Il documento che gli assessori regionali alla Salute hanno firmato nei giorni scorsi e il cospicuo investimento che il Pnrr prevede per la medicina territoriale hanno aperto un dibattito che si annuncia caldo sul ruolo e sullo status dei medici di medicina generale (Mmg).

La prima cosa che dovremmo evitare è  perderci nel confronto ideologico e sindacale su quanto sia meglio (o peggio) avere medici di famiglia che dipendano direttamente dal sistema sanitario regionale o che mantengano invece il loro attuale ruolo di libero-professionisti convenzionati. 

Peggio di questo sarebbe solo prendere decisioni a macchia di leopardo, realizzando sistemi diversi tra regione e regione che non sarebbero comprensibili dai cittadini e che rischierebbero di aumentare  le differenze nei livelli di cura e assistenza che già caratterizzano il nostro paese.

Quello che bisognerebbe fare invece  è  porsi alcune domande fondamentali, definire nel dettaglio i cambiamenti desiderati,  identificare gli indicatori di efficacia delle innovazioni previste e solo a questo punto affrontare il nodo  della tipologia di contratto  che potrebbe offrire le risposte migliori.  Provo a mettere in fila quelli che mi sembrano essere i problemi principali.

Il medico della cronicità

Negli ultimi 40 anni il Mmg è stato essenzialmente il medico della cronicità minore e delle malattie acute che non necessitavano di esami strumentali. 

La cronicità maggiore è oramai da tempo appannaggio degli ambulatori ospedalieri (di cardiologia, neurologia, reumatologia, oncologia, nefrologia, ecc.), mentre  i malati acuti che necessitano di una radiografia, di un’ecografia, di un elettrocardiogramma o di altri esami urgenti fanno riferimento ai pronto soccorso. 

La domanda è se i Mmg dovrebbero fare di più e la risposta sembrerebbe essere positiva, se si considerano  le indicazioni sulla Sanità contenute nel Pnrr e i miliardi destinati  ad attrezzare la medicina territoriale con elettrocardiografi, ecografi, spirometri. 

Naturalmente bisognerà far sì che questi strumenti vengano impiegati utilmente, per la valutazione di malati acuti o cronici riacutizzati, e non si trasformino invece in  inutili  e costose integrazioni delle visite di routine.

 Perché la prima delle due scelte risulti quella vincente, non è possibile che il luogo della medicina generale continui ad essere l’ambulatorio di un singolo medico, isolato e autoreferenziale.

È inevitabile  dunque che si costruiscano luoghi dove diversi Mmg  possano collaborare tra di loro e con altri professionisti della salute, facendo tesoro delle competenze specifiche di ogni membro del gruppo, stabilendo insieme obiettivi e percorsi di aggiornamento professionale e valutando i propri risultati in una logica di miglioramento continuo.

Sembra che sia  questo quanto si intende realizzare con le Case e gli Ospedali di comunità, previsti dal Pnrr e per ora realizzati solo da poche regioni in modalità poco più che  sperimentali.  Per rendere queste strutture la vera spina dorsale della medicina territoriale bisognerà mettere mano a molti cambiamenti.

Sarà per esempio necessario prevedere una copertura del servizio di 12-24 ore al giorno tutti i giorni della settimana, mentre attualmente un Mmg ha un obbligo di presenza in ambulatorio di solo 15 ore settimanali. Probabilmente sarà anche necessario prevedere una sorta di gerarchia interna e un meccanismo di controllo dei risultati ottenuti. Ci vorranno anni per vedere i risultati, e molto tempo se ne andrà in  una faticosa contrattazione con i sindacati della medicina generale.

L’assistenza domiciliare

Esiste poi il tema dell’assistenza  domiciliare che è quasi scomparsa dall’agenda dei Mmg e che dovrebbe invece  tornare nelle loro mani all’interno di un progetto di gestione sul territorio della cronicità avanzata e della terminalità. 

Questa assistenza, che  esiste già  sotto il nome di Assistenza domiciliare Integrata, viene oggi erogata prevalentemente da cooperative di infermieri che il Mmg spesso si limita ad attivare e poi perde di vista. Se si vuole invece che  il trattamento dei pazienti a domicilio torni  ad essere  una  frontiera della medicina è necessario reinventarla dalle radici.

Ci sono spazi nuovi ed entusiasmanti che possono aiutare in questo percorso, come quello della telemedicina  e degli ospedali di comunità. La sfida è quella di definire responsabilità, concordare  orari e turni di lavoro, integrare  istituzioni e professionisti.  Di sicuro la medicina generale non può rinunciare ad essere un punto di riferimento di questo progetto.

Il percorso formativo

Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse 01 marzo 2021 Roma, Italia Cronaca Iniziano oggi nel Lazio le vaccinazioni anti Covid-19 effettuate dai medici di base, tra i primi l’ UCP presso l’ambulatorio di medicina generale di piazza Istria. Nella foto: la somministrazione dei vaccini nello studio del dottor Massimo Mei Photo Cecilia Fabiano/LaPresse March 01, 2021 Rome, Italy News Covid, Lazio region starts vaccinations from general medical doctors Vaccination in the doctor Massimo Mei’s office

  Un altro punto, fondamentale per l’inserimento dei Mmg in un progetto di trasformazione della medicina territoriale, ha una prospettiva di anni, ma non può essere eluso. Parlo della trasformazione della cultura della medicina generale e del percorso formativo dei Mmg. 

L’apertura dei corsi triennali di formazione obbligatoria per i Mmg, che data ai primi anni di questo millennio, è stata un importante passo in avanti rispetto ai decenni precedenti quando qualsiasi laureato in medicina poteva ambire ad un posto di medico di famiglia (prima ancora “medico della mutua”).

La formazione dei Mmg resta però particolare da molti punti di vista, il principale dei quali è che si tratta dell’unica specializzazione medica che non ricade sotto il controllo dell’Università. Il diploma in medicina generale si ottiene infatti alla fine di un corso regionale il cui controllo è, di fatto, nelle mani delle società scientifiche della stessa professione.

In questo modo la preparazione dei giovani medici di Mmg viene sottratta all’alveo istituzionale della ricerca e della formazione superiore, l’università per l’appunto, chiudendosi in un ambito culturale che tende a riprodurre sé stesso e non facilita aperture e confronti.

Una conseguenza collaterale (minore ma non irrilevante) di questo stato di cose è la assoluta impermeabilità tra  medicina territoriale e medicina ospedaliera. Avviene per esempio che un medico specializzato in medicina interna, con dieci anni di lavoro ospedaliero alle spalle, debba frequentare tutti e tre gli anni del corso regionale prima di poter partecipare ai concorsi per un posto di Mmg. Per le  specializzazioni universitarie sono invece previste affinità ed equipollenze che consentono un passaggio relativamente semplice tra  discipline simili tra loro.   

Il medico di fiducia

Esiste infine il tanto dibattuto problema del medico di fiducia. E’ infatti indubbio che, accanto ad un ruolo clinico spesso non eccessivamente impegnativo, il Mmg eserciti anche un importantissimo ruolo di consigliere per i suoi pazienti e di mediatore tra le indicazioni della medicina specialistica e ospedaliera e i bisogni e i valori del singolo.  

Questo punto deve essere attentamente considerato per almeno due aspetti. Il primo è che si tratti di una  mediazione  di qualità che  preveda anche canali di interazione e di confronto diretto con la medicina specialistica, cosa  ad oggi quasi inesistente.

Il secondo è che si faccia tutto il necessario perché questo rapporto  fiduciario venga rispettato e se  possibile accresciuto anche nel caso di uno status professionale del Mmg diverso dall’attuale, come potrebbe essere un rapporto di dipendenza o di semi-dipendenza. Un aspetto che sembra per altro già recepito dal documento, per ora molto generale, che è stato firmato dagli assessori alla salute.

A questo punto, e solo a questo punto,  sarà utile verificare se un rapporto di dipendenza sia in grado di dare maggiori garanzie di realizzare questo programma rispetto all’attuale rapporto convenzionale.

Nessuno dei punti che ho brevemente elencato potrà trovare risposte soddisfacenti se a governo e regioni non verranno forniti gli strumenti necessari per intervenire con incisività nel proprio rapporto con i Mmg  italiani  quando si tratterà di passare dalle parole ai fatti per rifondare un settore della cura e dell’assistenza che da troppi anni attende un cambiamento.

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