanna. Oggi nel suo programma mette l’abbandono del nucleare, ma a differenza della sua avversaria Rousseau che chiedeva di farlo «immediatamente», lui prevede di farlo con calma, entro un decennio.

Il 2009 è stato l’anno in cui, in una lista verde trainata da Daniel Cohn-Bendit, Jadot ha messo piede per la prima volta all’Europarlamento. E lì sta, tuttora. Con le sue arringhe contro i trattati di libero scambio è uscito dalla nicchia – un video in cui si rivolge a Juncker ha fatto un milione e mezzo di visualizzazioni su YouTube – e per il suo lavoro assiduo nel gruppo si è guadagnato negli ultimi anni il riconoscimento di (iper)attivo di Francia all’Europarlamento. Ma ha sempre guardato con attenzione alla politica nazionale.

Mire presidenziali

Già alle scorse presidenziali, Jadot si è candidato alle primarie ecologiste, le ha vinte ma poi, prima ancora di consultare gli iscritti, ha annunciato il suo ritiro, per convergere sul socialista Benoît Hamon. Una scelta che aveva fatto irritare Rousseau, all’epoca vicesegretaria del partito. Allora come oggi lei è considerata radicale e a sinistra, lui come l’uomo della sintesi. Sintesi che però nel 2017 non ha portato a nulla: Hamon è andato malissimo. Le europee del maggio 2019 sono state il momentum di Jadot, e quello dei Verdi in Europa. Quando lui trionfa con la sua lista c’è già chi intuisce che mira all’Eliseo. All’epoca Paris Match lo fotografa insieme alla sua compagna giornalista Isabelle Saporta. Un’immagine quasi in posa, in cui “sfila” davanti all’obiettivo.

Per Jean-Michel Aphatie, editorialista di Europe1, quella foto «è contraria alla cultura degli ecologisti, rispettabili sì, ma a tratti grigi, dove i bagordi individuali sono banditi». «Con questo sorriso e l’aria da capo – si domanda – Jadot non vorrà forse dégauchiser, desinistrizzare i verdi?». Quindi la previsione: con quella foto accanto alla sua partner Jadot non sta solo festeggiando la vittoria alle elezioni europee. Ne prepara altre.

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