Se agitano le mani allora vuol dire che sono davvero molto d’accordo con ciò che viene detto, e questa è l’eredità della lingua dei gesti collaudata sul campo da movimenti nati dal basso come gli Indignados. Per non parlare del fatto che vedere duecento cittadini occupare gli scranni degli europarlamentari a Strasburgo ha proprio l’aspetto di una Occupy Unione europea. Qui a Strasburgo non ci sono però attivisti, coscienziosi, aspiranti rivoluzionari né protestatari, a dire la loro sul futuro dell’Europa, e a concordare una piattaforma comune di richieste per la politica. Si tratta invece di persone sorteggiate loro malgrado, in tutta l’Unione, e diverse per provenienza, età, studi, occupazione. Diverse pure per le aspettative.

«Non mi sento preparata, ho paura di non essere all’altezza», racconta Maria Tessaro prima di entrare nell’emiciclo per la plenaria. Fa la casalinga, ha 65 anni, e ha viaggiato fino a qui da Pesaro. Mustapha Rahaoui viene da meno lontano, perché vive già in Francia, ma qualche sforzo per venire lo ha comunque fatto: «Ero e sono un po’ scettico, perché se ci fanno parlare ma poi la politica non ci ascolta, bè, allora sarà peggio che non aver fatto nulla».

Che cosa vuole la politica da loro? Perché li ha sorteggiati e ha prenotato loro un viaggio fino a qui, nell’Alsazia che è il simbolo delle contese francotedesche prima, e della pax europea poi? Il fatto è che, in occasione della conferenza sul futuro dell’Europa, le istituzioni europee hanno fatto una scommessa: tentare un esperimento di democrazia deliberativa. Di questa portata, a livello paneuropeo, è la prima volta nella storia.

Le regole del gioco

«Ho 44 anni, e se la coscienza politica si giudica dalla partecipazione al voto o ai partiti, allora sono senza coscienza», dice Mustapha Rahaoui, uno dei sorteggiati. Vive a Dunkerque, lavora per i supermercati Auchan e nel tempo in cui non lavora e non pensa ai figli è impegnato in un’associazione: distribuisce pasti e aiuti ai rifugiati.

«Una coscienza civile ce l’ho, è la politica che ormai se ne sta nella sua bolla. Partecipo a questi panel ma rimango scettico: voglio vedere se oltre ad ascoltarci ci daranno pure retta. Se non lo faranno, creeranno ancora più sfiducia e rassegnazione, soprattutto nei più giovani».

Al bar accanto a lui c’è una sorteggiata di 16 anni, anche lei francese, che supera la timidezza per dire le sue priorità: parità per le ragazze, meno alberi abbattuti. «Non penso che la democrazia possa ridursi a una croce su una scheda», continua Rahaoui. Non lo pensano neppure le istituzioni Ue a quanto pare, e per trovare altre strade di partecipazione hanno congegnato un sistema inedito. Funziona così. Il giorno della festa dell’Europa, il 9 maggio, una piattaforma digitale multilingue aperta a tutti ha cominciato a ospitare commenti, dibattiti, su nove aree tematiche che vanno dall’ambiente alla giustizia sociale, compreso il meta-tema della democrazia. Gli europei non hanno mostrato grande eccitazione, del resto pochi sanno che l’opportunità c’è, complice la scarsa copertura mediatica. Un primo report dice che tre milioni di persone sono passate almeno una volta sul portale e solo 26mila hanno anche partecipato; tra queste, ben l’80 per cento è stato piuttosto attivo. Le idee espresse sono state 7mila, gli eventi circa duemila, e a prendervi parte più di centomila europei. Questa è la base del processo: a partire dalle considerazioni emerse sul “social network dell’Ue”, i panel dei cittadini – 800 persone – elaboreranno le loro considerazioni. Un primo gruppo ha avviato i lavori da venerdì a domenica: in 200 devono dire la loro su economia, giustizia sociale, trasformazione digitale, cultura. Un altro gruppo si dedicherà a democrazia e sicurezza, poi c’è ambiente e salute, infine migrazione e ruolo globale; i quattro gruppi da 200 si incontreranno ciascuno per tre volte, lavorando per sottogruppi e plenarie. Ognuna delle quattro articolazioni spedirà venti suoi rappresentanti (quindi 80 in totale) per seguire la fase finale; per evitare dinamiche di potere, non si tratterà di eleggere leader, ma chi vuole darà disponibilità e poi ci sarà – di nuovo – un sorteggio. L’approdo finale è la plenaria, dove cittadini sorteggiati e rappresentanti delle istituzioni dialogano. Insieme si trovano parlamentari nazionali ed europei, i cittadini dei panel e una piccola quota di rappresentanti di enti locali, corpi sociali e ong; in totale 450 membri. A marzo dovremmo vedere i primi risultati.

Democrazia dei sorteggiati

Vincenzo Missio fa il consulente per le imprese a Udine, ha una figlia ventenne «per la quale l’Europa è una cosa naturale» e sapeva vagamente cosa fosse la conferenza sul futuro dell’Europa. Finché non gli è arrivata una telefonata: «Mi hanno detto che il mio nome era stato sorteggiato per partecipare ai panel». L’Ue ha appaltato il sorteggio a una società esterna, che ha pescato ovunque, bilanciando i selezionati per paesi di provenienza, aree urbane o rurali, età, genere, istruzione, profilo socioeconomico.

«Prima abbiamo preso confidenza, poi ci siamo riuniti per sottogruppi di una decina di persone», dice Missio. «Per prima cosa ci hanno messi a disegnare». Disegnare? «Sì, ci hanno chiesto di rappresentare la nostra idea di Europa nel 2050, io l’ho scarabocchiata senza confini e ho messo il simbolo “uguale” perché vorrei più parità».

I vari disegni sono stati attaccati a una lavagna a forma di albero, dove i “frutti” erano le idee, e si è andati avanti a discutere. Poi sabato alla plenaria, nell’emiciclo dove di solito siedono gli europarlamentari, i cittadini hanno interloquito con gli esperti Francesca Bria, Lucas Guttenberg, Dorota Szelewa, Louis Godart, Pedro Nuno Teixeira, Pierre-Alexandre Balland.

«Quando mi hanno chiamata ero molto indecisa se partecipare proprio perché pensavo di non essere preparata», dice Maria Tessaro, casalinga pesarese. Ma la competenza non è il criterio su cui si fonda questa versione di democrazia deliberativa. L’estrazione a sorte, come ricordava già un decennio fa il politologo Bernard Manin, era il cardine della democrazia ateniese: «Ciascun cittadino doveva essere in grado di occupare sia la posizione di governante che di governato». Jacob Birkenhaeger è uno dei facilitatori dei panel e ha moderato la plenaria di sabato. Spiega che il punto di forza dei panel è «costringere a uscire dalla bolla». Per gli euro-politici, significa uscire dalla “Brussels Bubble” e sapere qual è l’opinione dei cittadini. Per i cittadini, vuol dire «non avere solo un’opinione – altrimenti sarebbe un sondaggio, ma dialogare per arrivare a una proposta comune. E quindi uscire dalla propria bolla sociale di riferimento, trovare un terreno comune con altri europei con esperienze diverse». Dopo lo spartiacque dell’Irlanda, che una decina di anni fa avviò una convenzione costituzionale coinvolgendo cittadini estratti a sorte, le assemblee partecipative di questo tipo si sono moltiplicate; la Francia dell’èra Macron ha quella dedicata al clima.

«C’è una nuova generazione di studiosi, da Pierre Rosanvallon a Helene Landemore, che si sta interrogando su questi sistemi di partecipazione perché le nostre istituzioni attuali sono basate su un modello di società del diciottesimo secolo», dice Yves Mathieu. Si trova a Strasburgo perché la sua società, Missions publiques, è tra quelle coinvolte dall’Ue per gestire il processo partecipativo. «Nel 1999 ho gestito il primo per la società di trasporti di Parigi, il tema era come migliorare la percezione di sicurezza dei cittadini, che avevano paura a spostarsi la notte. Ero considerato un alieno. E com’è andata a finire? Che in vent’anni abbiamo organizzato oltre 1200 processi deliberativi in 125 paesi, ne abbiamo fatti anche nei campi di rifugiati».

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