Il presidente Usa, prima ancora di arrivare all’Aia, pubblica su Truth un messaggio del segretario Nato che va dalle lodi al vassallaggio politico: «Firmeremo il 5 per cento per la difesa e sarà una tua vittoria. Europe is going to pay in a BIG way»
Gli altri avevano composto il puzzle metodicamente, per mesi: Ursula von der Leyen con il suo ReArm e Readiness 2030 ricalcava esattamente le cifre e i tempi che questo vertice Nato all’Aia fissa, prevedendo che gli stati arrivassero a un 3,5 per cento del Pil di spesa militare secca (componendo con sicurezza e infrastrutture l’obiettivo del 5). Il cancelliere tedesco aveva appena dichiarato al Bundestag che «non lo facciamo per gli Usa», e assieme al presidente francese aveva avanzato la sua posizione poco prima che il summit dell’alleanza aprisse i battenti: «L’Europa deve riarmarsi perché il mondo è instabile», avevano scritto i due sul Financial Times.
Da mesi, anni, era stata preparata la cornice di emergenza, quella per cui la presidente di Commissione Ue ha convocato un para-collegio di guerra per questo mercoledì. Il quadro era composto, la Russia indicata come minaccia, la Cina come la prossima, l’industria carica, l’allerta pure. Puzzle praticamente pronto: target del 5 per cento – e se la Spagna ritarda, fatto suo, perché nella dichiarazione resta quella soglia – e trattative con le capitali pre-svolte dal segretario generale Mark Rutte.
Poi verso l’Aia si è diretto Trump e in un battibaleno quelle tessere di puzzle finemente composte sono saltate svelando il duro pavimento: il presidente non voleva solo partecipare ai vertici, voleva pure il potere di farli fallire, si direbbe. Trump non si è accontentato di mettere in discussione, prima ancora di arrivare all’Aia, l’articolo 5 della Nato sulla mutua difesa («Ci sono varie interpretazioni»). Pur di gonfiare il proprio ego agli occhi degli elettori, ha esibito lo scalpo degli europei: alle nostre tre e mezza del pomeriggio Trump-Truth ha pubblicato uno screenshot firmato Mark Rutte.
E nel messaggio si legge: «Mister President, caro Donald, congratulazioni e grazie per la tua decisiva azione in Iran, che è stata davvero straordinaria, e qualcosa che nessun altro avrebbe osato compiere. Ci rende tutti più sicuri. Stai per ottenere un altro grande successo all’Aia stasera. Non è stato facile ma ce li abbiamo tutti, firmeranno il 5 per cento!». E ancora: «Donald, ci hai guidati verso un momento davvero, davvero importante per l’America, l’Europa, il mondo. Tu otterrai qualcosa che NESSUN presidente americano aveva potuto ottenere in decenni. L’Europa pagherà ALLA GRANDE, proprio come loro dovrebbero, e questa sarà una tua vittoria. Fai buon viaggio e ci vediamo alla cena di Sua Maestà! Mark Rutte».
«Pagheranno, e tanto»
Mark Rutte era il premier olandese e all’opinione pubblica italiana era noto come ”il frugale”, il falco della spesa pubblica, il sopracciglio corrucciato ai tempi dell’indebitamento comune per la pandemia, il “basta spese” e “basta fondi comuni” elevato a slogan, prima di dimettersi in patria per uno scandalo, giusto in tempo per ambire al posto che Jens Stoltenberg stava per lasciare vuoto, e diventare nel giro di poco – proprio come un’altra frugale di un tempo, la premier danese, o come Friedrich Merz, passato dal freno al debito all’acceleratore sulla difesa – proprio lui, ex frugale, il più gran sostenitore della spesa militare.
«Spendere di più in difesa significa spendere meno in altre priorità», aveva detto Rutte in un barlume di franchezza a inizio anno, e aveva speso il resto del tempo a incassare quel 5 per cento voluto dal pezzo grosso dell’alleanza, Washington, sia chiaro, per gli europei, non per sé: venerdì Trump ha ricordato che gli alleati devono raggiungere quella quota ma che gli Usa (orientati al 3,4) si ritengono fuori da quel target. Non solo il contenuto, con la retorica trumpian-adulatoria del «nessuno è come te», ma persino la forma del testo nello screenshot – «Europe is going to pay in a BIG way», con le maiuscole urlate – riflette non un compromesso alla pari ma uno squilibrio che scivola presto dall’adulazione al vassallaggio. E si è visto come Trump ricompensi chi s’inchina a lui: anche svergognandolo.
Ma i leader europei sono distratti ormai da altro: alimentare l’industria della difesa, la corsa al riarmo, come Tusk ha detto tempo fa («dobbiamo vincere la corsa») e Rutte ha ribadito questo martedì. Così dall’Aia von der Leyen rivolge all’industria della difesa ulteriori promesse, mentre la Germania – che ormai utilizza il coordinamento con Francia e Gran Bretagna come formato standard prima di quello a 27 – pensa già a superare Parigi e Londra, aumentando la spesa in difesa di oltre due terzi entro il 2029. «Mentre ci dirigiamo all’Aia, il caos ci attornia: la guerra infiamma, il diritto è sotto scacco, le vecchie certezze pure», scrivono Merz e Macron nel loro editoriale. «La principale fonte di instabilità per l’Europa viene dalla Russia». Proprio sicuri che sia l’unica?
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