Per lo stato l'acquisto da parte della Cassa depositi e prestiti (Cdp) di Autostrade per l'Italia (Aspi) della famiglia Benetton non è un bell'affare perché ci rimette un miliardo e mezzo di tasse.

Il percorso imboccato per estromettere i Benetton dalla gestione autostradale conduce a questo sbocco che è addirittura peggiore di quello pessimo che si sarebbe ottenuto nel caso in cui la concessione di Aspi fosse stata revocata d'imperio dopo il crollo del ponte di Genova. E fosse stato applicato nella versione più vantaggiosa per i Benetton il famigerato articolo 9 bis, la clausola a favore del concessionario introdotta il 12 ottobre 2007 nella convenzione unica tra il concedente stato (in quel tempo rappresentato dall'Anas) e il concessionario Aspi.

Quel codicillo dispone che «in ogni caso di recesso, revoca, risoluzione o comunque cessazione anticipata del rapporto di concessione, il concessionario ha sempre diritto al riconoscimento di un indennizzo o risarcimento pari al valore attuale netto dei ricavi della gestione».

In base a suoi calcoli e in forza di questa disposizione la stessa Aspi pretendeva dallo stato la bellezza di 22 miliardi di euro. Cifra assai discutibile, per la verità, sparata dai soci Aspi dopo la tragedia di Genova quando una parte del governo di allora, in particolare il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, Cinque stelle, decise di imboccare a testa bassa il percorso ritenuto più giusto della revoca senza domandarsi, però, dove esso avrebbe potuto portare.

Dopo Toninelli il ministero dei Trasporti non si è mai preoccupato di verificare con un'analisi rigorosa se l'importo preteso dai Benetton avesse un qualche fondamento e quale fosse al contrario la cifra congrua.

Interrogazione Pd

Di recente, proprio nei giorni in cui si stava decidendo sull'affare Cdp-Aspi, dieci senatori Pd con un'interrogazione al ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, hanno chiesto se non fosse il caso di «quantificare con certezza l'indennizzo effettivamente spettante al concessionario Autostrade per l'Italia, valutarne la convenienza e le ricadute a carico della finanza pubblica». Il ministro non ha risposto

. In base ai dati disponibili gli interroganti hanno valutato che i 22 miliardi rivendicati da Aspi sono una cifra spropositata e l'importo congruo sarebbe dovuto essere di circa 17 miliardi di euro.

La strada della revoca unilaterale e del risarcimento non è però quella imboccata dal governo e dalla Cassa depositi e prestiti. Entrambi hanno preferito scegliere il percorso dell'acquisto del 100 per cento delle azioni di Autostrade per l'Italia a un prezzo intorno ai 22 miliardi di euro, quasi uguale all'iperbolica rivendicazione di Aspi, ma con modalità di pagamento che per lo stato italiano sono un autogol.

Con questo sistema, infatti, il fisco alla fine incasserà molto meno di quanto avrebbe incassato con la revoca della concessione pure nella versione estrema della resa incondizionata alle condizioni di Aspi.

Le cifre dello sconto

Cifre alla mano, vediamo perché. L'offerta di acquisto di Cassa depositi e prestiti prevede un esborso così composto: 9,1 miliardi da versare ai soci Aspi, 8,9 miliardi di debiti finanziari da accollarsi, 3,4 miliardi di opere e indennizzi per il crollo del ponte di Genova non recuperabili in tariffa, 21,4 miliardi in totale. Che si sommano ai 12,4 miliardi di investimenti previsti, che però saranno recuperati con l'incremento delle tariffe.

I Benetton tramite la società Sintonia detengono il 30,25 per cento di Atlantia che controlla l'88,06 di Aspi. Quell'88,06 è iscritto in bilancio da Atlantia a 5,3 miliardi, dal che si deduce che il valore intero di Aspi è 6,1 miliardi. Per esso Cdp paga però 9,1 miliardi e Atlantia ne incassa 8 ingenerando una plusvalenza per la stessa Atlantia di 2,7 miliardi. Dal momento che si tratta di una transazione finanziaria, Atlantia paga di tasse il 26 per cento, cioè 700 milioni.

Nel caso in cui fosse stata seguita la strada della revoca con il riconoscimento integrale delle pretese dei soci Aspi il risultato fiscale sarebbe stato molto più vantaggioso per lo stato.

L'indennizzo di 22 miliardi avrebbe comportato una plusvalenza nel bilancio Aspi di 8 miliardi, risultato della differenza tra i 22 miliardi e i 14 del valore del cespite Aspi al 31 dicembre 2019 calcolato dall'Autorità di regolazione dei trasporti (Art) nel parere numero 8 del 2020.

Su questa plusvalenza Aspi avrebbe dovuto pagare imposte con un'aliquota di circa il 28 per cento (Ires del 24 per cento e Irap del 3,9) per un importo di 2,2 miliardi. Quindi a conti fatti pur dovendo pagare circa 22 miliardi di euro sia con la revoca unilaterale della concessione sia con l'acquisto di Aspi da parte di Cassa depositi e prestiti, avendo imboccato questa seconda strada lo stato alla fine incassa di tasse 1 miliardo e mezzo in meno.

I soci Aspi si avvantaggiano di conseguenza dello stesso importo e i Benetton in particolare risparmiano circa 500 milioni di tasse. Dopo aver lasciato cadere il ponte di Genova in cui sono morte 43 persone essi escono di scena accompagnati dall'ennesimo regalo dello stato.

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