Scaglionare le entrate delle scuole si può, a condizione «che i mezzi di trasporto vengano conseguentemente riorganizzati», ma è «irrealistico pensare di allungare la settimana scolastica anche alla domenica». Fra le reazioni più severe alla proposta della ministra dei Trasporti Paola De Micheli, lanciata in un’intervista a Repubblica, di tenere aperte le scuole anche nei weekend («anche il sabato», dice, e quanto alla domenica «sono decisioni che vanno condivise con tutto il governo ma siamo in emergenza e bisogna far cadere i tabù») c’è quella di Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale dei presidi.

Ma non è l’unica. I sindacati di settore ci vanno giù anche più pesante: «È solo uno slogan, una cortina di fumo per nascondere la verità: non si può tornare in classe». Pino Turi della Uil parla di «idee estemporanee che non hanno nessuna valenza se non quella di buttarla in caciara. Cercano di scaricare la responsabilità sui docenti facendoli passare per lavativi».

Quanto a terminare le lezioni alle 20, altra proposta, «e chi viene da fuori città che fa? Torna a casa la notte, oltre l’orario di inizio del coprifuoco? E poi, dove sono questi docenti che dovrebbero lavorare la domenica se ancora inviano i supplenti?». «Un’assurdità» anche per Maddalena Gissi della Cisl, «abbiamo bisogno di programmazione, è necessario lavorare per capire quali sono le difficoltà e risolverle per gennaio».

Ma le difficoltà la comunità scolastica le conosce bene. Serve «velocità nell’effettuazione dei tamponi con una corsia preferenziale per il personale; implementazione dei servizi di medicina sul territorio; disponibilità di tutti i dispositivi di sicurezza necessari per il personale e per gli studenti», elenca una nota della Flc Cgil. E poi ci sono i trasporti: senza mezzi dedicati è difficile che il trasporto non resti una delle cause del contagio degli studenti. Anche se qui si torna all’inizio: non ci sono veri dati che fotografino il contagio nella scuola, ma anche per il trasporto siamo alle presunzioni.

Dalle destre arrivano bocciature senza appello e richieste di dimissioni della ministra e della collega dell’Istruzione Lucia Azzolina. Che a sua volta in questi giorni aveva tenuto banco con la proposta di riaprire le scuole il 9 dicembre, prima delle vacanze di Natale. Senza un piano per i trasporti, contro il parere del Comitato tecnico scientifico e anche di alcuni ministri.

Poi è filtrata la riapertura dei licei, almeno in maniera simbolica. Questa proposta ieri è stata definitivamente esclusa nella riunione dei capidelegazione di maggioranza. La situazione è diversa a seconda della fascia in cui si trova ciascuna regione. In Umbria e in Lombardia, per esempio, le scuole medie riaprono il 30 novembre. Per tutte le superiori se ne riparla il 9 gennaio, alla fine delle vacanze. Ma per una volta Azzolina lascia la scena a De Micheli, in una gara a chi la spara più alta.

Imbarazzo giallo e rosso

È un collega del governo, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (M5s), a stoppare tutto: «In un momento come questo è del tutto inopportuno pensare di tenere le scuole aperte anche la domenica». Segno del clima fra alleati. Ma i silenzi sono più eloquenti delle dichiarazioni.

Non dice una parola il Pd, il partito della De Micheli, segno di imbarazzo. Twitta Carlo Calenda, candidato sindaco a Roma: «Che senso ha inondare quotidianamente famiglie già molto provate di messaggi estemporanei?». L’elenco sarebbe lungo, dal plexligass ai banchi con le rotelle, alla riapertura prima di Natale, la scuola della domenica è solo l’ultima.

Silenzio anche dal dicastero dell’Istruzione. Ma qui la ragione sarebbe più complicata. Perché dai Trasporti da una parte si spiega che quella di De Micheli non è una proposta ma «una risposta a una domanda di un giornalista». Dall’altra si fa notare che la «proposta» vera viene dalle regioni.

Ma quello che duole sarebbe il fatto che la titolare dell’Istruzione non si sia «mai» seduta a un tavolo con i rappresentanti dei colleghi, Infrastrutture e Affari regionali, adducendo il motivo che «vige l’autonomia scolastica». E che lo scaglionamento delle uscite non risolve nulla (gli studenti tenderebbero ad ammassarsi nelle ultime corse dei bus).

Mentre raddoppiare il trasporto locale con i bus al 50 per cento di capienza consentita significa bloccare le città e le aree metropolitane più grandi. Comunque ora il sasso è lanciato, «se non altro se ne parla».

Se ne parla, ma non se ne parla bene. I presidi peraltro informano la ministra che «il sabato per moltissimi istituti è già giornata di lezione». «Da Roma arrivano immagini di assembramenti per l’inaugurazione di un centro commerciale», racconta Costanza Margiotta, dei comitati Priorità alla scuola, che non hanno mai smesso di chiedere la riapertura di tutte le scuole: «Mentre la curva scende in tutto il resto di Europa, dove le scuole sono rimaste aperte, da noi la curva scende e le scuole non vengono riaperte, con il solito scaricabarile. Abbiamo chiesto a tutte le regioni di impegnarsi per il potenziamento nei trasporti, di organizzare ingressi scaglionati, ci viene risposto che non è possibile». Si annunciano vie legali. «Sta per partire un ricorso al Tar dell’Umbria e sono pronti altri ricorsi anche contro il Dpcm». Intanto oggi, sabato, Pas dà appuntamento a Firenze in via della Colonna per una mattinata di lezioni in presenza. Si studia l’Inferno di Dante.

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