Questo reportage racconta la situazione prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Fotografa la situazione prima della guerra. A Berehove, la città più ungherese dell'Ucraina, è meglio portare due orologi al polso: uno per sapere l'ora di Kiev, l'altro per quella di Budapest.

Perché in Transcarpazia, la regione del sud-ovest del paese, i membri della minoranza magiara vivono tutti, senza eccezione, all'ora ungherese. «È vero che a volte può creare piccoli problemi, ma è sempre stato così», afferma Norbert Bence mentre sorride.

Avvolto nel suo cappotto, questo 26enne dottorando in fisica sfida il freddo di gennaio, sia per fumare una sigaretta, che per accogliere i partecipanti al suo seminario in una pensione non lontano dal centro della città. Una ventina di giovani della Transcarpazia, la maggior parte dei quali studenti di fisica, filologia o storia, sono venuti a scambiarsi opinioni sui problemi che affrontano in quanto ungheresi dell'Ucraina.

«Durante questo fine settimana, creeremo un'associazione il cui obiettivo è conservare le tradizioni ungheresi», spiega Norbert, pieno di entusiasmo. La maggior parte dei partecipanti sono studenti della capitale regionale Uzhgorod, a 70 chilometri di distanza. La comunità ungherese in Transcarpazia non è molto grande, quindi, al netto di qualche grado di separazione, si conoscono un po’ tutti.

Da un paese all’altro

In questa regione, che faceva parte del Regno d'Ungheria fino alla Prima guerra mondiale, circa un decimo della popolazione si identifica come ungherese - ovvero tra i 100mila e i 150mila abitanti.

Dopo la separazione dall'Ungheria e alla luce del trattato di pace del Trianon del 1920, la Transcarpazia è passata da un paese all'altro al ritmo di guerre e conquiste: prima Cecoslovacchia, poi Unione Sovietica e ora Ucraina, indipendente dal 1991. Ma se le autorità di riferimento e i passaporti possono essere cambiati spesso, gli abitanti sono rimasti gli stessi.

Per i giovani ungheresi come Norbert che sono venuti a Berehove - o "Beregszázs" in ungherese -, per il seminario, non c'è mai stato nient’altro che l'Ucraina. Il giovane dalla corporatura robusta  nasconde uno sguardo sicuro dietro a un paio di occhiali neri. È cresciuto nel vicino villaggio di Betove e come molti dei suoi coetanei, ha studiato all'Università di Uzhgorod. Ma ha anche soggiornato all'estero per guadagnarsi da vivere.

«Ho lavorato per qualche mese come lavapiatti in un ristorante cinese a Belleville, il quartiere di Parigi». I suoi fratelli, partiti prima di lui, gli avevano trovato il posto nella capitale francese. Norbert ha una buona padronanza dell'ucraino, a differenza di molti giovani ungheresi che lo capiscono a malapena.

«Cominciamo, abbiamo fino a mezzogiorno per risolvere i problemi della nazione», scherza il dottorando-moderatore. Sándor, uno studente di 20 anni dell'Università di Uzhgorod, interviene subito: «In generale, non direi che le relazioni [tra ucraini  e ungheresi] sono buone. Nella vita di tutti i giorni, si percepiscono le differenze».

I partecipanti del seminario parlano dei piccoli incidenti quotidiani che li esasperano: le prese in giro degli altri studenti ucraini all'università, i bar di Mukatchevo «dove non si parla ungherese» o le «provocazioni dei nazionalisti ucraini» che attaccano i simboli dell'identità ungherese. Per esempio, la statua del Turul - il leggendario uccello ungherese - a Munkatchevo è sempre sovrastata da una bandiera ucraina. Per loro non può non trattarsi di un'offesa. «Certo, di regola le cose vanno bene, ma sono le esperienze negative a lasciare il segno», dice Alexa, 19 anni, studentessa di filologia.

«Non reagiamo alle provocazioni»

Gli studenti non esitano a condividere le loro sensazioni, nonché paure per il futuro. «Abbiamo sentito molte storie di giovani ungheresi costretti a entrare nell'esercito», dice Alexa.

C’è tempo per una pausa e il giovane gruppo esce a godersi il sole che scioglie lo spesso strato di neve che si è accumulata per settimane. Norbert ha scelto un edificio di proprietà della chiesa cattolica locale per organizzare il seminario.

Dalla strada, il passante può leggere in ungherese e in grandi lettere dorate "casa comunale e di pellegrinaggio". Sul muro dell'edificio di fronte, un graffiti raffigura i due tridenti ucraini, l'emblema nazionale.

Norbert fa spallucce: «Accade regolarmente. Noi ungheresi non reagiamo alle provocazioni. È esattamente ciò che vorrebbero i nazionalisti ucraini: innescare un circolo di violenza, dove le due parti si colpirebbero a vicenda», afferma, un po’ seccato alla vista del murale. «Le associazioni come la nostra mirano a ridurre le tensioni tra le comunità».

Il rischio di tensioni etniche

Tornati tra i muri dello spazio che li ospita, i partecipanti ripercorrono gli ultimi anni di storia ucraina. Nel 2017 il parlamento ha approvato una legge che impone l'ucraino come unica lingua di insegnamento a partire dalla scuola secondaria.

Per tutto il gruppo riunito a Berehove, la norma è un boccone amaro da mandare giù. «Costringere gli studenti - che spesso parlano poco l'ucraino - a seguire tutte le lezioni, compresa la matematica e la fisica, in quella lingua è controproducente», secondo Norbert.

Fosse per lui, i madrelingua ungheresi dovrebbero essere in grado di continuare a studiare in ungherese, pur avendo un numero significativo di ore di ucraino come lingua straniera. «Per integrarsi, trovare un lavoro e avere qualche prospettiva economica, bisogna saper parlare l'ucraino a un livello sufficiente.

Parlare affatto o male questa lingua è un ostacolo molto difficile da superare», rileva pragmaticamente. E non è l’unico a pensarla così nel gruppo. Per Norbert, dimostrare una volontà di integrazione è importante per non dare spago a chi alimenta certe accuse.

«Gli ucraini hanno davvero paura del separatismo ungherese», afferma rampante Sándor. Uno dei principali leader della minoranza ungherese, László Brenzovics - che è anche il leader di uno dei partiti politici magiari -, è accusato, dal 2020, di "alto tradimento" e "separatismo". Da allora è fuggito a Budapest.

Tuttavia, il governatore dell'oblast (termine che indica un'unità amministrativa simile al concetto di “regione”, ndr.), Viktor Mykyta, ritiene che non ci siano tensioni tra le due comunità.

Secondo Mykyta, la responsabilità delle scaramucce è la Russia, che cerca di strumentalizzare la situazione per danneggiare Kiev. Nel 2018, il centro culturale ungherese di Uzhgorod è stato incendiato da tre cittadini polacchi con legami provati con un'organizzazione russa. Questo attentato ha dato peso all'ipotesi di un intervento russo per indebolire l'Ucraina sia a livello domestico che internazionale.

Il ruolo di Budapest

Dopo il voto sulla legge sull'insegnamento e l’utilizzo della lingua ucraina, ci sono state grandi tensioni diplomatiche tra Budapest e Kiev.

Il governo del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, pensa che la legislazione violi i diritti fondamentali della minoranza. Il leader ultraconservatore ha ripetutamente chiesto all'Ucraina di modificare o ritirare la norma, senza successo però. Di fronte al rifiuto ucraino, l'Ungheria blocca qualsiasi avvicinamento tra l'Ucraina e le istituzioni occidentali, in particolare la Nato, alimentando tensioni latenti tra i due paesi.

Dal 2012, l'Ungheria distribuisce passaporti ai membri della minoranza ungherese, nonostante la legislazione ucraina proibisca la doppia nazionalità. Ottenere il documento rappresenta un'opportunità economica cruciale nella regione, che rimane una delle più povere dell'Ucraina.

«All'inizio era molto facile ottenere un passaporto ungherese quasi tutti vi avevano accesso. Negli ultimi anni le cose sono cambiate, bisogna dimostrare di saper parlare ungherese a un certo livello», spiega Timea, un’insegnante di lingua ungherese che vive a Uzhgorod.

Oltre ai passaporti, il governo ungherese ha lanciato una politica di sovvenzioni molto generose per le minoranze magiare del bacino dei Carpazi. In dodici anni, da quando Viktor Orbán è tornato al potere nel 2010, più di 115 milioni di euro sono stati trasferiti alla Transcarpazia sotto forma di sovvenzioni o donazioni - l'equivalente di un anno e mezzo del bilancio amministrativo della regione: Timea ci racconta della ristrutturazione della sua scuola da parte dello stato ungherese; gli studenti del workshop, della ristrutturazione del loro ufficio o del campo di calcio; e un professore universitario della ristrutturazione del pavimento del suo dipartimento, ecc.

Anche György Rúsznák, proprietario di una caffetteria a Oujhorod, ha beneficiato dei sussidi ungheresi per comprare attrezzature per il suo locale: un frigorifero e una macchina per fare il caffè. Secondo lui, questo tipo di investimenti beneficiano chiunque: «L'obiettivo di Budapest è quello di aiutare gli ungheresi a continuare a vivere qui, non a partire. L'Ungheria fa molto per la regione. Aiuta scuole, ospedali e intere aree della regione».

György (Yuri in ucraino) rappresenta la storia della regione in carne e ossa: madre ucraina e padre ungherese, questo 50enne è cresciuto in un villaggio prevalentemente rumeno. E così ha iniziato la sua formazione scolastica in rumeno, prima di finire l'università - dove ha imparato anche l'italiano - in russo.

Da 35 anni gestisce una caffetteria con la sua compagna, che è slovacca e rutena (una minoranza dell'Ucraina occidentale). Tra ogni sorta di cartelli appesi e altre reliquie che ricordano la storia turbolenta della regione, György è abituato ad accogliere calorosamente chiunque entri nel suo locale, indipendentemente dalla lingua, come ci ricorda un cartello sopra il bar.

«Volevo creare un luogo d'incontro per persone di ogni provenienza, per persone a cui non importa quale lingua parli. Credo di esserci riuscito». Il jazz e le serate culturali sono di tutti. Questa è «una vera Babilonia», spiega György.

Arginare l'esodo

Per il massiccio sostegno finanziario messo in campo, l'Ungheria - spesso chiamata anche  "madrepatria" -, gode di un'ottima stampa in Transcarpazia.

Dal 2010, il partito di Viktor Orbán ha mantenuto una maggioranza di due terzi nel parlamento ungherese, permettendo al suo partito, Fidesz, di governare in solitaria e incontrastato.

Il voto della Transcarpazia non è un fattore secondario nel raggiungimento di questa maggioranza: secondo le stime, la comunità della regione dà a Fidesz da uno a due seggi supplementari in parlamento. «In generale, coloro che non sostengono Viktor Orbán semplicemente non votano. Solo quelli che sostengono Fidesz si preoccupano di farlo», osserva un altro studente. Qui, i partiti di opposizione sono spesso visti addirittura come un pericolo: la fine dei sussidi, o addirittura la fine del diritto di voto per le elezioni in Ungheria - una modifica che Fidesz non solo ha concesso, ma anche facilitato e incoraggiato.

Nel frattempo, Fidesz è ancora al governo. E molti ungheresi locali si recano periodicamente in Ungheria per lavorare, per non parlare di chi si trasferisce tout court. In Transcarpazia, nel 2021, il salario medio mensile era leggermente superiore a 12mila grivne, ovvero circa 380 euro. Un dato inferiore alla media nazionale di 430 euro e, soprattutto, lontano dagli standard europei.

«Per molto tempo, Transcarpazia, Ungheria, o Slovacchia non erano realtà diverse le une dalle altre. Ma dal 2014, gli abitanti si sono resi conto che i paesi vicini si stanno sviluppando molto più velocemente», nota Dmitro Toujanski, uno scienziato politico specializzato nella regione.

Ma al di là dell'Ungheria, è soprattutto l'accesso all'Unione europea nel suo insieme l’oggetto dei desideri dei titolari di passaporto ungherese. «La Germania e la Repubblica Ceca sono tra le destinazioni più popolari», spiega Toujanski. 

Le difficoltà economiche rafforzano la sensazione di isolamento della regione. E, paradossalmente, aiutano a mantenere l'identità e le tradizioni magiare. «Basta guardare cosa sta accadendo in Slovacchia, dove i salari elevati e lo sviluppo economico hanno accelerato l'assimilazione della minoranza ungherese», sottolinea Norbert. Poi ricorda: «Negli anni duemila, abbiamo visto la stessa cosa qui, con le famiglie ungheresi che non hanno esitato a mandare i loro figli nelle scuole ucraine.

Ma dalla crisi del 2008, le cose sono cambiate». Da qui l'esodo. In che senso? «Andarsene è normale, qui non c'è lavoro. Alcuni se ne vanno per sempre, è vero. Ma la maggior parte invia rimesse alle proprie famiglie prima di tornare a stabilirsi qui». Intanto, il dottorando rimane fiducioso sul futuro della regione.

Lui stesso ha fatto una scelta: mentre diventare un fisico ricercatore non è fuori questione, il piano A è «giocare un ruolo nella comunità» come imprenditore impegnato. «La gente è attaccata alla propria terra. Quello che vogliono è poter rimanere e vivere normalmente».

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