Abbandono scolastico: il governo festeggia un successo fittizio

Per la prima volta l’Italia ha abbassato il tasso di abbandono scolastico sotto la soglia psicologica del 10 per cento. Nel 2024, secondo Istat ed Eurostat, i giovani tra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato prematuramente la scuola sono stati il 9,8 per cento. Un dato che avvicina il paese alla media europea (9,3 per cento) e all’obiettivo del 9 per cento fissato da Bruxelles per il 2030. Il governo Meloni ha salutato la cifra come un successo storico. Ma dietro il numero medio si nasconde un mosaico di divari e criticità che rischiano di vanificare i progressi. Il problema della scuola è il solaio: troppi edifici inagibili e a rischio sismico Il quadro territoriale Il quadro territoriale resta spaccato. In Sicilia l’abbandono scolastico raggiunge il 15,2 per cento, in Sardegna il 14,5 per cento, a Bolzano il 14,7 per cento. In Trentino, invece, si resta sotto il 9 per cento, e in Umbria e Lazio il tasso è rispettivamente del 5,6 per cento e del 6,1 per cento. Tra Centro-Nord e Sud la forbice è di oltre quattro punti percentuali: 8,3 per cento contro 12,4 per cento. Questa frattura non si riduce, anzi si cristallizza, segno che gli investimenti non riescono a incidere sui territori più fragili. Il Sud resta terreno in cui le condizioni socioeconomiche, l’offerta educativa ridotta e un mercato del lavoro povero di prospettive alimentano la dispersione. La scuola del futuro? Gli italiani sperano sia pragmatica e innovativa Grado di urbanizzazione Il grado di urbanizzazione aggiunge un ulteriore strato al problema. Le città, teoricamente i luoghi delle opportunità, registrano il tasso più alto: 10,9 per cento, superiore sia alle aree rurali (10 per cento) sia ai comuni intermedi (8,8 per cento). È un’inversione di tendenza rispetto a dieci anni fa, quando i centri urbani erano i più virtuosi. Oggi le metropoli, da Milano a Napoli, mostrano concentrazioni di esclusione educativa che si intrecciano con degrado sociale, marginalità economica e carenza di servizi. Nei quartieri periferici le scuole restano spesso gli unici presidi istituzionali, ma la capacità di trattenere i giovani si indebolisce. Salari in calo e aiuti insufficienti, il caro scuola colpisce le famiglie più povere Competenze inadeguate Ancora più insidiosa è la dispersione implicita: studenti che arrivano al termine del percorso con competenze gravemente inadeguate. I dati Invalsi parlano chiaro. A Prato il 30 per cento degli alunni di terza media non raggiunge i livelli minimi in italiano e matematica. A Palermo e Trapani la percentuale tocca il 25 per cento e in diversi altri capoluoghi supera il 20 per cento. Nel 2025 la dispersione implicita a livello nazionale è salita dal 8,7 per cento al 9,7 per cento, con picchi del 12,5 per cento al Sud e nelle isole . Giovani che formalmente concludono il ciclo scolastico ma restano tagliati fuori da lavoro e formazione, diplomati solo sulla carta. Ma quale declino dell’educazione, a scuola troppa iniquità e ingiustizia Nodi irrisolti Il dato del 9,8 per cento è stato presentato come un punto d’arrivo, ma è piuttosto una tappa fragile. Il governo ha scelto di enfatizzare la statistica, lasciando irrisolti i nodi strutturali. Non esiste un sistema di monitoraggio comunale capillare: senza dati disaggregati è impossibile individuare i quartieri più fragili. Le misure restano concentrate sulla dispersione esplicita, mentre quella implicita non è ancora integrata stabilmente nelle politiche nazionali. E manca del tutto un piano urbano strutturale: le città, che sono il fronte più critico, non hanno strategie mirate capaci di mettere insieme scuola, servizi sociali, enti locali e associazioni. Il Pnrr ha stanziato 1,5 miliardi per il contrasto alla dispersione con l’obiettivo di ridurre l’abbandono al 10,2 per cento entro il 2026. Ma la distribuzione dei fondi non sempre corrisponde alle aree di maggiore bisogno. Save the Children ha avvertito che «molte province con le famiglie più svantaggiate rischiano di restare indietro». Gli interventi si sono tradotti spesso in bandi episodici, progetti a termine o fondi vincolati, senza un disegno organico e intersettoriale. Così il rischio è che i soldi scivolino via senza produrre cambiamenti duraturi. Gli studenti “ribelli”, il ministro Valditara e la maturità della scuola che deve ancora venire Genere e cittadinanza Il percorso di riduzione degli abbandoni in Italia è stato costante: dal 18 per cento del 2010 al 12,7 per cento del 2021, fino al 9,8 per cento del 2024. In termini assoluti, circa 431mila giovani tra i 18 e i 24 anni hanno lasciato la scuola senza diploma. Un miglioramento evidente che ha giovato alla posizione dell’Italia nella graduatoria europea ma il nostro resta comunque tra i cinque paesi peggiori dell’Unione, insieme a Romania, Spagna, Germania e Ungheria. Il divario di genere e cittadinanza complica ulteriormente il quadro. Nel 2024 il tasso di abbandono tra i ragazzi è stato del 12,2 per cento, contro il 7,1 per cento delle ragazze. E tra i giovani con cittadinanza straniera il fenomeno raggiunge il 26,8 per cento, quasi tre volte la media nazionale. Sono numeri che dimostrano come l’ascensore sociale italiano funzioni a singhiozzo: i figli di genitori con al massimo la licenza media abbandonano nel 24 per cento dei casi, contro appena l’1,6 per cento dei figli di laureati. Il 9 per cento entro il 2030 appare raggiungibile in media nazionale, ma il rischio è che diventi un traguardo vuoto. Le città e il Sud restano i fronti più esposti, e la dispersione implicita rischia di cancellare i progressi numerici. Senza un cambio di paradigma – monitoraggio capillare, politiche urbane integrate, attenzione alla qualità degli apprendimenti – il 9 per cento rischia di restare solo una vittoria di facciata. Due milioni di giovani fuori da scuola e lavoro: tra le donne il 20 per cento è inattivo per occuparsi della famiglia