Alla fine Gabriele Albertini ha deciso di non essere il candidato del centrodestra alle prossime comunali di Milano. Anche se forse, a sentire Matteo Salvini, non lo è mai stato. Il leader della Lega aveva fatto il suo nome, insieme a quello di Guido Bertolaso per Roma, ma, dice adesso, «altri hanno detto no per settimane e mesi e loro hanno perso la pazienza». Che i due nomi proposti non fossero graditi agli alleati è sicuramente vero. Così come è vero che sulla decisione di Albertini avrebbero pesato più le titubanze di Silvio Berlusconi che i dubbi di Giorgia Meloni. Ma le comunali sono solo una parte dei problemi del centrodestra ormai ostaggio, da mesi, della competizione interna tra Lega e Fratelli d’Italia. Che continuano a litigare sulla presidenza del Copasir rendendo impossibile qualsiasi confronto e, quindi, qualsiasi decisione. Tolti Albertini e Bertolaso, i nomi che circolano sono gli stessi di sempre. A Milano Forza Italia vorrebbe Maurizio Lupi. Salvini potrebbe adeguarsi, anche per allontanare da sé le responsabilità di un’eventuale sconfitta, ma potrebbe anche cercare un’alternativa (il manager Roberto Rasia dal Polo?). A Roma, invece, c’è da sempre, sospesa, la candidatura del presidente dell’Istituto per il credito sportivo, Andrea Abodi. Ma c’è anche chi spera in un ripensamento di Meloni. Che però non vacilla: «Molti lo vorrebbero, ma solo per liberarsi di me». E così tra candidati fantasma (a Napoli si parla da mesi di Catello Maresca) e fantasmi di candidati (a Torino la scelta è da tempo caduta su Paolo Damilano, ma senza grandi entusiasmi), si attende il confronto finale. Anche se quello che colpisce non è tanto la difficoltà di partiti diversi e concorrenti di mettersi d’accordo su un candidato unitario, quanto il fatto che tutto questo avvenga all’ultimo momento utile, quando mancano pochi mesi alle elezioni. Non solo, la sensazione è che alla fine, come in una partita di calcetto, i capitani siano arrivati alla fine della selezione e, un po’ controvoglia, debbano limitarsi a scegliere il meno peggio. Insomma, candidati per assenza di alternative. Il che fa riflettere sulla capacità delle forze politiche di trasformare in realtà facili slogan come «ascoltare le istanze dei territori». E il centrosinistra non fa eccezione visto che, mentre concede a Nicola “Godot” Zingaretti altre 48 ore per sciogliere la sua riserva a Roma, tolta la riconferma quasi obbligata di Beppe Sala a Milano, non ha ancora prodotto un solo candidato ufficiale nelle altre città che andranno a elezioni. Certo, a parziale giustificazione ci sono sia il cambio in corsa del segretario, sia la necessità di trovare nomi che possano essere sostenuti anche dal Movimento 5 stelle. Ma la domanda resta: com’è possibile che dopo cinque anni di amministrazioni in alcuni casi fallimentari come quelle di Virginia Raggi a Roma e quella di Chiara Appendino a Torino centrodestra e centrosinistra non siano state in grado di costruire un’alternativa credibile? Perché sono più quelli che rinunciano rispetto a quelli che decidono di scendere in campo? Perché per trovare nomi da candidare bisogna sfogliare l’album dei ricordi e ricolorare le foto in bianco e nero di Albertini e Bassolino? Il problema non è che ci si scanni per una poltrona. Quello i partiti, anche alleati, lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo. Il problema è l’assenza totale di idee, di progetti e di nomi in grado di rappresentarli. E così, alla fine, non resta che scegliere ciò che è rimasto disponibile. O, come accaduto con Mario Draghi, lasciare che siano gli altri a scegliere. E adeguarsi.

 

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