«Appendete i Verdi» è un messaggio veramente poco ambiguo nel mezzo di una campagna elettorale, specialmente se scritto sui manifesti di un movimento neonazista. Di diverso avviso è il tribunale amministrativo di Chemnitz, Sassonia, che ha autorizzato gli estremisti del movimento III. Weg (Terza Via) a diffondere la propria propaganda elettorale perché i “Verdi” da appendere, secondo la spiegazione dei neonazisti, sarebbero i poster del partito, tinti di un verdicchio un po’ smorto.

Le condanne da parte della politica non hanno invece tardato: il rappresentante del governo federale in Germania Est, Marco Wanderwitz (Cdu), ha dichiarato che «si tratta di un univoco appello alla violenza fino all’omicidio», mentre molti avversari dei Verdi hanno dichiarato la propria solidarietà al partito.

Perché prendere sul serio l’azione balorda di un gruppetto di 600 neonazisti? Questa vicenda è in realtà solo uno dei numerosi episodi di estremismo che hanno segnato la legislatura uscente.

La violenza politica è ormai tornata a essere un fatto incontestabile della vita democratica tedesca. Nel 2020 la polizia federale ha registrato 44.692 delitti politici commessi in un solo anno, un aumento dell’8,5 per cento rispetto al 2019. Di questi, il 57 per cento sono registrati come istigazioni all’odio, mentre il resto includono crimini di “matrice estremista”. Compresi anche atti mirati contro la politica, soprattutto a livello locale.

L’anno della pandemia è stato particolarmente duro per gli eletti a Berlino, dove sono stati attaccati 40 rappresentanze della Spd, 19 dell’Afd e 12 della Cdu. Molti di questi episodi sono riconducibili per lo più a formazioni di sinistra, ma la stragrande maggioranza dei crimini estremisti a livello federale sono associati alla destra radicale. Soprattutto, le aggressioni di destra si distinguono per un livello di violenza ben maggiore: sempre per il 2020 si parla di 842 lesioni, agguati e ferimenti.

Tre anni di sangue

Ma la violenza va ben oltre alle semplici aggressioni. Negli ultimi due anni la Germania è stata teatro di due attentati terroristici di estrema destra, a Halle e Hanau, che tutt’ora mettono a dura prova la società multiculturale tedesca. Il primo, rivolto contro una sinagoga, ha ricordato che l’antisemitismo militante è lungi da essere un brutto ricordo.

L’attentato di Hanau, in due shisha bar, ha invece sottolineato il pericolo in cui ancora vivono persone di origini turca, araba e della regione mediorientale dieci anni dopo la scoperta del Nsu, un gruppo terroristico di destra responsabile di numerosi omicidi razzisti. È stato il nadir dei rapporti fra stato e vittime: per anni la procura ha preferito cercare il movente in ipotetici regolamenti di conti fra clan criminali turchi, mentre i servizi di controspionaggio federali (il Verfassungschutz), incaricati di vigilare sull’estremismo domestico, avrebbero ignorato gli indizi a disposizione nonostante la presenza di un proprio informatore all’interno della cellula terroristica.

L’assenza dai dibattiti

Di fronte a questa proliferazione di violenza c’è un sistema partitico poco incline a portare la violenza politica al centro del dibattito elettorale. Può forse sembrare paradossale considerando che l’estremismo ha anche mietuto vittime fra le fila dei partiti: nel 2015 la borgomastro di Colonia, Henriette Reker, è stata pugnalata da un terrorista di destra, mentre nel 2019 un neonazista ha ucciso Walter Lübcke, politico di punta della Cdu in Hessen. Ciò non ha però impedito ai candidati di trascurare la lotta all’estremismo nei momenti chiave della campagna, complice anche la mancanza di interesse da parte dei media, con pochi minuti dedicati al tema solo nell’ultimo dibattito televisivo.

La Spd di Olaf Scholz propone l’istituzione di una procura speciale contro l’estremismo di destra e l’antisemitismo, da accompagnare a una legge per il rafforzamento della democrazia (quindi fondi e supporto logistico a iniziative di deradicalizazzione e formazione sui valori costituzionali). I Verdi sembrano invece più favorevoli a una serie di riforme istituzionali volte a ricostituire il Verfassungschutz da zero e far piazza pulita dei numerosi elementi di estrema destra scoperti nei corpi di polizia locali.

Allarmi selettivi

Caso a parte la Cdu, che invece individua nel radicalismo islamico e nei clan arabi la principale minaccia per l’ordine politico tedesco. Questa minaccia esiste senza dubbio – solo settimana scorsa è stato sventato un attacco a una sinagoga da parte di un giovane radicalizzato – ma l’allarme per l’ondata di violenza è decisamente selettiva. Da partito “law and order“, i cristianodemocratici non si esprimono infatti né sulla violenza della polizia, né sulle numerose infiltrazioni portate alla luce dai giornali e da inchieste interne.

In Nord Reno-Westfalia, la regione governata da Armin Laschet, sono stati messi sotto inchiesta addirittura 200 membri delle forze dell’ordine, sospettati di far parte o simpatizzare con una cellula autobattezzatasi Nsu 2.0, tanto per fugare dubbi sugli ispiratori. E nelle liste Cdu è candidato nientemeno che Hans-Georg Maassen, l’ex capo dei servizi interni licenziato per aver negato l’allarmante crescita dell’estremismo di destra.

È difficile comprendere perché intimidazioni e violenza politica non siano considerate rilevanti nella corsa alla cancelleria. Fatima Remli, membro della commissione per gli affari sociali di Colonia e redattrice del magazine Renk, vede le cause soprattutto nella mancanza di voci “post-migranti” all’interno delle istituzioni e dei partiti.

«Dopo Hanau le vittime hanno dovuto organizzarsi da sé perché mancava totalmente la fiducia nello stato. Quando si prova ad attivarsi nei partiti si è spesso confrontati con vecchi uomini bianchi che alzano gli occhi al cielo quando gli si parla di violenza della polizia, o al massimo si viene sfruttati per guadagnare punti politicamente».

La violenza contro i marginalizzati

L’apatia nei confronti della politica sembra in effetti provocare un circolo vizioso. I 7,4 milioni di tedeschi con origini straniere sarebbero un ambìto bacino di voti, ma se confrontati con il resto della popolazione hanno un tasso di partecipazione elettorale 20 per cento inferiore. La piattaforma Mediendienst Integration fa notare che i temi legati a immigrazione e integrazione sono soprattutto organizzati sotto la macroarea “rifugiati e asilo”, ignorando quindi molti di quei problemi che devono affrontare elettori ed elettrici provenienti dalle cosiddette minoranze. Non sorprende forse se si confrontano quanto sono sottorappresentate queste esperienze al Bundestag: solo l’8,2 per cento dei deputati ha origini straniere, contro il 26 per cento della popolazione totale. Secondo il Tagesspiegel, sui candidati a questa elezione solo il 4,8 per cento (circa 299 su 6211) sono nati all’estero, contro il 6,3 per cento di cittadini nati all’estero riportati dall’istituto nazionale di statistica.

Un numero comunque relativo, come fa notare Remli: «Ci sono molte persone di colore fantastiche in politica, ma c’è un’enorme pressione per adattarsi alle strutture e non fare troppe storie». La Initiative Schwarze Menschen, un’organizzazione che rappresenta gli interessi delle persone di colore, è ancora più dura nel proprio giudizio. «Nessun partito ha piani concreti per migliorare le vite di tutti i neri in Germania. Le persone nere non hanno nessun debito elettorale a nessun partito».

Il risultato è una campagna elettorale a dir poco stralunata. Mentre fuori dai locali elettorali vengono aggrediti ebrei rei di portare la kippah in pubblico e mentre partiti neonazisti diffondo il loro messaggio d’odio, nessuno sembra interessato a farne un’occasione di mobilitazione politica. Anche il 12 per cento di Alternative für Deutschland, che dal prossimo anno potrà amplificare messaggi xenofobi con una fondazione finanziata dallo stato, sembra ormai non allarmare più nessuno al di là delle solite critiche di rito. E i 213 uccisi per motivi razzisti dal 1990 (secondo i dati della Fondazione Amadeu), compreso il cristianodemocratico Lübcke, rimangono solo uno spiacevole ricordo.

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