Sarà una coincidenza, ma le date clou dei ricatti di Putin sul gas lambiscono sempre gli appuntamenti dell’Ue per prendere provvedimenti sull’energia. Il 26 luglio, per esempio, i governi europei devono discutere i piani per l’inverno cioè il taglio dei consumi al 15 per cento. E sempre il 26 luglio, avverte la Russia, potrebbero esserci nuovi rallentamenti nelle forniture. Lo scoglio del 21 luglio, con la ripartenza dei flussi di Nord Stream 1, è stato appena superato, ma a fatica. La «tattica a singhiozzo» di Putin è subordinata a una più ampia strategia di logoramento e di ricatto. Il logoramento è per renderci più difficile l’inverno, il ricatto è per provocare l’Europa su temi come le sanzioni e lo sblocco di Nord Stream 2. Ma se la Russia può permettersi di tiranneggiarci così sulle forniture di gas, è perché l’Ue non ha avuto il coraggio di imporre un tetto ai prezzi delle importazioni. Putin riesce così a guadagnare tanto anche dando meno. Il rifiuto di alcuni governi, e di Bruxelles con loro, di intervenire sulla determinazione dei prezzi ha anche un’altra conseguenza non secondaria, e cioè quella di delegittimare il piano d’inverno della Commissione, tutto concentrato sulla austerità energetica. I paesi iberici hanno già avanzato le loro rimostranze. Il 26 se ne discute in Consiglio Ue; e sempre il 26, è un’altra data di bollino rosso per le forniture russe.

Il caso Nord Stream

Dall’11 al 21 luglio: questo era il ventaglio temporale indicato da Gazprom per lo stop totale del gasdotto Nord Stream 1, che con la sua imponente lunghezza collega Vyborg, appendice occidentale della Russia, alla costa settentrionale tedesca. I riflessi delle forniture di questa via del gas non riguardano ovviamente solo la Germania, ma l’Europa, Italia compresa. Una delle rotte attraverso le quali Gazprom rifornisce il nostro paese passa da Nord Stream 1, si collega ai gasdotti della Repubblica Ceca, all’Austria e infine approda a Tarvisio. La strategia di Putin, che ha ridotto le forniture verso l’Europa, incide più volte proprio su Nord Stream 1, e ci sono almeno due passaggi: prima a maggio, con un taglio delle esportazioni del 40 per cento, e poi ancora a giugno. In questo contesto si colloca lo stop totale dei dieci giorni di luglio. «Gasdotto chiuso per manutenzione di routine», recita la versione ufficiale della compagnia russa, da contemperare però con la lettura politica del governo tedesco: non solo Berlino denuncia la «militarizzazione del gas», ma si dice tutt’altro che certo che il 21 luglio la fornitura riprenda. E dunque quando, giovedì, il flusso ricomincia, c’è comunque il primo danno da registrare, che è proprio l’incertezza. Coi dieci giorni di stop Mosca è riuscita anche a fare lo stress test alle sanzioni occidentali, e ad aprire una breccia, ottenendo in nome della manutenzione che il Canada sbloccasse le turbine. Il 20 luglio la Commissione europea ha annunciato il suo piano per una «allerta energetica europea», con la possibilità di imporre – non solo suggerire – una sforbiciata del 15 per cento alla domanda di gas dei paesi membri; e il giorno dopo il flusso di Nord Stream 1 è ripreso. A cascata, la comunicazione di Eni giovedì mattina: «Gazprom ha comunicato per oggi la consegna di 36 milioni di metri cubi di gas, a fronte dei 21 dei giorni scorsi». Ma la strategia del logoramento non è mica finita: il flusso è ripreso, sì, ma sempre al 40 per cento delle capacità, quindi sotto l’effetto tagli precedente allo stop totale. E questo serve a Putin anche per avanzare l’altro ricatto: spingere per l’apertura di Nord Stream 2, fermata dalla Germania in seguito all’invasione dell’Ucraina.

Il ricatto e i prezzi

Una dozzina di paesi Ue è colpita da tagli parziali o totali dei flussi, il che rallenta gli approvvigionamenti in vista del freddo; e ciò nonostante il gas resta un introito importante per la guerra di Putin. Con le sforbiciate all’offerta, infatti, il prezzo sale; e come la Polonia denunciava già in autunno, e come Ursula von der Leyen ha detto mercoledì, questa strategia è cominciata già molto prima dell’invasione dell’Ucraina. Se si stende su un tavolo il grafico dell’andamento dei prezzi del gas in Europa, e vi si sovrappone il calendario dei tagli di Putin, si capisce perché senza un tetto ai prezzi delle importazioni la Russia può ricattarci e ciò nonostante guadagnare. Il 21 luglio di un anno fa, il gas costava 22 euro per megawattora, un anno dopo è a circa 158 euro. In autunno, a ottobre, c’è la prima evidente impennata, circa 46 euro, poi un picco a guerra iniziata: ai primi di marzo si sfiorano i 200 euro. Le oscillazioni subiscono un’ennesima risalita ai primi di luglio, con l’approssimarsi del blocco di Nord Stream 1. La ripresa dei flussi questo giovedì ha portato un calo dei prezzi di circa il 5 per cento (quindi 147 euro). La Russia invoca la clausola di «forza maggiore» per sfuggire agli obblighi contrattuali e inchiodarci all’incertezza, ma a Mosca ora conviene ridurre i flussi, non fermarli del tutto, come conferma l’istituto Bruegel: «Uno degli obiettivi di Putin è fiaccare la determinazione europea nel ridurre i consumi». E qui si viene alla risposta Ue. La proposta di un tetto ai prezzi, che avrebbe disinnescato i ricatti di Mosca visto che non avrebbe consentito di giocare così con i tagli dell’offerta, non è passata in Consiglio europeo per i timori di ritorsioni; il che per paradosso non fa che dare agio alla strategia di logoramento di Putin. La discussione sul tetto è finita nella trappola dei mille rinvii, l’ultimo all’autunno prossimo. Anche la riforma del mercato dell’elettricità, che avrebbe evitato il contagio dei prezzi del gas su quelli di altre fonti, non supera il muro di Bruxelles. La Commissione Ue spinge l’austerity, serve però l’ok dei governi. Per la Germania il piano coincide con la sua strategia, ma Spagna e Portogallo non ci pensano proprio: «Noi abbiamo già fatto la nostra parte, il piano è ingiusto», dà battaglia il governo spagnolo. Decisivo l’appuntamento del 26, quando il Consiglio Ue, quindi i ministri, decideranno il da farsi. E guarda caso proprio per il 26 Putin ha previsto un’altra «manutenzione», vale a dire: tagli alle forniture.

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