Persino il sodale Matteo Salvini ha abbandonato Marine Le Pen al vertice di Varsavia, e la tavolata apparecchiata dagli ultraconservatori polacchi con la stessa magnificenza di quella di un G20 non ha sancito che l’ennesimo flop per il progetto di un nuovo gruppo sovranista europeo.

Nelle stesse ore, a Parigi, la destra dei Républicains ha fatto uscire dalle primarie interne la sua prima candidata donna all’Eliseo, Valérie Pécresse. Le Pen in patria è assediata, e non solo da Pécresse, ma soprattutto da Éric Zemmour: ormai ufficialmente in lizza, lui punta tutto sulla nostalgia. Per i tempi che furono, e per il Front National prima che Marine lo dediabolizzasse.

L’unica consolazione che resta alla leader è proprio questa: scrollarsi un po’ di dosso il suo retaggio filo-Mosca, con Varsavia che su questo la difende e la accoglie. Ma la ragione di questo valzer di abbracci e convenevoli sovranisti è proprio la reciproca debolezza, della Polonia in Ue e di Le Pen anche a Parigi. Le debolezze, messe insieme, però non fanno una unione, né un nuovo gruppo europeo in fretta e furia.

L’appuntamento perso

«Non dobbiamo perdere l’appuntamento con la storia», aveva detto neanche un mese fa la leader del Rassemblement National, che in Europa siede, assieme alla Lega, nel gruppo sovranista Id. Se l’appuntamento con la storia era quello di oggi a Varsavia, Marine Le Pen lo ha decisamente perso. La quindicina di partiti che a luglio siglarono una carta dei valori comune si sono presentati al raduno organizzato dal leader del Pis, Jaroslaw Kaczynski, a ranghi ridotti: una decina.

Non hanno impresso alcuna accelerazione immediata, a un progetto di nuovo gruppo, tanto meno entro le elezioni di metà mandato di gennaio all’Europarlamento. Hanno stilato una dichiarazione vaga, in cui si parla di «cooperazione più stretta», voti più allineati, incontri più frequenti.

Hanno inneggiato a una Europa «delle nazioni», senza considerare che proprio questa è da sempre la trappola nel progetto di fusione: ognuno tutela i propri obiettivi politici. E proprio Marine Le Pen è caduta su questa trappola, solleticando delicati equilibri anche in Italia. Così Giorgia Meloni, presidente del partito conservatore europeo, che sul nuovo gruppo frena, proprio dopo quella frase di Le Pen ha disdetto la sua partecipazione a Varsavia.

Quando ha capito che in Polonia non si sarebbe concluso nulla, pure Matteo Salvini ha fatto dietrofront.

Così Le Pen si è ritrovata sola. O quasi: c’erano Santiago Abascal della destra spagnola di Vox, Viktor Orbán che Marine si tiene stretto sapendo che ha rapporti intensi anche col competitor Zemmour, e qualche altro. Vien da chiedersi perché i polacchi di Pis, che hanno confermato la loro presenza nell’attuale gruppo, i conservatori di Meloni, abbiano comunque tenuto il vertice nonostante le defezioni. La ridda di dichiarazioni dei partecipanti al vertice su temi come la sovranità delle nazioni in Ue e l’immigrazione è una chiave importante.

L’Ue, Mosca e l’isolamento

Il tentativo di Kaczynski e del suo delfino, il premier Morawiecki, è quello di uscire dall’isolamento attuale di Varsavia in Ue. A tal fine, entrambi sono disposti a perdonare a Marine Le Pen quei legami con la Russia che in una Polonia reduce dal regime sovietico, aggrappata agli Usa e alla Nato, fino a poco fa erano inconcepibili. Proprio per il nodo Russia, come era già successo ad aprile quando Morawiecki ha incontrato Salvini a Budapest, così oggi per Le Pen, sia l’opposizione sia i giornalisti indipendenti hanno chiesto conto al Pis sulla intensificazione dei legami con la leader: non hanno dimenticato che lei si è opposta alle sanzioni contro Mosca, né che da Mosca ha ottenuto finanziamenti. Ma da quando le tensioni con l’Ue sullo stato di diritto si sono intensificate, sia Jaroslaw Kaczynski, che accusa Mosca della morte di suo fratello Lech, che il premier, sono disposti a stringer mani a Le Pen. Morawiecki la ha incontrata a tu per tu anche all’ultimo Consiglio europeo. Di fronte alle accuse, Pis risponde che è la Germania che ha approvato Nord Stream 2, e che i veri russofili d’Europa sono altrove.

Il prezzo della moderazione

Se persino Varsavia è disposta a perdonare a Marine quei legami con la Russia, è anche perché la leader del Rassemblement National porta avanti da tempo una strategia di normalizzazione, o come dicono i francesi, di dédiabolisation. Ma proprio questa strategia, per paradosso, costringe Le Pen all’accerchiamento. Ad aprile la Francia vota, e sulla strada verso l’Eliseo Marine se la deve vedere con due avversari, entrambi a destra: la destra considerata moderata, e che però la rincorre su temi come sicurezza e immigrazione. E inoltre qualcuno più a destra di lei, che vuol capitalizzare proprio la delusione e lo smarrimento di chi non si riconosce più in Le Pen “normalizzata”.

Pécresse e Zemmour

Per i Républicains, a sfidare Le Pen sarà Valérie Pécresse, uscita oggi vincitrice delle primarie e intenzionata a mettere insieme destra e centro. Presidente della regione Île-de-France, già ministra dell’Istruzione, è la destra che qualcuno ancora chiama gollista ma che «da un bel po’ ha dimenticato de Gaulle», come nota Lynda Dematteo, antropologa e politologa dell’Ehess. «Rispetto al gollismo che prevedeva l’intervento dello stato in economia, questa destra odierna è assai più neoliberista». Competitor ancor più diretto di Le Pen è il prestigiatore dell’odio razziale Zemmour. Ha come madrina Marion Maréchal, e rastrella consensi tra gli ex frontisti delusi per la “dediabolizzazione” di Marine. Il 30 novembre, quando ha ufficializzato la sua candidatura, Zemmour ha puntato tutto su toni cupi e nostalgia. «Saremo rimpiazzati dai migranti, questa non è più la Francia che fu, le vostre figlie saranno stuprate, i figli sottomessi»: la rappresentazione plastica di un sentimento di esclusione e di rimpianto del passato. Nostalgia significa anche chiamare a sé i delusi da Marine. Che ora, sotto assedio, forse a sua volta qualche rimpianto lo ha.

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