I giudici stabiliscono che è illegale negare l’accesso ai messaggi usati dalla presidente in fase di negoziato con Big Parma. La sentenza stigmatizza lacune e contraddizioni di von der Leyen, la cui opacità è sistematica
Ursula von der Leyen ha negoziato il più ingombrante dei contratti con Big Pharma per vie private e ora che la Corte di giustizia Ue chiede con tanto di sentenza chiarezza sugli sms intercorsi tra la presidente e l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla, la Commissione che fa? Pur sapendo che sulla (opaca) gestione dei contratti per i vaccini c’è un problema enorme – e una inchiesta in corso della Procura europea – alza le braccia sperando che la tormenta sfumi: non esclude il ricorso e ventila «ulteriori spiegazioni».
Finora nulla è stato spiegato, anzi: i giudici individuano palesi lacune e contraddizioni in quel che palazzo Berlaymont ha detto e soprattutto ha evitato di dire. Quel che Bruxelles dovrebbe realmente fornire sono gli sms, che invece continuano a non uscire. Sempre che non siano stati distrutti (ipotesi data per consistente). Vale la pena ricordare che – come si è scoperto nel 2019 – sempre von der Leyen aveva già cancellato dai cellulari di lavoro dell’epoca messaggi che avrebbero potuto contenere prove utili per un’inchiesta relativa a quando era ministra della Difesa in Germania.
Sia la sentenza di questo mercoledì – «la decisione della Commissione che nega l'accesso agli sms è annullata» – che il caso in sé sono rilevanti e rivelatori sullo stile di governo accentratore di von der Leyen. «Malgoverno», lo definì già anni fa l’ombudsman Ue. Il paradosso? Von der Leyen ha gestito i negoziati in modo personalistico ma è l’istituzione Ue in quanto tale a dover dare risposte sugli sms che dice di non detenere.
L’opacità come sistema
Per capire il caso bisogna risalire al contesto.
Nella primavera 2021 l’Unione europea negozia una nuova stagione di contratti per i vaccini. Si è già chiusa la prima, partita all’insegna delle polemiche per i ritardi nelle consegne e della querelle tra Bruxelles e AstraZeneca: von der Leyen ha già fatto capire più volte e palesemente che Pfizer è il partner preferito. Quindi il 14 aprile, quando la presidente inaugura la nuova stagione, questa azienda è in prima fila.
Si tratta del terzo contratto con BioNTech-Pfizer, si parla di 1,8 miliardi di dosi fino al 2023, e nonostante permanga da parte della Commissione un’assordante opacità, grazie ad alcune rivelazioni – riportate su Domani nell’aprile 2021 – emerge che in quel nuovo contratto l’azienda aveva spuntato prezzi più alti di circa il 25 per cento a dose.
Il 28 aprile di quell’anno, Matina Stevis-Gridneff del New York Times rivela un dettaglio su come si sia arrivati a quell’accordo, e cioè dopo un intenso scambio personale tra la presidente e l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla.
Nella sentenza troviamo alcune trascrizioni all’origine di quella conclusione: Bourla afferma che lui e von der Leyen avevano iniziato a lavorare insieme sempre più spesso, che la presidente gli aveva dato il suo numero di telefono, che «c’erano scambi in caso la Commissione avesse domande» e che i due «avevano scambiato messaggi di testo (sms) quando c’erano dei punti da affrontare». Bourla parla di «discussioni approfondite». Quanto a von der Leyen, al New York Times aveva fatto riferimento a contatti con Bourla, di cui aveva apprezzato la «risposta personale».
La sentenza di questo mercoledì è innescata proprio dal fatto che la capo corrispondente del NYT si sia poi vista negare l’accesso agli atti (gli sms).
E qui viene il punto chiave: l’opacità. Prima di addentrarsi nella sentenza, bisogna apprezzare il contesto. Come registrato puntualmente su Domani durante il periodo dei contratti pandemici, i contratti stessi e i negoziati sono stati contrassegnati da una sistematica mancanza di trasparenza. Solo dopo le insistenze degli europarlamentari, questi ultimi avevano potuto visionare per pochi minuti in una dark room, firmando una clausola di riservatezza, i testi già prevalentemente oscurati.
Adesso la Commissione – per alleggerire il peso della sentenza – dichiara che c’erano negoziati che coinvolgevano gli stati membri, e tecnicamente avrebbe dovuto essere così. Ma in realtà la stessa Corte dei Conti europea ha denunciato tempo fa che «a marzo 2021 la presidente di Commissione ha condotto negoziati preliminari su un contratto con Pfizer/BioNTech» e che «questa Corte dei Conti non ha ottenuto nessuna informazione su questi negoziati preliminari» riguardanti «il più importante tra i contratti» dell’Ue.
Cosa resta degli sms
«Il diritto di accesso agli atti non sarebbe tale se l’istituzione potesse schivare l’obbligo limitandosi a dire che non ha trovato gli atti», scrivono i giudici. «La Commissione non ha né confermato né negato l’esistenza degli sms e sostiene di non sapere se siano esistiti dato che non li ha».
Ma perché non li ha?, chiede la Corte. Non erano stati messi agli atti da chi li ha scambiati (von der Leyen)? Le sono stati domandati? O ci si è limitati a constatarlo? Se richiesti, non sono stati rintracciati? Notevole il punto sul cambio di telefoni: «La Commissione dice che i cellulari dei suoi membri sono periodicamente sostituiti per ragioni di sicurezza e dice di presumere che dopo la richiesta di atti della giornalista il cellulare di von der Leyen possa essere stato cambiato, ma dice di non poter confermare che i contenuti del nuovo telefono corrispondano a quelli del precedente». Qualcosa può essersi “perso” tra un telefono e l'altro.
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