Il centrodestra è in riunione costante: sono in corso due tavoli paralleli, uno sul programma e uno sulla divisione dei collegi secondo le proporzioni già individuate dai leader. A sedere alle riunioni sono i fedelissimi, che si occupano di trovare i difficili compromessi concreti che poi andranno ratificati al vertice.

La tattica scelta è lasciare che la stampa si concentri sui tumulti del centrosinistra, mentre l’alleanza di centrodestra lavora sottotraccia ad affinare gli accordi. In questa fase l’obiettivo è tenere lontano dai tre leader le polemiche su singoli collegi o elementi programmatici, in modo che Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi possano mantenere un profilo basso e iniziare a imbastire la loro campagna elettorale, ragionando su nomi e sondaggi.

La strada, però, è tutt’altro che spianata: la questione collegi è risolta sul piano numerico ma non certo su quello delle divisioni dei territori, che è altrettanto se non più importante. Un collegio non vale l’altro e ogni partito deve provare a strappare quelli in cui può puntare all’elezione, in un gioco a incastri che è un rebus. Con un’incognita in più: non ci si può affidare automaticamente ai risultati 2018, perché il taglio dei parlamentari ha modificato i perimetri dei collegi rendendone alcuni del tutto incerti.

Oggi ci sarà un incontro di tecnici, chiamati a studiare e valutare la situazione collegio per collegio, poi una nuova riunione politica in cui comincerà il confronto per dividerli equamente, da più sicuri a quelli contendibili. La divisione non è per nulla facile, perchè ogni territorio ha le sue questioni locali: basti pensare alla Sicilia, terra elettorale di FI, in cui però è ancora in corso lo scontro tra il coordinatore Giancarlo Miccichè e l’attuale presidente della regione, Nello Musumeci, di Fratelli d’Italia.

«Oggi si è tenuta una prima riunione per fare un punto sulla situazione, è servita soltanto per un’analisi dei nuovi collegi», ha confermato il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani, che ha aggiunto come «bisogna lavorare per valutare i diversi collegi per avere un equilibrio nell’assegnazione».

L’elemento non è da poco per FI, sia perché ha meno collegi a disposizione rispetto ai due alleati maggiori, sia perché non è stato ancora sciolto il nodo dell’Udc. Lorenzo Cesa e Antonio De Poli erano al tavolo e hanno fatto valere il loro ruolo e chiesto più spazio, ma gli è stato sempre nello stesso modo: se l’Udc intende presentare il proprio simbolo, si spartirà i collegi riservati alle formazioni minori di centro, se invece intende chiedere ospitalità nelle liste di FI con cui hanno costituito i gruppi nell’attuale parlamento, «le nostre porte sono spalancate, ma devono decidere loro», ha detto Tajani.

Il totoministri

Nonostante il centrodestra cerchi di procedere con ordine e stia riducendo al minimo lo spazio di polemica, una questione continua a passare di chat in chat. Matteo Salvini, per quanto nei giorni scorsi abbia smentito la sua volontà di tornare al Viminale come ministro, continua a insistere sulla necessità di presentare una lista di futuri ministri, «almeno i più importanti», come scelta di serietà davanti all’elettorato. A sostenerlo, anche se un passo indietro, è anche Forza Italia: gli azzurri, infatti, aspirerebbero a che proprio Tajani, ex presidente del parlamento europeo, si accasasse alla Farnesina. Il diretto interessato non commenta e si limita a dire di essere a disposizione, ma il totoministri impazza.

La mossa, poco istituzionale visto che la coalizione non ha indicato il nome del suo premier e la lista dei ministri viene approvata dal presidente della Repubblica, non è inedita: nel 2018 anche l’allora capo politico del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, aveva presentato la sua lista di ministri (tra i quali un allora sconosciuto Giuseppe Conte), ma solo tre giorni prima del voto.

L’idea, però, non piace per nulla a Giorgia Meloni. La leader di FdI sa che ogni passo falso potrebbe costarle molto in questa fase ed è bene attenta a non esporsi: promettere a Salvini il Viminale con i processi siciliani sui migranti ancora in corso le attirerebbe addosso il fuoco di fila.

Inoltre le richieste, i suggerimenti e le autocandidature sulla sua scrivania sono moltissime: negli ultimi giorni i giornali erano pieni di nomi possibili o dati per certi, da quello di Giulio Tremonti all’Economia a quello di Marcello Pera, entrambi visti agli eventi recenti di FdI. Meloni preferisce ascoltare tutti ma non impegnarsi con nessuno, anche perché l’esito elettorale lo daranno soltanto le urne del 25 settembre e confermare i numeri dei sondaggi non è un’operazione dall’esito certo.

La leader di FdI sa bene che ogni strappo all’istituzionalità le verrebbe fatto pagare doppio sia dai suoi detrattori che da chi, da dentro le istituzioni, la vede come una minaccia. Il mantra dentro il partito, quindi, è non concedere spazio a polemiche, non rispondere a provocazioni e soprattutto frenare gli slanci dei due alleati Salvini e Berlusconi. A dare una mano a Meloni dall’interno dovrebbero esserci gli ex Dc di Gianfranco Rotondi dentro Forza Italia: l’ex ministro ha più volte consigliato al Cavaliere di allinearsi a Meloni più che a Salvini. A certificare la vicinanza tra i due ci sarebbero state riunioni riservate in cui, in caso di clamorose rotture dell’alleanza di centrodestra, i centristi avrebbero offerto di fare da spalla a FdI piuttosto che alla Lega.

Intanto, l’alleanza di centrodestra procede lentamente ma con decisione verso la definizione di tutti i punti: i nomi dei candidati arriveranno e nessuno avrà di che lamentarsi, assicurano da FdI, poi ogni partito farà la sua corsa e il più votato otterrà la leadership.

Per ora, Meloni intende esercitare prudenza e procedere secondo le tappe previste: liste chiuse entro l’8 agosto, programma anche e che sia il più snello possibile, Lega permettendo.

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