Il governo spagnolo ha appena approvato le due misure per la difesa del reddito da lavoro e dell’occupazione: l’aumento del salario minimo interprofessionale (Smi) a 965 euro mensili, corrisposti con retroattività dal primo di settembre e la proroga degli Erte (una sorta di Cassa integrazione) fino alla fine del prossimo febbraio.

Nel caso del salario minimo l’intesa è stata solo del governo con i sindacati; contrarie le imprese, adducendo che questa misura comprometterebbe la ripresa economica in atto. La fissazione per legge del salario minimo obbliga tutti i settori ad applicarlo. I sindacati confederali considerano lo Smi la soglia minima salariale e un impulso per la contrattazione.

Come funziona

In Spagna, il salario minimo fu introdotto per legge nel 1963, dal 1977 è fissato annualmente dal governo con un Real decreto. L’aumento più rilevante si ebbe nel 2019, dopo l’accordo nel 2018 tra il governo socialista di Pedro Sánchez e Unidas Podemos: da 735,90 a 900 euro mensili, beneficiando soprattutto molte lavoratrici, che videro ridursi in un anno la differenza salariale con i colleghi uomini di circa il 2 per cento.

Quest’anno l’aumento è di 15 euro, situandosi all’interno della forchetta tra 12 e 19 euro che gli esperti del ministero del Lavoro hanno elaborato per centrare l’obiettivo del governo di elevare lo Smi fino al 60 per cento del salario medio entro il 2023 (circa 1.050 euro).

Con questo incremento, lo Smi, per una tipologia di lavoro a tempo pieno, è fissato a 32,17 euro lordi al giorno, o 965 euro lordi mensili per 14 mensilità e 13.510 euro lordi l’anno. In Spagna sono interessati alla misura oltre un milione di lavoratori, la maggior parte donne.

Lo Smi e la contrattazione

In Italia non esiste un salario minimo, ma minimi contrattuali per categoria. Finora i sindacati confederali italiani si sono opposti a una misura definita per legge, perché temono che possa svuotare i contratti nazionali e favorire una contrattazione dei salari al ribasso. Ultimamente, la Cgil ha manifestato una qualche apertura al riguardo, vincolandola però alla necessità di approvare una legge sulla rappresentanza che metta fine al proliferare dei contratti cosiddetti pirata.

«Per evitare che lo Smi schiacci la contrattazione collettiva dobbiamo avere molto bene articolati i livelli di contrattazione nelle loro competenze», dice Javier Pacheco, segretario generale di Comissions Obreres de Catalunya. «In Spagna con la riforma del mercato del lavoro del governo Rajoy, vengono date più competenze al contratto d’impresa che a quello di settore. Così i salari tirano verso il basso e il riferimento al salario minimo deprime la contrattazione collettiva. Ma succede anche il contrario: se alzi lo Smi nel settore multiservizi ad esempio, dove c’è una contrattazione debole, s’incrementa il salario di quei lavoratori».

In Spagna, spiega Pacheco, la contrattazione collettiva copre l’83 per cento dei lavoratori, «di questi, una parte molto piccola è coperta da un contratto d’impresa con incrementi salariali minori, a cui perciò serve che lo Smi cresca».

L’impegno del governo

Joaquín Pérez Rey è il segretario di Stato del ministero del Lavoro. Le misure del governo per disporre di uno scudo sociale contro le conseguenze della crisi pandemica sono diverse, elenca, «ma la parte lavoristica ha avuto un’influenza decisiva nel mantenimento del tessuto produttivo. Non c’erano ragioni di fondo perché le imprese si tirassero fuori dall’intesa, il loro atteggiamento è stato molto rigido: la crescita dello Smi si muove entro i parametri consigliati dai tecnici del ministero per raggiungere il 60 per cento del salario medio. L’aumento dello Smi è importante perché diretto alla parte della popolazione lavoratrice più debole, è un antidoto contro la povertà salariale».

La riforma Rajoy, dice Joaquín Pérez Rey, «puntava alla svalutazione dei salari e ha perciò prodotto la povertà salariale. È quindi necessaria una riforma che ne corregga gli aspetti più nocivi e metta fine alla precarietà del lavoro».

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