Altro round parigino, mentre António Costa avvia le sue interlocuzioni bilaterali. L’Ue va in ordine sparso e l’Eliseo prova a gestire tutti i canali, Trump incluso (con Meloni infuriata)
Questo mercoledì all’Eliseo sono arrivati – in presenza o in videoconferenza – i leader che non erano stati invitati al vertice precedente, lo scorso lunedì. Intanto Donald Trump colpiva – digitando su Truth Social come fosse un ring – il presidente ucraino: «Si sbrighi o non gli resterà neppure un paese», è il ricatto di Trump, mentre al Cremlino non stanno nella pelle. «Non capiamo molto bene la logica americana», hanno fatto sapere da Parigi.
Niente è ordinario né ordinato, in questi negoziati tra trumpiani e putiniani che lasciano gli europei al tavolo dei piccoli. Così pure i ruoli diventano sui generis: visto che non esiste un negoziato formale sull’Ucraina, e dato che non esiste un posto al tavolo per l’Europa ma soltanto un secondo livello di comunicazione con gli Usa, neppure i ruoli a cui ambire hanno alcunché di formalizzato. Se è vero che già giorni fa alcuni stati membri invocavano un inviato speciale dell’Ue sull’Ucraina, si può dire oggi che un inviato già ci sia, ed è un inviato ombra: si autolegittima, attirando di conseguenza insulti dai meloniani. La premier italiana ambiva a fare il ponte con gli Usa e non le resta che storcere il naso nelle foto.
Architettura di insicurezza
L’inviato ombra si chiama Emmanuel Macron: si è messo avanti coi lavori – le relazioni con il presidente Usa – già due mesi e mezzo fa accogliendo Donald Trump all’Eliseo, poi ha tenuto i canali (telefonici) accesi, anche prima del vertice con gli europei di inizio settimana. È sin dall’inizio tra i più attivi (telefonicamente) anche con Putin stesso, con il quale dice di essere pronto a parlare di nuovo «quando arriverà il momento opportuno». Organizza vertici sull’Ucraina – facendo indispettire Giorgia Meloni – già da tempi non sospetti (trumpianamente parlando): era il 2023 e Volodymyr Zelensky varcava le porte dell’Eliseo assieme a Olaf Scholz, premier italiana esclusa.
Adesso che bisogna affrontare la questione della nuova architettura di insicurezza – perché non si può dire che Trump, né tantomeno Putin, stia lavorando per irrobustire la stabilità del continente – Macron prova a fare da regista e da mediatore, mentre i fidatissimi di Meloni gli lanciano sberle verbali: «Che ipocrita, è lui il più grande importatore di gas russo», ha detto martedì Nicola Procaccini, seguito a ruota il giorno dopo da Carlo Fidanza. «Macron pensa al suo ego, ma la spocchia è destinata a fallire, infatti il suo esperimento è fallito», gli fa eco il capodelegazione in Ue di Fratelli d’Italia, mentre anche i suoi alleati (il premier belga e quello ceco, per esempio) interloquivano con l’Eliseo.
I Conservatori europei (gruppo di Meloni) si sono dissociati anche dalla dichiarazione della maggioranza Ursula che invoca una presa di autonomia dagli Usa: il vero problema di Meloni con Macron non è che lui non segua i percorsi istituzionali Ue (neppure Meloni ne è fan, coi suoi prevertici), ma la competizione interna.
Le mosse dell’Ue
Trump riesce a dividere per imperare senza neppure fare troppi sforzi, insomma, mentre il versante ufficiale dell’Ue rifiuta di opporre resistenza: Ursula von der Leyen continua con l’attitudine cooperativa con la Casa Bianca. Il presidente del Consiglio europeo, António Costa, non ha convocato summit fuori calendario ma ha avviato consultazioni bilaterali. Leader per leader, testerà la disponibilità su aiuti militari e garanzie di sicurezza.
Nel frattempo gli ambasciatori degli stati membri in Ue hanno dato un via libera all’ennesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca: l’Europa prova a recitare la parte del poliziotto cattivo, peccato che Trump con Putin faccia quello buono.
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