Sergej Sergeevich Razov, che ha ricoperto il ruolo di ambasciatore russo in Cina e quello di viceministro degli Esteri, s'insediò nella capitale italiana il 6 maggio 2013, ovvero nove anni fa. Nato il 28 gennaio 1953, carattere bonario e amabile, sposato con due figli, parla inglese, cinese e polacco.

Ma un elemento balza subito agli occhi dell’osservatore anche meno sofisticato del curriculum vitae dell’ambasciatore che nel 1975 si è laureato presso l'Università Statale delle Relazioni Internazionali di Mosca ed è entrato in carriera diplomatica nel 1990: al diplomatico di lungo corso russo interessa stare a Roma, perché normalmente dopo quattro anni i diplomatici di carriera vengono trasferiti in altra sede.

Il ruolo del garante

Ma cosa significa questa permanenza così lunga sulle sponde del Tevere? Che l’ambasciatore Razov è riuscito probabilmente a convincere anche il suo capo, il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, di essere il “garante” perfetto di quel rapporto speciale che da decenni intercorre tra Mosca e la città eterna, rapporto oggi molto sfilacciato, deteriorato e giunto a uno dei punti più bassi della sua lunga esistenza dopo l’arrivo a palazzo Chigi del premier Mario Draghi che ha fatto di atlantismo ed europeismo un tratto inequivocabile della sua politica estera.

Oppure che Mosca crede che l’ambasciatore Razoz sia l’uomo giusto al posto giusto in quello che il Cremlino considera, secondo quanto ci confida una autorevole fonte diplomatica occidentale di lungo corso, un “anello debole” dello schieramento occidentale o se preferite il “paese più buono” tra la schiera “dei paesi cattivi”, secondo la prospettiva geopolitica del Cremlino dopo l’invasione dell’Ucraina.

C’è da ricordare che l’ambasciatore Sergej Razov, che il 1° marzo come ha scritto ieri Emiliano Fittipaldi su questo giornale, ha incontrato segretamente Matteo Salvini, è balzato recentemente agli onori della cronaca dopo la sua inusuale decisione di denunciare un articolo del quotidiano torinese La Stampa - del 22 marzo - contro il presidente russo Vladimir Putin. Il 25 marzo scorso l’ambasciatore della Federazione russa ha deciso di recarsi in procura a piazzale Clodio a Roma per depositare un esposto che ipotizzava istigazione a delinquere e apologia di reato. «Abbiamo teso una mano di aiuto agli italiani e ora qualcuno vuole mordere questa mano» disse con tono risentito in quell’occasione il diplomatico con riferimento agli “aiuti” russi dei primi mesi del 2020 contro il Covid (non disinteressati, come ha scritto questo giornale, sotto il profilo dello studio del virus).

Razov in quell’occasione uscì dalla sfera di conoscenza dei soli addetti ai lavori dove fino ad allora era rimasto confinato, usando parole dure contro l’esecutivo Draghi che aveva deciso di inviare armi italiane all’Ucraina.

La carriera

Razov ha conseguito agli inizi della sua carriera un dottorato in Economia, un elemento che gli è stato utile per completare la sua capacità di analisi del paese dove nel tempo si è via via trasferito. Dopo il crollo dell’Urss, Razov ha ricoperto diversi incarichi di rilievo, diventando ambasciatore per la Federazione russa, trasferendosi in vari paesi, dalla Mongolia (1992-1996), alla Polonia (1999-2002), vice ministro degli Esteri (2002-2005) fino alla Repubblica Popolare Cinese (2005-2013). Alcuni osservatori ritengono che la fine della sua esperienza cinese sia stata determinata anche dal suo personale scetticismo su un più stretto legame con Pechino desiderosa di assicurarsi l’accesso alle risorse energetiche russe.

Così Razov è stato trasferito a Roma. Probabilmente un momento importante di questa attività diplomatica per preservare il legame speciale tra Mosca e Roma è stata l’intervista che il ministro russo Sergej Lavrov ha voluto concedere a un canale televisivo italiano e precisamente a Zona Bianca di Rete4. Lo stesso ambasciatore Razov ha rilasciato un’intervista a Dritto&Rovescio sempre a Rete4 il 27 maggio scorso come segnalato sul sito dell’ambasciata russa in Italia e San Marino su Twitter.

I momenti di tensione, invece, si riferiscono alla scoperta dell’ufficiale della Marina italiana Walter Biot, accusato di aver trafugato documenti segreti Nato in favore di Mosca. L’ambasciatore russo in Italia, a marzo del 2021, venne ricevuto da Elisabetta Belloni, allora segretario generale della Farnesina e poi candidata per un giorno al Quirinale, che aveva comunicato «l’immediata espulsione di due funzionari russi coinvolti».

Per chi ama le coincidenze lo stesso tipo di vicenda era accaduto, sempre a Razov ma sulle rive della Vistola, quando questi era ambasciatore a Varsavia, dove il 20 gennaio 2000, gli era stato comunicato dal dicastero degli Esteri polacco l’espulsione di nove membri dello staff diplomatico russo accusati di essere coinvolti in «operazioni di spionaggio» contro la Polonia appena entrata nell’Alleanza Atlantica. E qui il cerchio si chiude con Razov chiamato a rinverdire vecchi legami con paesi un tempo alleati o amici ai tempi della seconda “guerra fredda”. Come documenta il film di Marco Bellocchio, Esterno notte, sul rapimento di Aldo Moro, anche il segretario del Pci, Enrico Berlinguer dovette confermare nel 1978 la collocazione occidentale del paese per poter accedere nella stanza dei bottoni. Oggi come allora non sono ammesse ambiguità nelle forze di maggioranza sulla collocazione atlantica del paese.

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