A marzo 2020, gli scienziati russi dell’Istituto Statale di Virologia e Microbiologia Vector, di Novosibirsk, in Siberia, ottengono i preziosi campioni di coronavirus vivo dallo Spallanzani di Roma, e con ogni probabilità grazie a questo iniziano a sviluppare un vaccino. Lo chiamano EpiVacCorona, ed è un vaccino contro il Covid composto da tre diversi frammenti della proteina Spike del coronavirus, coniugati ad un’altra proteina vettrice più grande.

Se avevano intenzione di utilizzare quel prezioso materiale virale per fini commerciali, i russi avrebbero dovuto versare una discreta somma di denaro allo Spallanzani: invece, pare che grazie all’interessamento diretto dell’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte (che non ha risposto alle domande di Domani) gli scienziati russi non abbiano pagato un euro.

Dall’istituto Vector al business

Russian Direct Investment Fund

Ma per cosa serviva il coronavirus vivo isolato dallo Spallanzani agli scienziati del Vector? Quasi sicuramente, hanno utilizzato quel virus in coltura per generare una grande quantità di proteina spike con cui produrre il vaccino, e poi lo hanno usato per testare se il vaccino inducesse anticorpi e un’immunità in grado di inibire la crescita del virus in vitro – il cosiddetto test di neutralizzazione- perché solo in caso di risultato positivo poi potevano procedere alla sperimentazione sull’uomo. Difatti, a novembre 2020 gli scienziati del Vector iniziano il primo trial clinico su qualche migliaio di volontari.

I preziosi isolati virali forniti dall’Istituto Spallanzani in Russia li ha usati solo l’Istituto Vector? Non ci crede nessuno. «Se l’hai dato al Vector, puoi star sicuro che quelli poi l’hanno fornito a tutti i laboratori di Stato russi», mi dice un virologo di fama mondiale. «In un sistema accentrato e opaco come quello russo, dove tutto dipende dalla volontà di uno solo, Vladimir Putin, è scontato che il Vector abbia passato quel prezioso Coronavirus vivo all’Istituto che sta più a cuore al presidente: il Gamaleya di Mosca, il più importante di tutta la Russia».

In questo caso l’errore commesso dal governo Conte sarebbe ancora più grave: non solo abbiamo passato un prezioso materiale virale gratis ai russi ma abbiamo anche consegnato al presidente Putin un’arma fondamentale per combattere la sua guerra geopolitica dei vaccini. Putin voleva essere a tutti i costi il primo al mondo a sviluppare un vaccino contro il Covid, e forse noi gli abbiamo dato un grande aiuto.

Obiettivo Sputnik

Imam Khomeini Airport City

Proprio a partire da marzo 2020, nei laboratori del Gamaleya un team di scienziati lavora allo sviluppo di un nuovo vaccino russo contro il Covid, chiamato Sputnik V. Lo Sputnik V viene finanziato del Fondo Russo di Investimento Diretto (Rdif), il fondo sovrano diretto da Kiril Dmitriev, un oligarca grande amico di Putin e che è sposato con Natalia Popova, la migliore amica di Katerina Tikhonova, seconda figlia del presidente. Lo Sputnik V è un vaccino a vettore virale in due dosi: la prima contiene un adenovirus umano di tipo 26, e la seconda un adenovirus umano di tipo 5, entrambi modificati: in essi viene eliminato un gene necessario per la replicazione, così i virus non possono riprodursi, e viene inserito il gene per la proteina spike del coronavirus.

Quasi sicuramente, anche per sviluppare lo Sputnik V è stato fondamentale il virus in coltura dello Spallanzani.

Solo se ho le cellule in coltura infettate dal SARS-CoV-2 posso ottenere grandi quantità di RNA del gene spike del coronavirus, che posso trasformare in DNA e poi inserire dentro al genoma dell’adenovirus; infine, una volta ottenuto il vaccino, posso testare se il vaccino induce anticorpi e un’immunità in grado di inibirne la crescita in vitro.

In ogni caso, da marzo 2020 gli scienziati del Gamaleya lavorano febbrilmente allo sviluppo del vaccino Sputnik V. E da quel momento in poi, i destini dello Spallanzani sembrano legati a filo doppio con la Russia.

A giugno 2020, un alto dirigente dello Spallanzani viene avvicinato da funzionari di Stato russi che gli offrono parecchi soldi, circa 250 mila euro, ma lui chiama i carabinieri: cosa volessero i russi non si sa, ma si può immaginare.

Nell'agosto 2020, un gruppo di scienziati dello Spallanzani, del quale fanno parte Giuseppe Ippolito e Maria Capobianchi, inizia a collaborare con un’azienda biotech italiana chiamata ReiThera, che dà il via alla sperimentazione di un suo potenziale vaccino anti-Covid.

Il vaccino di ReiThera si chiama Grad-Cov2, e – come lo Sputnik V- è basato su un adenovirus, quello del raffreddore del gorilla, in cui viene inserito il gene per la proteina spike del SARS-CoV-2.

Nel luglio 2020 parte una piccola sperimentazione del vaccino sull’uomo, finanziata con 8 milioni di euro dal governo italiano: ma quella ricerca non approderà a nulla, e il vaccino ReiThera non verrà mai prodotto in larga scala, forse perché a qualcuno non interessava, o perché i russi ci hanno battuto sul tempo.

Propaganda Sputnik

Copyright 2021 The Associated Press. All rights reserved

Difatti, già l’11 agosto 2020, Vladimir Putin annuncia in pompa magna: “Stamattina per la prima volta al mondo abbiamo registrato un vaccino contro la nuova infezione da coronavirus”.

In realtà, è stato approvato solo dallo Ministero della Salute Russo. “Il vaccino è stato chiamato Sputnik V, è molto efficace, aiuta a sviluppare l’immunità, ed ha superato tutti i trial necessari.”

Poi, rivela che è già iniziata la fase 3 della sperimentazione, cioè che è già stato somministrato a qualche migliaio di volontari. Insomma, pare che la corsa a chi arrivava primo a produrre il vaccino l’abbia vinta lui, il presidente Putin.

Però, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e tutti i membri della comunità scientifica mondiale sono perplessi: com’è possibile che in pochi mesi i russi abbiano prodotto un vaccino e abbiano già iniziato a testarlo sull’uomo? Tutti sospettano che abbiano saltato molte fasi della sperimentazione. “Serve una rigorosa revisione dei dati”, afferma l’Oms, che però i russi non mostreranno mai.

Per convincere a comunità scientifica che il loro vaccino Sputnik V è efficace e sicuro, gli scienziati del Gamaleya a breve distanza di tempo pubblicano due articoli sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet, che però sollevano molti dubbi. Nel primo, del settembre 2020, dal titolo Sicurezza e immunogenicità di un vaccino a vettore virale contro il COVID-19, gli scienziati russi sperimentano il loro vaccino su un numero troppo ridotto di individui, solo 38, e i dati sembrano palesemente manipolati. Gli scienziati russi promettono: «Forniremo i dati dei singoli partecipanti e li renderemo pubblici». Ma non lo hanno fatto mai.

Nel secondo, pubblicato il 2 febbraio 2021, e dal titolo “Sicurezza e immunogenicità di un vaccino a vettore virale contro il COVID-19”, gli scienziati russi sostengono che il loro studio, stavolta condotto su circa 22.000 adulti, dimostra che lo Sputnik V ha un’efficacia di oltre il 90 per cento, ma i loro dati sono pieni di incongruenze ed errori, e soprattutto non dicono quanti e quali eventi avversi si siano verificati. Si limitano a scrivere: «Poiché gli eventi avversi gravi sono stati pochi, i dati completi su questi saranno forniti in una pubblicazione successiva». Mai arrivata.

Poiché gli scienziati russi non sono mai riusciti a produrre dati convincenti e a fornire dati certi sulla sua sicurezza nell’uomo, nessuna delle principali autorità di regolamentazione mondiali sui vaccini – né l’Oms, né l’americana FDA, né l’europea EMA – ha mai autorizzato l’utilizzo del vaccino Sputnik V: perciò la sua sorte sembrerebbe segnata.

Solo lo Spallanzani crede a Sputnik

LaPresse

E invece, a febbraio 2021 a capo dello Spallanzani viene nominato un nuovo direttore generale facente funzioni, Il professor Francesco Vaia: e qual è la prima cosa che fa? Il 17 febbraio 2021, convoca il Gruppo di Lavoro Sperimentazione Vaccini dell’Istituto Spallanzani, che redige un “Parere tecnico scientifico sul vaccino Sputnik V”, il cui giudizio finale è questo: «Nel complesso le analisi hanno dimostrato che la somministrazione di Sputnik V è seguita da un’ottima risposta immunitaria. I dati disponibili depongono per un ottimo profilo di sicurezza. Si ritiene che il vaccino Sputnik V possa avere un ruolo importante nei programmi vaccinali contro SARS-CoV-2». Firmato: dott. Francesco Vaia. Insomma, per lui il vaccino Sputnik è il più bello che c’è.

Ma la sfortuna si accanisce. Nel marzo 2021 si scopre che il vaccino Astrazeneca, un vaccino a vettore virale proprio come lo Sputnik V, causa, seppure in casi rarissimi, gravi trombosi cerebrali che possono talvolta provocare la morte.

Da quel momento in poi nessuno vuole più acquistare i vaccini a vettore virale perché tutti preferiscono i vaccini RNA, più moderni e sicuri. Invece, il Professor Vaia e l’Assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’amato, imperterriti, premono affinché il vaccino Sputnik V venga prodotto anche in Lazio, e la Regione Lazio si dichiara disposta a comperarne un milione di dosi, che naturalmente non verranno mai acquistate.

Pochi giorni dopo, ad aprile 2021, gli scienziati dello Spallanzani che stanno sviluppando il vaccino ReiThera pubblicano un articolo dal titolo: Grad-Cov2, un vaccino contro il Covid-19 basato sull’adenovirus del gorilla, è sicuro e immunogenico in adulti giovani ed anziani. Lo studio dimostra che il vaccino è assai efficace e sicuro, così ReiThera inizia una sperimentazione su più di 900 volontari che dà risultati preliminari molto incoraggianti, ma a maggio lo stato Italiano ritira i finanziamenti, e la storia del vaccino ReiThera finisce lì.

Addio al vaccino italiano

LaPresse

I politici italiani e l’istituto Spallanzani sono spaccati in due: alcuni spingono per sviluppare un vaccino italiano, altri parteggiano per i russi. Quali delle due fazioni sia destinata a prevalere è subito chiaro.

In quei giorni di aprile 2021, dallo Spallanzani inizia un lento esodo. Il professor Giuseppe Ippolito, direttore scientifico, lo lascia per guidare il Dipartimento della ricerca scientifica al Ministero della Salute, la professoressa Maria Capobianchi, prima scienziata a isolare il virus in Europa, va in pensione in anticipo. Anche l’infettivologo Nicola Petrosillo e diversi altri ricercatori e alti dirigenti abbandonano i loro posti.

Anche se il vaccino Sputnik è avvolto da mille dubbi, il 13 aprile 2021 l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato e il direttore dello Spallanzani Francesco Vaia a Roma firmano un memorandum di intesa con il direttore dell’Istituto Gamalyeva Alexander Gintsburg e il direttore del Fondo sovrano russo Rdif Kirill Dmitriev.

L’accordo è tutto a favore dei russi. Innanzitutto, lo Spallanzani mette a disposizione dei russi la sua preziosa collezione di ceppi virali vivi. Recita il memorandum: «L'Inmi gestisce una delle più grandi banche biologiche dell'Unione Europea per gli agenti virali. L'Inmi ha già registrato su GISAID e EVAg, e conserva legalmente 120 ceppi virali di SARS-CoV-2. Nell’ambito di questa collaborazione InmiI si farà parte attiva per condividere questi ceppi con il Centro Gamaleya». 

Inoltre, gli scienziati dell’istituto Spallanzani si impegnano a studiare l’efficacia dello Sputnik V sulle varianti del loro coronavirus in coltura, e poi ad avviare una sperimentazione iniettando lo Sputnik a 600 volontari. E in cambio lo Spallanzani cosa ottiene? I campioni del siero di pazienti russi ai quali è stato iniettato il vaccino Sputnik con cui fare gli esperimenti: in pratica, niente.

Questa volta, almeno, nell’accordo viene specificato che: «Tutti i prodotti derivanti da questa collaborazione saranno di proprietà comune o brevettati dalle due istituzioni e la ripartizione o il grado di proprietà saranno concordati tra le due le Istituzioni con specifico accordo scritto». Ma ormai è troppo tardi, perché i diritti per il vaccino Sputnik, probabilmente creato usando il virus isolato allo Spallanzani, i russi se li sono tenuti tutti per sé.

Il disastro dei vaccini russi

In quel memorandum ci sono molte cose che non tornano. Perché lo Spallanzani dà così tanto e riceve in cambio così poco? Perché un Istituto italiano si dovrebbe occupare della sperimentazione di un vaccino prodotto da uno Stato estero come la Russia? Perché lo Spallanzani deve perdere tempo e risorse per testare il vaccino Sputnik V, che non era stato autorizzato da nessuna delle grandi agenzie mondiali di supervisione del farmaco? Chi ci guadagnava? Qualcuno avrebbe ottenuto qualcosa in cambio? Perché non sviluppare il vaccino italiano?

Intanto, i dubbi sul vaccino Sputnik aumentano.

A giugno 2021 gli ispettori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità visitano per un controllo lo Stabilimento per le Vitamine di Ufa, nella repubblica di Bashkorstan, in Russia, dove viene prodotto il vaccino Sputnik V. Scrivono nel loro rapporto: «Identificati problemi nei dati e nei risultati dei test sul monitoraggio ambientale e microbiologico. Identificati problemi nel monitoraggio e nel controllo delle condizioni asettiche nei settori di produzione e riempimento fiale. Identificati problemi circa la tracciabilità, l’identificazione e la storia dei vari componenti del vaccino. Identificati problemi nella adozione di adeguate misure per attenuare il rischio di contaminazione. Identificati problemi nelle condizioni di asetticità delle linee di riempimento fiale e nella vestizione degli operatori, che non assicurano adeguati livelli di asetticità e sterilità. Identificati problemi nella filtrazione sterile dei vaccini».

 In sintesi, lo stabilimento di produzione dello Sputnik è sporco e caotico, non si sa con che cosa i russi producano il vaccino perché non c’è documentazione, e la fabbrica non assicura la necessaria sterilità.

A ottobre 2021, in Brasile, si scopre che lo Sputnik V ha persino un difetto di fabbricazione: l’adenovirus contenuto nel vaccino non è stato inattivato adeguatamente, se inoculato nell’uomo può cominciare a replicarsi quindi potrebbe provocare una infezione grave: per questo il Brasile ne vieta immediatamente l’utilizzo. Insomma, lo Sputnik V è un disastro.

Le cose non vanno meglio per l’EpiVacCorona, il vaccino dell’Istituto Vector. Gli esperimenti sull’uomo dimostrano che i soggetti inoculati non sviluppano alcuna risposta immunitaria: in pratica, il vaccino non protegge per niente dal Covid. Così, persino il Ministero della Salute Russo a gennaio 2022 decide di sospenderne gli acquisti, e la sua produzione si ferma per sempre.

Ma quelli dell’istituto Spallanzani di Roma continuano a collaborare con l’istituto Gamaleya di Mosca come se nulla fosse. Nei laboratori dello Spallanzani, ricercatrici russe del Gamaleya conducono esperimenti per testare se gli anticorpi di persone vaccinate col vaccino Sputnik V riescano a neutralizzare anche i nuovi ceppi virali Alfa, Delta e Omicron coltivati sulle preziose linee cellulari dell’Istituto. Alla fine, Il 20 gennaio 2022, il gruppo congiunto di scienziati dell’Istituto Spallanzani, guidati dal professor Vaia, e dell’Istituto Gamalyeva, guidati dal professor Gintsburg, pubblicano online un preprint intitolato “Mantenimento della risposta neutralizzante contro la variante Omicron in individui vaccinati con Sputnik. V”. Lo Spallanzani esulta: «I dati sono estremamente incoraggianti».

Il presidente Putin, euforico, commenta: «La studio comparativo congiunto Russia-Italia sui vaccini condotto all’Istituto Spallanzani ha dimostrato che il vaccino russo Sputnik è il migliore di tutti nel neutralizzare Omicron».

Pura propaganda, perché lo studio non dimostra affatto quel che dice Putin.

Gli scienziati sostengono che «due dosi di vaccino Sputnik inducono livelli di anticorpi neutralizzanti contro la variante Omicron più di due volte superiori rispetto a due dosi di vaccino Pfizer». Però, hanno barato, perché comparano i livelli di anticorpi di persone vaccinate con Pfizer da almeno sei mesi con quelli di persone vaccinate con Sputnik da tre a sei mesi prima: dato che gli anticorpi calano col passare del tempo, è chiaro che i vaccinati con Sputnik ne hanno di più. Il paragone non regge, e lo capisce anche un bambino.

Alla fine, la guerra in Ucraina mette la parola fine alla collaborazione tra lo Spallanzani e il Gamaleya. Il 25 febbraio, sole ventiquattr’ore dopo che Putin ha invaso l’Ucraina, l’assessore alla sanità del Lazio Alessio d’Amato annuncia: «Sospendiamo la cooperazione per Sputnik perché la scienza deve essere al servizio della pace e non della guerra, come ha ricordato il Papa».

Probabilmente, aspettava solo una scusa per chiudere in fretta una vicenda vergognosa.

© Riproduzione riservata