Se ne riparla a ottobre. I governi europei rinviano per l’ennesima volta non solo il tetto ai prezzi del gas ma in generale ogni azione incisiva che risponda alla crisi in corso. Rimandano le decisioni e persino le discussioni. Una lentezza che diventa miopia se raffrontata alla gravità della situazione. L’inflazione nell’eurozona ha sorpassato l’8 per cento e i tagli di forniture di gas da parte della Russia sono tali che Berlino li ritiene un attacco all’economia. I prezzi del gas sono così alti che la Russia, pur riducendo i flussi, non vede compromessi i propri introiti. È per noi europei che l’inverno si preannuncia difficile, il che ancora una volta rafforza Vladimir Putin. Eppure l’indicazione più concreta che esce dal Consiglio europeo fa appello alla buona volontà individuale. «Se solo alzassimo di due gradi l’aria condizionata, avremmo rimpiazzato Nord Stream 1», dice la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. «Dovreste ridurre i consumi di gas a casa vostra», suggeriva già a marzo l’alto rappresentante Ue Josep Borrell. Da mesi e mesi, ancora prima che la Russia aggredisse l’Ucraina, il tema dei prezzi esorbitanti dell’energia è sul tavolo dei leader. Ma per l’ennesima volta, si rinvia.

Il bluff del tetto ai prezzi

Il tetto ai prezzi del gas, che l’Italia rivendica come una propria proposta, non ci sarà adesso, e non è affatto detto che ci sia in futuro. Di certo c’è solo che una discussione ulteriore sul tema slitta a ottobre. Per il governo italiano il fallimento è multiplo. Il piano di Roma, che si declinerebbe con il divieto di commerciare gas tra operatori in tutti i paesi europei a un prezzo superiore agli 80 euro per megawatt ora, viene ventilato da palazzo Chigi ormai da mesi. Prima del Consiglio europeo di fine maggio, alcune testate si sono affrettate a dare il tetto ai prezzi per fatto. Non era affatto così, anzi: al di là dei proclami e delle promesse, l’Ue è rimasta nel limbo delle ipotesi. Da quel vertice è uscito solo un vago mandato alla Commissione perché elaborasse una proposta. «Si invita la Commissione a esplorare strade tra le quali l’introduzione di un tetto ai prezzi dell’import, laddove appropriato». Si arriva così a questo vertice, dove in realtà il tema del tetto ai prezzi non è neppure nel menu. Mentre Draghi annuncia al parlamento italiano che il summit prevede, in agenda, «gli aiuti a famiglie e imprese colpite dalla crisi», oltre che le «ricadute energetiche», in realtà serve un ingombrante lavoro diplomatico anche solo per assicurarsi che i leader ne discutano. Prima che il Consiglio inizi, Draghi si rifugia negli uffici della delegazione italiana con Emmanuel Macron, e fa il punto della situazione. La speranza è che il tetto ai prezzi finisca in discussione già a cena, e le resistenze da piegare sono anzitutto quelle della Germania; anche se l’Olanda fa il poliziotto cattivo e Mark Rutte dichiara pubblicamente che «stando agli elementi che ho ora, il tetto non potrebbe funzionare». Visto che «il consenso non è maturo», come lo stesso governo italiano è costretto a riconoscere, a quel punto si passa al piano B. Mentre si ricostituisce il fronte meridionale – a marzo Italia, Grecia, Spagna e Portogallo hanno fatto squadra sul tema dei prezzi dell’energia – Draghi, con la copertura politica di Macron, rilancia così: proponendo un summit straordinario dell’energia a luglio. Ma neppure il piano B va a segno. Venerdì mattina, mentre i capi di stato e di governo sono di nuovo in riunione, stavolta per discutere il capitolo economico, arrivano i primi segnali che non c’è il consenso neppure su una convocazione di un vertice estivo sull’energia. La dichiarazione finale di sconfitta arriva da Draghi stesso, anche se mascherata: «Non sono deluso», dice.

La trappola dei ritardi

«All’inizio del Consiglio ho chiesto un vertice straordinario a luglio. Mi è stato fatto notare che non abbiamo ancora uno studio su cui discutere; perciò alla fine quello che facciamo nelle conclusioni è invitare la Commissione a presentare uno studio completo per settembre, da discutere nel Consiglio di ottobre», è la versione di Draghi. Se si mettono in fila le conclusioni di questo vertice europeo con quelli precedenti, appare anche qualcosa in più. Il testo conclusivo di questo Consiglio risulta come la dichiarazione, se non di un fallimento, quantomeno di un eterno rinvio. Nel capitolo dedicato ai temi economici, i leader stabiliscono infatti che «richiamandoci alla dichiarazione di Versailles, alle conclusioni del Consiglio europeo di ottobre, di marzo e di maggio, reiteriamo il nostro invito alla Commissione Ue perché esplori coi nostri partner internazionali modi per frenare l’aumento dei prezzi dell’energia, compresa la fattibilità dell’introduzione temporanea di tetti ai prezzi all’importazione laddove appropriato». Una rete di rinvii. Come mai i governi di mese in mese invitano la Commissione a fare studi e proposte?

Freni e rischi

È davvero Bruxelles a non fare i compiti? Interrogata sul punto, la portavoce della Commissione europea risponde che «ci stiamo lavorando, anche consultandoci coi nostri partner internazionali, del G7 in particolare». La segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen ha fatto sapere a inizio settimana di stare dialogando con gli alleati per un tetto al prezzo sul petrolio russo; e Draghi dice che porterà il tema del tetto ai prezzi del gas anche in sede di G7. Il premier sostiene che la posizione della Germania «si sta progressivamente spostando nella mia direzione». Ma la lentezza non è senza conseguenze: «È necessario agire subito. I prezzi dell’energia salivano già prima della guerra, da mesi propongo di arginarli, e ora gli aumenti si sono diffusi anche sugli altri beni. Ottobre potrebbe essere tardi». Perché quindi l’Europa tergiversa? «Il principale freno al price cap è la paura che la Russia tagli ancor di più le forniture, ma se continuiamo così Putin guadagna le stesse cifre e noi abbiamo difficoltà immense. L’Italia ha già ridotto la sua dipendenza dal gas russo dal 40 al 25 per cento».

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