L’amministrazione statunitense è andata a Riad per i colloqui con il Cremlino con lo spirito di chi deve fare affari, il che è di per sé un affare, non solo per Donald Trump, ma soprattutto per Vladimir Putin. È passato dall’isolamento alle dichiarazioni di un segretario di Stato Usa, Marco Rubio, che parla delle «incredibili opportunità» economiche e geopolitiche «di avere la Russia come partner»: si capisce perché l’establishment russo sia uscito galvanizzato da quelle quattro ore abbondanti passate in una stanza di un palazzo reale saudita.

Pare proprio che la presidenza Trump – «il nuovo sceriffo in città», per dirla con il suo vice J.D. Vance – non rinunci a normalizzare nessuno, dai postnazisti tedeschi di AfD a Putin. Solo le regole – da quelle dell’Ue all’ordinamento interno e internazionale – provocano allergia ai trumpiani.

Il «doppio binario»

Gli affari di Trump e la riabilitazione di Putin sono senz’altro il dato più ingombrante del tavolo di trattative, ma nel caso di Riad succede che – come direbbe qualcuno – si nota di più chi non viene e chi è messo in disparte. Chi non viene è Volodymyr Zelensky, che non era stato invitato ma che avrebbe dovuto comunque recarsi a Riad nei prossimi giorni, ma dopo i colloqui Usa-Russia ha capito l’antifona e ha disdetto tutto.

La ragione potrebbe trovarsi in quelle voci insistenti – che arrivano sia dal versante trumpiano che russo, passando per orecchie europee – sul piano per farlo fuori politicamente, sotto la facciata di nuove elezioni. Fox News parla esplicitamente di un piano di Putin per piazzare «una sua marionetta», e già prima Trump aveva delegittimato Zelensky ventilando le elezioni. «Secondo le mie fonti, la proposta di Trump consiste in tre fasi: cessate il fuoco, elezioni in Ucraina e poi accordo finale; i desideri di Putin», fa sapere l’eurodeputato Sergey Lagodinsky.

E se Zelensky non c’è, chi è messo in disparte sono gli europei, relegati al momento a «negoziati a doppio binario»: in serata, dopo il tavolo di Riad, Rubio ha telefonato a Italia, Francia, Germania e Regno Unito, mentre su iniziativa macroniana veniva organizzato per il giorno dopo un nuovo summit informale, stavolta aggiungendo Canada e paesi baltici. Intanto viene spifferato un piano da 6 miliardi di aiuti militari dall’Ue per Kiev. L’amministrazione Trump chiede all’Ue maggiori sforzi e spese ma ne riduce i margini di manovra decisionali: al di là dei tentativi di ammorbidire la faccenda, e della ostinazione di von der Leyen nel vedere negli Usa «un partner» (lo ha ribadito questo martedì), Trump vuole trasformare gli europei in una penisola frastagliata di gregari.

I punti di Riad

Il colloquio di questo martedì – con Rubio, con il consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e con Steve Witkoff inviato in Medio Oriente (presente perché i colloqui con la Russia sono ad ampio raggio e perché compagno di golf e confidenze di Trump) per gli Usa, e per la Russia il ministro degli Esteri Sergej Lavrov e il consigliere presidenziali Yuri Ushakov – conta soprattutto per ciò che non viene pubblicizzato.

Ma partiamo dalla versione pubblica: Rubio riporta una convergenza con la Russia su «quattro princìpi». Primo, ripristinare le rispettive ambasciate a Washington e Mosca. «Ci servono servizi diplomatici operativi e funzionanti». Secondo: «Nomineremo una squadra di alto livello per aiutare a negoziare e a porre fine al conflitto in Ucraina in un modo duraturo e accettabile per tutte le parti coinvolte».

Sappiamo già che per gli Usa avrà un ruolo l’inviato Keith Kellogg, che questo martedì mattina ha incontrato Ursula von der Leyen, per poi precipitarsi in Ucraina con due giorni di anticipo dopo aver saputo che Zelensky ha cancellato il viaggio a Riad. Dal Cremlino sono arrivate anche questo martedì dichiarazioni di fastidio verso «le pretese degli europei di avere un posto al tavolo», mentre Rubio dice che «per porre fine al conflitto servono concessioni da tutte le parti, anche l’Ue ha imposto sanzioni e quindi dovrà essere al tavolo a un certo punto». Sappiamo dai media statunitensi che Kellogg ha discusso «a “dual track” set of negotiations» (Cnn), cioè «negoziati a doppio binario», il che aiuta a capire lo schema in corso: un tavolo principale tra Usa e Russia, e comunicazioni tra Usa (Kellogg) ed europei (vertici parigini).

Se una volta l’Ue polemizzava per il SofaGate – con Erdogan reo di aver messo von der Leyen a margine, sul sofà – che dire di Trump che fa i tavoli separati? Gli Usa restano il filo di congiunzione e quindi possono cogliere «opportunità eccezionali» sia con la Russia che con gli europei. E qui si arriva al terzo punto di Riad: «Iniziare a pensare alla cooperazione economica e geopolitica che potrebbe realizzarsi con la fine della guerra». Pare che si sia iniziato a pensarci (ad affari e incentivi) già nella telefonata Trump-Putin.

Ultimo punto: «Restiamo impegnati perché il processo vada avanti in modo produttivo». Nel frattempo la Russia incassa una riabilitazione e quindi un successo anzitutto di immagine, mentre continua a rivendicare territori ucraini e a dire che di presenze di forze di paesi Nato in Ucraina non se ne parla; poi se Kiev vorrà entrare nell’Ue (ma non nella Nato) deciderà lei. Ma anche questa uscita è credibile fino a un certo punto, se il piano è mettere un «puppet». Putin «non vuole davvero la pace, punta ancora a controllare l’Ucraina», dicono fonti riservate a Nbc.

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