La visione strategica sul riarmo prevede una mutazione strutturale dell’industria della difesa. L’elasticità sul patto di stabilità – che viene giustificata con un’ottica emergenziale – è invece limitata «anche nella durata»: 4 anni. «Se si va verso un bisogno strutturale, poi gli stati dovranno fare scelte di politica pubblica», dicono da Bruxelles
Da António Costa a Ursula von der Leyen, passando per Parigi e Berlino: l’Ue ripete in coro il «fermo sostegno» all’Ucraina. «Inaccettabile»: così l’alta rappresentante Ue Kaja Kallas definisce la richiesta di Putin di interrompere ogni aiuto militare e di intelligence nel contesto di un cessate il fuoco.
Ma la granitica postura da falco della ex premier estone si è già scontrata con l’attendismo di alcuni governi – in primis quello di Meloni – tanto che il piano per nuovi aiuti militari è stato fortemente ridimensionato in pochi giorni. Di Ucraina parleranno questo giovedì i capi di stato e di governo: il tema è in cima all’agenda del Consiglio europeo.
Intanto tra le righe del Libro bianco presentato dalla Commissione Ue si trovano le tracce sia del precedente vertice (straordinario) sulla difesa, che delle frequenti cene franco-tedesche tra Emmanuel Macron e Friedrich Merz: l’Eliseo ha ottenuto concessioni sulla «preferenza europea», per esempio.
Il riarmo 2.0
Non che sui piani per la difesa fosse rimasto molto da lanciare: quando il duo estone e lituano composto da Kallas e dal commissario Ue alla difesa Andrius Kubilius si è presentato davanti ai cronisti, dopo il collegio dei commissari, in realtà il copione era già stato spoilerato dalla presidente accentratrice Ursula von der Leyen, che oltre a ReArm Europe ha annunciato pure i punti chiave del Libro bianco il giorno prima da Copenaghen.
E ha ri-brandizzato il piano di difesa e riarmo come «Readiness 2030», pronti entro il 2030, facendo qui una concessione al governo Meloni: pur senza smentire formalmente ReArm, von der Leyen lo affianca ormai a «pronti entro il 2030», assecondando gli esecutivi che ritengono di faticare a far digerire il riarmo alla propria opinione pubblica. «L’Italia ha un’industria dello spazio e della difesa molto forte, very strong, lo ripeto: Leonardo è la più forte azienda europea nella difesa. E quel che la gente potrebbe capire è che questo è un momento importante per creare posti di lavoro, dunque perché l’Italia non dovrebbe considerare questa possibilità?», ha detto il commissario Kubilius.
Giusto il giorno prima era servito all’amministrazione regionale un vertice a Bari con Leonardo per fugare i timori di una delocalizzazione.
Una flessibilità limitata
La cornice strategica del Libro bianco e le varie informazioni ufficiali sui piani di Bruxelles non cambiano le due questioni di fondo: il riarmo resterà in capo agli stati membri e anche la flessibilità in tema di debito è fortemente condizionata. Il regolamento denominato (sempre seguendo l’ottica meloniana) «SAFE» (sicuri) concretizza l’idea dei 150 miliardi di prestiti ai quali gli stati possono ricorrere con il bilancio comune come garanzia, dunque a tassi presumibilmente agevolati, e aggiunge l’esenzione dell’iva sugli acquisti comuni.
Ma non c’è traccia di un piano di indebitamento comune più ampio: sugli eurobond pure Kallas si appiglia a un «vedremo». Non sono esclusi, insomma, ma neppure inclusi. E i restanti 650 miliardi? Sono spese nazionali nella cornice di un rialzo dei contributi all’alleanza atlantica: «L’ambizione è che la spesa sia più alta del 2 per cento del Pil, si deve fare di più, il 3, il 4, il 5… Se ci si mette la difesa aerea, il warfare di ultima generazione e così via, tutto costa molto», nota Kallas.
Il contributo di von der Leyen – che calcola i 650 miliardi sulla base di un aumento generale dell’1,5 per cento in più – consisterebbe nella deroga sul patto di stabilità per queste spese di difesa addizionali.
Gli anni contati del welfare
Ma attenzione: il libro bianco, che intende dare una visione strategica, e il piano di riarmo, che guarda già al 2030, prevedono una mutazione strutturale dell’industria della difesa; oltre alla Russia, viene contemplata in chiave antagonistica anche la Cina.
L’elasticità sul patto di stabilità – che viene giustificata con un’ottica emergenziale – è invece limitata. Per dirla con fonti della Commissione europea, «la flessibilità è limitata anche nella durata, che è di 4 anni. Se si va verso un bisogno strutturale, poi gli stati dovranno fare scelte di politica pubblica. Avranno quattro anni per poterle preparare».
Detta in parole semplici: per ora possiamo indebitarci senza incappare nelle grinfie dei vincoli, ma nel frattempo l'aumento delle spese della difesa diventerà strutturale, mentre l’elasticità no. Dunque gli stati dovranno tagliare altrove nella spesa pubblica (il welfare?) e i 4 anni servono per «preparare» questo.
I «campioni europei»
Negli anni, l’Ue ha finanziato i grandi colossi come Leonardo, Airbus o Thales anzitutto sotto forma di fondi per ricerca e sviluppo. L’accento sull’integrazione con l’industria ucraina serve anche perché in termini di nuove armi «c’è molto da imparare da quel campo di battaglia» (Kallas).
Tuttavia una volta escogitate le innovazioni grazie ai fondi pubblici Ue, non esistono obblighi di tenerle dentro confine, se non «il controllo statale dell’export di armi». E oltre a finanziare tutto ciò, il piano di riarmo europeo vuole anche garantire acquisti ai colossi (i «campioni europei» come direbbe Draghi nella sua visione di competitività) per dar loro «stabilità di investimento».
Anche per questo Bruxelles insiste sull’idea di «aggregare la domanda» e incentiva «acquisti comuni» (già tentati anni fa con Edirpa). Come per i vaccini, gli europei pagheranno conto doppio: prima per innovare, poi per acquistare. Esistono vincoli a comprare europeo, o altrimenti detta, incentivi a emanciparsi dagli Usa? In parte.
Bruxelles sollecita «progetti paneuropei» e risponde che per i prestiti di “safe” vale il principio della preferenza europea: ai contributi possono ambire imprese con sede in Ue e con un tasso del 65 per cento del costo prodotto in Europa. L’ombrello si apre per Norvegia, Ucraina e chi ha accordi di partenariato.
E intanto a Kiev?
«Il riarmo è tra le cose che indeboliscono il processo di pace», ha detto Steve Witkoff, l’amico di golf di Trump da lui incaricato di gestire le relazioni di Putin, e che di fatto gli fa eco. Un coro di leader europei insiste che non molleremo l’Ucraina. Le ultime versioni del piano di aiuti militari ideato da Kallas lo davano però ribassato da 40 miliardi a 5.
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