La svolta attesa dagli Stati generali, attesa e indicata da mesi da palazzo Chigi come l’inizio di una vita nuova per i giallorossi, al momento non si vede. Come aveva chiesto il Pd, già venerdì scorso si sono inaugurati i tavoli della maggioranza sulle riforme, leggasi quella elettorale; e sul programma di governo, leggasi «patto di fine legislatura». Ma sul delicato tema del rapporto con le opposizioni non si vedono passi avanti. Lo si capisce dal commento dell’ex ministro Danilo Toninelli sull’apertura di Silvio Berlusconi al governo. Parole condivisibili, dice, «peccato che le abbia dette una persona per la quale non nutro nemmeno un uno per cento di fiducia». Il tono dei Cinque stelle è con ogni evidenza lo stesso tono di prima. Ma dal Pd le pressioni per una chiamata alla gestione dell’emergenza, almeno con Forza Italia, ora si fanno più serie. E nervose.

Nel weekend i leader di FI e Pd si sono scambiati reciproci riconoscimenti politici. Al Corriere della Sera Silvio Berlusconi ha espresso apprezzamento per gli inviti di Nicola Zingaretti, «ma devono seguire fatti concreti». A sua volta il segretario ha rilanciato la necessità di «aprire un dialogo con tutte le opposizioni» per affrontare la pandemia e la crisi economica, aggiungendo di aver chiesto «al governo di fare di tutto per raggiungere questo obiettivo». Ed è questo il busillis: oltre ai generici appelli all’unità, qual è davvero la posizione del premier Giuseppe Conte?

Solo buone intenzioni

Per Zingaretti il punto è «un’impostazione generale» al dialogo. Anche in parlamento, se non in una commissione specifica, iniziativa pure vista con favore che però nei fatti sta naufragando al Senato. Solo che i Cinque stelle hanno bocciato tutto. Ieri al senato i capigruppo di maggioranza e opposizione della commissione cultura – tranne la Lega – hanno firmato un emendamento comune al decreto ristori sul credito di imposta al 90 per cento per le attività teatrali e gli spettacoli dal vivo. Lo ha proposto il forzista Andrea Cangini, la Lega non ha voluto associarsi ma ha presentato un testo simile. Segnali di buona volontà. Ma sulle partite politicamente più rilevanti le resistenze sono anche nella maggioranza.

La proposta del «doppio relatore» sulla legge di Bilancio, «per scriverla insieme», lanciata dal numero due di FI Antonio Tajani e apprezzata dal segretario dem, sulla quale Conte si era dichiarato favorevole, è stata seppellita dall’ancora reggente M5s Vito Crimi: «La legge di Bilancio è l’atto di indirizzo politico più importante del governo. Quindi la deve scrivere la maggioranza». Palazzo Chigi del resto credeva di aver mostrato la sua «buona volontà» proponendo e facendo digerire ai Cinque stelle l’emendamento «salva Mediaset» – che sarebbe stato propiziato dal Colle e dal ministro Dario Franceschini – infilandolo con una forzatura nel decreto Covid. «Ma quella norma serviva a fare un ragionamento sulla difesa di tutte le aziende nazionali», spiegano i berlusconiani. Insomma, se era immaginata per far star buoni gli azzurri (e il Pd), non basta.

La linea di Berlusconi

A dare una spinta nella direzione del dialogo ieri è arrivata anche una lettera – ancora al Corriere – di Goffredo Bettini. Uno spintone, in realtà: l’ex consigliere di Zingaretti, ormai a capo di un’area di riferimento propria, chiede di «raccogliere con generosità i contributi delle forze politiche consapevoli e democratiche, che intendono dare una mano» e anche di «chiamare nell’esecutivo le energie migliori e necessarie per competenza e forza politica». Sembra una proposta di allargamento della maggioranza, e cioè un cambio di maggioranza. Ma Berlusconi, che pure vuole allentare l’abbraccio con la Lega, non può lasciare la sua coalizione, se non a rischio di sfasciare quel che resta del suo partito. Ieri lo ha ripetuto al Maurizio Costanzo Show su Canale 5, come in un salto all’indietro nel tempo. «Non svenderei mai i nostri 25 anni di storia per una manovra politica di breve respiro», dice, ma poi, tornando all’oggi: «Il nostro atteggiamento convinto e responsabile consiste nella disponibilità a suggerire a maggioranza e governo quello che è utile e necessario per il paese». È quello che chiede Bettini. Il dialogo è una questione di principio per la maggioranza, ma anche di necessità: per superare gli scogli parlamentari, visto che al Senato presto arriverà il voto su un nuovo scostamento di bilancio.

Quando Bettini chiede invece di «chiamare nel governo le energie migliori» si riferisce alla partita interna alla maggioranza. Per reggere fino al 2023 il governo deve attraversare il deserto dell’emergenza. Meglio sarebbe cambiare qualche ministro o ministra. E abbandonare il passo incerto, e i non pochi scivoloni. L’ultimo in ordine di tempo è il pasticcio del commissariamento della sanità calabrese, rimediato al volo con la nomina dell’ex rettore Eugenio Gaudio ma anche di Gino Strada.

Quanto al rimpasto, però, sa che i Cinque stelle non possono reggere un dimagrimento del loro peso nel governo: tanto più dopo gli Stati generali, la confusamente vittoriosa ala governista riceverebbe subito uno smacco. Forse per evitare l’argomento ieri il premier ha rinunciato alla prevista partecipazione a Otto e mezzo su La7. Ufficialmente era occupato con il Consiglio dei ministri. Ma di fatto ora, più di prima, deve stare attento a non irritare nessuno dei suoi. Né della maggioranza e neanche, d’ora in poi, della parte dell’opposizione che gli è sempre più indispensabile.

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