Che il primo incontro del nuovo cancelliere tedesco Olaf Scholz con il presidente russo Vladimir Putin non sarebbe stato facile si sapeva. Il fatto che sia avvenuto in giorni in cui un’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo sembra vicinissima non ha facilitato le cose: negli ultimi giorni sembrava che la visita di Scholz a Mosca potesse essere l’ultima di un leader occidentale prima dello scoppio della guerra. Per ora, secondo quanto hanno spiegato i due capi di governo, si ritorna al tavolo delle trattative. E questa è già una prima prova superata che Scholz si può intestare. 

Scholz si è presentato a Putin con un’eredità pesante sulle spalle: il presidente russo aveva con l’ex cancelliera Angela Merkel un rapporto privilegiato improntato non all’amicizia, ma a una stima e dipendenza reciproca. Ancor prima di Merkel, il presidente aveva fatto crescere l’amicizia con il cancelliere di fine anni Novanta Gerhard Schröder al punto da accoglierlo, dopo la fine del suo incarico politico, come lobbista di diverse imprese statali russe. 

Durante il suo lungo colloquio con il presidente russo, Scholz avrà senz’altro tenuto presente anche le aspettative che pesano su di lui in Germania: i suoi alleati Verdi e liberali sono piuttosto ostili nei confronti di Mosca e spingono perché la rinuncia al gasdotto Nord Stream 2, che collega Russia e Germania passando nel Mare del Nord, diventi una carta rilevante nella trattativa per evitare la guerra. I Verdi sono contrari all’attivazione dell’infrastruttura anche per motivazioni ecologiste, la Fdp ha chiesto che il cancelliere affronti finalmente in maniera esplicita l’argomento, su cui finora non c’era stata una presa di posizione aperta. 

Il blocco

Attualmente, il gasdotto è bloccato da una controversia di autorizzazioni burocratiche tedesche, dettaglio che il presidente russo non ha dimenticato di menzionare. A quel punto, Scholz ha spiegato che «sappiamo che ci saranno conseguenze economiche importanti. Noi sappiamo quali saranno e penso che lo sappiano anche tutti gli altri». È questo il riferimento più diretto a Nord Stream 2 che si concede il cancelliere, ma è già un passo più concreto del nebuloso modo di trattare la questione che aveva Merkel: uno dei suoi ultimi successi era stato il compromesso con Joe Biden sul gasdotto. I termini dell’accordo prevedono che gli Stati Uniti mettessero fine alla loro opposizione al progetto e la Germania si riservasse la possibilità di intervenire con sanzioni nei confronti della Russia in caso di necessità. Un’uscita di sicurezza di cui Scholz ora sta tentando di fare uso e che Putin sa che è un’opzione, per quanto dolorosa, che il cancelliere è disposto a usare. 

Per Scholz la rinuncia al gasdotto è anche la prova tangibile del cambio di linea del suo partito. Per vent’anni nella Spd nei rapporti con la Russia a dominare erano i “Putin-Versteher”, «quelli che comprendono Putin»: il primo e più illustre della corrente era sicuramente Schröder, ma ancora oggi, chi nel partito è cresciuto con lui ha una particolare tolleranza per quanto riguarda i colpi di testa del presidente russo. Lo stesso Scholz fino a qualche settimana fa parlava di Nord Stream 2 come di un «progetto economico di iniziativa puramente privata», un modo barocco per ignorare la portata geopolitica del progetto del cuore di Schröder. L’ex cancelliere era stato coinvolto anche nella realizzazione di Nord Stream 1, che, come ribadisce Putin, «ha portato alla riduzione di sette volte del prezzo del gas per i consumatori occidentali, questo è il merito di Schröder, di cui abbiamo rispetto». 

Cambio di linea

Scholz, che pure è stato uno dei ministri più vicini a Schröder durante il suo mandato, alla domanda sul conflitto di interessi del suo predecessore ha risposto facendo sfoggio del suo approccio anseatico, secco e senza fronzoli: «Non commento le attività economiche private di un ex politico». Eppure, fino all’ultimo Schröder, che in questi giorni è lontano dal pubblico dopo essersi contagiato di Covid-19, aveva avuto incontri con dirigenti socialdemocratici ed esponenti di governo in cui si era ampiamente parlato dei rapporti con la Russia. 

Che Scholz abbia preso posizione, per quanto in maniera vaga, sulla possibilità concreta di porre fine al progetto di Nord Stream 2, così come l’ha fatto sul caso Navalny, di cui non accetta i termini processuali, alza il ritmo nei rapporti tra Berlino e Mosca. Bisogna vedere quanto Scholz riesca a tenere il punto con un interlocutore come Putin. Ma che, anche in conferenza stampa, abbia tenuto testa alle sue provocazioni dà un’immagine diversa dai confronti alla pari, ma raramente generatori di cambiamenti concreti, tra Putin e Merkel. Insistere sul fatto che Putin «sarà ancora in giro per un bel po’, ma non in eterno», o contraddire davanti ai giornalisti il presidente russo su un paragone tra il conflitto nei Balcani degli anni Novanta e i combattimenti nel Donbass sono episodi che mai si sarebbero potuti raccontare di Merkel. 

Non è detto che sia un modo davvero efficace di trattare con Putin. Nelle sue risposte, Scholz è tornato più volte sugli accordi di Minsk, che ha contribuito a stendere il presidente della Repubblica tedesco Frank-Walter Steinmeier, all’epoca ministro degli Esteri. Dal suo punto di vista, il punto da cui ripartire è la trattativa tra Kiev e Mosca organizzata in quel contesto e si tratta dell’unica vera strategia evocata dal cancelliere. Uno spunto che Putin in conferenza stampa non ha voluto raccogliere.  

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