Forgione: «L’Antimafia ha perso credibilità e indipendenza»

Il caso Scarpinato, la vicinanza a Palazzo Chigi e un’indipendenza sempre più in discussione. La commissione Antimafia sembra ormai «ridotta a terreno di scontro politico e sta perdendo il suo spirito originale». Una situazione che, secondo l’ex presidente Francesco Forgione (riconosciuto pure dagli avversari come il primo ad aver realizzato una relazione sulla ‘ndrangheta unica nel suo genere), «mette in discussione l’efficacia e la credibilità di una commissione sempre più guidata da interessi politici o partitici». Resistenza antimafia, un dizionario scritto da studenti di generazioni diverse per reagire all’indifferenza Che idea si è fatto della commissione attuale? Sempre più utilizzata come campo di battaglia della politica. Questo non fa bene né alla lotta alla mafia né a quel ruolo di supporto alle altre istituzioni che dovrebbe svolgere. Avrebbe le competenze e gli strumenti per fotografare e anticipare i fenomeni criminali, ma serve la volontà di farlo. Invece vedo un palese tentativo di riscrivere la storia delle mafie e dell’antimafia per l’utilità di qualcuno. A cosa si riferisce? Ad esempio, separare la stagione delle stragi del 1992 da quelle del ‘93 e da tutto quello che era il contesto fa parte, per quanto mi riguarda, di un disegno politico preciso. Mi sembra non si cerchi la reale verità sulle stragi, né su tutte quelle compartecipazioni esterne alla mafia senza le quali quelle stragi, e non solo Via D’Amelio, non si sarebbero verificate. Mi pare che la commissione stia diventando sempre più una palestra per l’esercizio di chi vuole riscrivere la storia. Chiudendo persino con una parte dei protagonisti che all’interno della magistratura hanno segnato l’azione di contrasto più forte nei confronti della mafia stragista. Si riferisce alla possibile esclusione di Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho? Penso che questa legge contra personam sia assolutamente inaccettabile dal punto di vista istituzionale e costituzionale. Per Scarpinato parliamo di un magistrato che, per quanto si possa discutere su alcune posizioni pubbliche, ha dato prova di un rigore di analisi straordinario ed è stato sempre punto di riferimento per chi si occupi di questi temi. Io vedo dei profili di incostituzionalità perché il ruolo del parlamentare, una volta eletto, non può avere limiti. Se si arrivasse alla sua esclusione saremmo di fronte a una violazione, sia delle garanzie parlamentari sia di quelle costituzionali. Del resto in Antimafia siedono anche parlamentari avvocati che difendono, legittimamente, anche i mafiosi. In quei casi non c’è incompatibilità? Credo che si tratti di un preciso disegno politico, lo stesso già espresso in quelle indicazioni sui consulenti che venivano date dall’esterno, come per il generale Mori, alla presidenza della commissione per indirizzarne il lavoro di indagine. Caso Mori, così la destra sfregia l’Antimafia. Colosimo si è piegata al generale indagato Una degenerazione? Il rischio è forte. Dobbiamo riprendere e ribadire la sua indipendenza al di là dell’appartenenza politica del presidente di turno. Questo non vuol dire che non devono esserci posizioni diverse, anzi. Le relazioni di minoranza, penso a quella realizzata da Pio La Torre (comunista e ucciso dalla mafia nel 1982, ndr), hanno fatto la storia di questa istituzione, anche se oggi fatico a vedere quella spinta a farlo. Cosa intende? Oggi una relazione di minoranza servirebbe a dare un nuovo senso a questa commissione. Ma serve che ci sia lo spirito e la voglia dell’opposizione di muoversi in quel senso. Rischia di perdere credibilità? C’è il tentativo di criminalizzare ogni forma di dissenso, di ostacolare ogni opinione che disturbi il manovratore. Quando questo clima arriva, se l’antimafia non ha un obiettivo strategico in un momento storico di grande cambiamento per le mafie, allora è inevitabile mettere in discussione la credibilità della sua esistenza e del suo operato. Povera Palermo con le sue vergogne e la sua antimafia fuori orario